Tempo fa, quando ancora ci si poteva permettere la pubblicazione di una serie di dischi belli, avventurosi e necessari, gli Yo Yo Mundi furono affidabili compagni di viaggio anche del Manifesto. Con le loro canzoni langarole forti e gentili, che sanno di terra e di gente stropicciata dalla vita, ma per nulla rassegnata.
Oggi, tanti anni dopo, con una carriera più che trentennale e diciannove incisioni all’attivo il gruppo piemontese se ne esce con un disco di gran spessore realizzato sulle ali di un crowdfunding impetuoso, alla faccia del Covid e, ancora una volta, degli indifferenti. Titolo suggestivo: La rivoluzione del battito di ciglia. Racconta Paolo Archetti Maestri: i«Il titolo di lavoro dell’album è stato per qualche giorno L’estinzione del Koala, poi magicamente dal cilindro dei nostri pensieri aggrovigliati è spuntato fuori La rivoluzione del battito di ciglia. Ci piaceva questa cosa di mettere nella stessa frase due concetti opposti, ma sposi ideali per il nostro disegno. La parola rivoluzione così piena di energia e di voglia di cambiamento declinata insieme al battito di ciglia, atto naturale, spontaneo e delicato.
C’era sia la sintesi precisa delle nuove canzoni e una specie di agile manifesto, non solo sonoro, di una rivoluzione gentile per cambiare il mondo nel segno del rispetto e della tutela dell’ambiente, del pianeta, delle differenti culture e dei diritti delle persone».
Il disco può essere inteso come un’istantanea del gruppo al tempo del Covid e dell’impossibilità di scendere in mezzo alla gente?
Il respiro dell’universo è giusto il titolo del nostro singolo e video. In questo tempo tremendo in cui gli abbracci e l’intimità dei corpi ci sono negati, questa canzone è un brano pieno di speranza e di desiderio di futuro. È un auspicio di guarigione, certo, ma anche una presa di posizione contro l’ingordigia del profitto che sta uccidendo il pianeta e mettendo a rischio futuro noi e le generazioni a venire. Ma il respiro è anche il fiato che dà voce alle comunità in lotta, dall’Amazzonia, al Chiapas, fino alla Val di Susa, passando per la Birmania. Ed è quello profondo e lento che ci aiuta ad affrontare la paura, a domare l’ansia.
Un album nato con il crowdfunding. La nuova e pacifica «arma di costruzione di massa», di cultura, si intende, come ai tempi delle società di Mutuo Soccorso? E, a questo proposito, c’è un sostanziale percorso in parallelo tra voi e i vostri amici de Lastanzadigreta, anche sul crowdfunding. Avete mai pensato di unire le forze?
Coinvolgere le persone che seguono il nostro percorso artistico, in questo tempo dove la forbice tra gli investimenti della major e la musica indipendente vera si è mostruosamente allargata, monopolizzando di fatto gli spazi possibili di visibilità e tutte le risorse, è stato un atto necessario e naturale. Sì, siamo tornati al tempo del baratto, dello scambio, della condivisione. E ci piace, assai, perché ci sentiamo a casa. Con Lastanzadigreta avevamo pensato di realizzare uno spettacolo, Circo Rodari, dedicato al grande scrittore, giocoliere di versi, rime e parole, che entrambi amiamo. Chissà, magari qualcuno leggerà questa risposta e ci proporrà di rianimare l’idea, sarebbe fantastico, sia perché i Greta sono straordinari musicisti e bellissime persone, e sia perché un omaggio in musica a Gianni Rodari, sarebbe un gran bel sogno da sognare insieme.
Come è nata la scelta degli ospiti, alcuni vecchi amici?
Questa volta avevamo bisogno di non allargare il cerchio degli ospiti, semmai di stringerci forte per affrontare tutto quello che stava accadendo. Nel disco ci sono gli Yoyo di oggi – Paolo E. Archetti Maestri, Eugenio Merico, Andrea Cavalieri e Chiara Giacobbe – e quelli storici – Fabio Martino, Fabrizio Barale. E fra gli altri alcuni compagni di viaggio come Marino Severini dei Gang, Giorgio Li Calzi e Maurizio Camardi che in un modo o nell’altro avevano già intrecciato suoni e sogni con gli Yoyo.
Prova a descrivermi, nel tuo sogno, il primo concerto in pubblico degli Yo Yo Mundi senza più distanze sociali…
Intanto sarà emozionante, non ho dubbi. Poi credo che dopo tutto questo tempo tremendo che abbiamo patito, in molti si avvicineranno alla musica in un modo rinnovato. La musica e gli spettacoli non sono mancati solo a noi artisti, le persone hanno capito quanto siano privi di profondità gli spettacoli in streaming, non ne nego l’utilità durante l’emergenza, ma stare di fronte a un video non è la stessa cosa come assistere «in presenza» a un concerto – proprio come accade per la scuola – Quando arriverà quel tempo libero ne gioiremo tutti, sopra e sotto il palco, con una nuova consapevolezza.
Il filosofo tedesco di origine coreana Byung-Chul Han ha scritto che questo è un mondo in cui ormai domina la «comunicazione senza comunità» dei social, mentre soltanto i riti creano «comunità senza comunicazione», perché sennò è solo narcisismo e ego ipertrofico. Che ne pensi?
Il web, ormai ha svelato la sua vera essenza, ci era stato proposto come una grande occasione di visibilità, uno spazio libero e creativo, un mondo – seppur virtuale – dove uguaglianza, dialogo e opportunità avrebbero colmato le distanze fisiche e sociali. Promesse non mantenute, anzi tradite. Il web è una cloaca piena di spioni che vogliono farci consumare, consumandoci. E i social sono una prigione, piena di solitudini e «vorrei, ma non posso». È tempo di ricalcolare tutto questo abnorme individualismo, è tempo di azioni e sogni collettivi. Noi siamo vicini ai ragazzi di Fridays for Future, alle loro istanze, alle loro lotte, incongruenze comprese. Era dai tempi del punk che non si vedeva un movimento giovanile capace di proporre atti rivoluzionari, quella dei punk era nichilista e feroce, questa è determinata e non violenta
Fosbury, nel disco, dedicata al grande atleta è la storia di un visionario molto pratico. Può ancora essere il sogno a muovere le cose?
Facendo zapping mi sono imbattuto in un documentario che raccontava le sue gesta olimpiche. Nel1968, Dick Fosbury, lasciò il mondo a bocca aperta con una tecnica inedita che valse titolo olimpico e record del mondo. Durante l’intervista svelò che dietro al suo salto, che da allora porta il suo nome, non c’era alcun studio scientifico, ma che da ragazzino, cercando una soluzione per saltare più in alto, andando a pesca col nonno, vide il pesce allamato inarcarsi sulla schiena – l’immagine plastica riprodotta nel trofei di pesca! – imparando così il segreto del «suo» salto. Una storia straordinaria, una parabola rivoluzionaria, che chiedeva solo di essere cantata.
Scrivete di filari e di vino, e questo potrebbe anche essere scambiato per una «moda della qualità», scrivete di una valle che resiste nel silenzio e nel nuovo paradigma delle «opere che vanno fatte, punto e basta». Quanta paura avete degli equivoci?
Nessuna paura, gli equivoci sono come gli errori, ben vengano, perché spingono a migliorarsi. Li accogliamo con il sorriso e la gratitudine. Noi ci siamo scelti la parte, non potremmo mai diventare indifferenti, tanto meno stare zitti di fronte ad evidenti storture in nome di una democrazia zoppa, schiava del profitto e violentata dall’ingordigia. Ci fanno orrore quelli che di fronte alla conclamata evidenza di danni alla salute e all’ambiente, difendono l’indifendibile definendolo necessario al progresso. Ci fa orrore l’opportunismo. E se non fossimo tendenzialmente pacifisti e non violenti, metteremmo mano alla pistola ogni volta che sentiamo risuonare la parola «riforme», il solito modo ipocrita per annunciare l’intenzione di tagliare diritti e negare libertà. Armiamoci tutti di cacciaviti, smontiamo questo sistema pezzo per pezzo, prima che questo liquido grande nulla si ripieghi su stesso per la definitiva catastrofe. Scrivo di vino, per inneggiare all’ebrezza, contro ogni ubriachezza più o meno molesta, è una metafora per sottolineare quanto la bellezza, la curiosità, la joie de vivre, la creatività e il sorriso possano ancora salvare il mondo dal disastro, garantendo a tutti noi un posticino, meritato, nel paradiso degli acini d’uva!
GUIDO FESTINESE
foto: screenshot da ilmanifesto.it