Zero Mostel. Una risata (comunista) li seppellirà

I noir con Humprey Bogart, la "lista nera", il teatro, il ritorno al cinema con Buster Keaton e Woody Allen

In piena guerra fredda, negli USA si sviluppò un’autentica “caccia alle streghe” o meglio una “caccia ai comunisti”. Ad essere colpito fu anche il mondo del cinema. Tutto iniziò con le deposizioni al Congresso di Ronald Reagan, Gary Cooper e Robert Taylor, che accusarono numerosi colleghi di simpatie comuniste. I primi ad essere processati furono i cosiddetti “Dieci di Hollywood”, il più noto Dalton Trumbo, sotto pseudonimo, vinse due Oscar per il miglior soggetto per il celeberrimo Vacanze romane (1953) di William Wyler e per La più grande corrida (1956) di Irving Rapper.

Zero Mostel

Zero Mostel

Seguì pochi anni dopo la compilazione di una lista vera e propria, anzi di due liste. La prima venne redatta nel 1948, la seconda dopo il 1950. Le “Hollywood Blacklist” contenevano nomi di oltre 300 tra attori, attrici, autori, registi, sceneggiatori, musicisti accusati di essere comunisti. Alcuni videro la propria carriera distrutta, tra gli altri, John Garfield, Lloyd Gough e la moglie Karen Morley; altri furono costretti all’esilio come Charlie Chaplin, Jules Dassin, Joseph Losey e Orson Welles, altri ancora vennero messi sotto “stretta sorveglianza” come Harry Belafonte attore e cantante delle celeberrime Matilda e Banana Boat Song. Ci fu anche chi confessò e ebbe la vita distrutta dal rimorso come Sterling Hayden e chi confessò senza alcun tipo rimorso come Elia Kazan. E poi ci fu chi, con ironia, riuscì a continuare la propria carriera passando prima dal teatro, per poi tornare con successo sul grande schermo come Zero Mostel.

Il padre, Israel Mostel (1871 o 1873-1946), ebreo dell’Europa orientale, era solo un ragazzo quando nel 1898 emigrò negli Stati Uniti. Si sposò presto con una giovane emigrata austriaca, Esther Wirklich (1872-1908), dalla quale ebbe quattro figli. Dopo la prematura morte della moglie, conobbe Cina “Celia” Druchs (vero nome Hudia Yehudis Tzina Druks Schwartz, 1886-1954) ebrea di origine polacca emigrata negli USA nel 1908. I due ebbero altri quattro figli, il penultimo fu Samuel Joel Mostel nato Brooklyn il 28 febbraio 1915.

La numerosa famiglia Mostel si trasferì da New York in una fattoria a Moodus nel Connecticut. Papà Israel aprì una cantina e una macelleria, ma le cose non andavano bene e ben presto i dieci Mostel tornarono a New York, nella Lower East Side di Manhattan. Samuel Joel (Simcha Yoel), un bambino vivace, intelligente e con grande senso dell’umorismo, iniziò a frequentare la scuola pubblica, con scarsi risultati al punto che, come ricordò il fratello Bill (1918-1990), la madre lo soprannominò Zero (che in inglese ha il nostro stesso significato) ironizzando sulla media dei suoi voti.

foto provino di Zero Mostel nei primi anni ’40

Nonostante questo, il padre vedeva nel figlio un futuro rabbino, ma il giovane Samuel preferì impegnarsi nella scuola e soprattutto dedicarsi alla pittura e al disegno, una passione che mantenne per tutta la vita. Per aiutarlo mamma Celia lo mandava spesso al Metropolitan Museum of Art per conoscere e copiare i grandi capolavori. Le sue opere preferite erano quelle dell’illustratore John White Alexander.

Zero frequentò il City College di New York, struttura pubblica per studenti delle classi sociali più povere, dove si laureò nel 1935. Successivamente conseguì un Master presso la New York University e imparò a parlare correttamente quattro lingue (inglese, yiddish, italiano e tedesco) all’Art Students League. Nel 1937 trovò impiego sia come insegnante di disegno e pittura presso il Works Progress Administration’s Federal Art Project a Manhattan sia come insegnante d’arte al Young Men and Young Women’s Hebrew Association (l’associazione dei giovani ebrei). Parallelamente iniziò a lavorare in diversi musei intrattenendo gli studenti in visita. I suoi “insegnamenti” che, univano didattica e umorismo, vennero subito notati.

Mostel in quegli anni conobbe Clara Sverd che sposò nel 1939. Il matrimonio durò solo pochi anni a causa, stando alle dichiarazioni della Sverd, dei continui impegni artistici di Zero. Grazie al suo senso dell’umorismo, unito ad una simpatica fisicità, infatti, Mostel iniziò ad essere sempre più di frequente invitato ad esibirsi in feste private e club locali. I due si separarono nel 1941 per poi divorziare nel 1944. La donna accettò solo in cambio di una percentuale sui guadagni dell’ormai ex marito. La disposizione durò fino alla metà degli anni ’50. Periodo non casuale.

Mostel passò dai musei al cabaret e ai nightclub. Debuttò perfino alla radio. Nel 1941 a margine di un’esibizione nel jazz club Cafe Society, l’agente del locale Ivan Black affinò il soprannome Zero per sottolineare come quel ragazzo fosse un tipo che si era fatto dal nulla (“Here’s a guy who’s starting from nothing”). Il 16 febbraio del 1942, a ventisette anni, iniziò a lavorare stabilmente nel Cafe Society. Guadagnava dai tre ai cinque dollari ad intervento che univano comicità, satira sociale e attacchi ad esponenti politici della destra. Divenne sempre più popolare. In breve tempo il suo stipendio aumentò da 40 a 450 dollari alla settimana.

foto provino di Zero Mostel nei primi anni ’40

Furono anni densi e importanti per Zero Mostel. Debuttò in teatro prima interpretando, non accreditato, piccoli ruoli nella commedia messa in scena da Elia Kazan “Cafe Crown al Cort Theatre” (141 spettacoli di fila fino al marzo del 1942), poi ufficialmente il 24 aprile 1942 al 44th Street Theatre con “Keep ‘em Laughing” (77 spettacoli di seguito). Fece il suo esordio anche sul grande schermo nel film Du Barry Was a Lady (Mademoiselle du Barry, 1943) una commedia musicale prodotta dalla MGM, diretta da Roy Del Ruth e interpretata al fianco di Red Skelton, Lucille Ball e Gene Kelly. Ma il contratto con la Metro-Goldwyn-Mayer si interruppe subito poiché Zero prese parte alle manifestazioni contro il film “revisionista” prodotto dalla stessa MGM, Tenesse Johnson (film del 1942 diretto da William Dieterle, attore tedesco che aveva lavorato anche con Emil Jannings) dedicato alla figura del Presidente USA Andrew Johnson.

Fu in questi mesi, culturalmente e artisticamente stimolanti, che Zero Mostel si avvicinò alla Young Communist League USA (l’associazione giovanile del PCUSA), molto attiva nell’area di New York (nel 1939, solo nella “Grande mela”, gli iscritti erano oltre 12000). Successivamente, nel 1944, quando Earl Browder, Segretario Communist Party of the United States of America, decise di sciogliere il partito per favorire l’inserimento dei comunisti nel sistema bipartitico statunitense, “i giovani comunisti” divennero gli American Youth for Democracy.

Anche la vita sentimentale di Zero subì dei cambiamenti. Nel 1942, durante i suoi sempre più frequenti spettacoli, conobbe Kathryn “Kate” Cecilia Harkin una giovane corista e attrice che, dopo due anni di corteggiamento, sposò il 2 luglio 1944. La coppia ebbe due figli Josh (New York, 21 dicembre 1946) e Tobias (New York, 29 settembre 1948) e il matrimonio durò per tutta la vita.

Nel 1943 Mostel venne arruolato nell’esercito, ma fu presto messo sotto inchiesta per la sua appartenenza al PCUSA. “Sicuramente un comunista” stabilì il servizio di Intelligence. Nonostante questo, o forse per questo, nell’agosto del 1943 fu congedato con onore a causa di un non ben precisato problema fisico. Passò il resto della Seconda guerra mondiale ad intrattenere le truppe oltreoceano, ma gli fu impedito di realizzare un proprio spettacolo.

Finita la Guerra mondiale la carriera di Mostel riprese con successo. Apparve in numerose rappresentazioni teatrali, musical, opere liriche. Approdò alla televisione. Il 19 ottobre 1948 debuttò con la serie “Off the Record” insieme al comico Joey Faye sull’emittente WABD (oggi la Channel 5 della FOX), seguirono “The Ford Theatre Hour” della NBC per arrivare ad un programma tutto suo, “Channel Zero” trasmesso dall’emittente newyorchese WPIX. L’11 maggio 1949 apparve anche in una puntata del “The Ed Sullivan Show”. Per i critici era un artista versatile capace di tenere il palco come pochi.

Bandiera gialla (1950) di Elia Kazan

Nel 1950 tornò nelle sale cinematografiche con Panic in the Streets (Bandiera gialla) di Elia Kazan, regista che Mostel aveva già conosciuto in teatro e che lo aveva fortemente voluto dopo la cacciata dalla MGM.

Nei bassifondi di New Orleans un uomo di nome Kochak (Lewis Charles) viene ucciso dal gangster Blackie (il debuttante Jack Palance) e dai suoi due tirapiedi Kochak Poldi (Guy Thomajan) e Raymond Fitch (Zero Mostel). Quando l’autopsia rivela che l’uomo era affetto da peste polmonare, il medico Clinton Reed (Richard Widmark) e lo scettico Capo della polizia Tom Warren (Paul Douglas) scatenano un’autentica una caccia all’uomo per trovare chiunque sia stato in contatto con Kochak ed evitare un’epidemia.

Un bel noir, dal ritmo serrato, vincitore dell’Oscar come Miglior soggetto (conferito a Edna Anhalt e al marito Edward Anhalt) e un ruolo insolitamente “cupo” per Zero Mostel che dimostrò una volta di più la sua grande versatilità. Attitudine che non passò inosservata.

Nel 1951 un nuovo ruolo importante nel film The Enforcer (La città è salva) diretto da Bretaigne Windust e Raoul Walsh al fianco di Humphrey Bogart, all’ultimo film per la Warner Bros.

La città è salva (1951) di Bretaigne Windust e Raoul Walsh

La sera prima di deporre contro il gangster Albert Mendoza (Everett Sloane), il testimone Jose Rico (Ted de Corsia) precipita da un cornicione costringendo il Procuratore distrettuale Martin Ferguson (Humphrey Bogart) a trovare nuovi testimoni capaci di incastrare il criminale. Nella sua forsennata ricerca Ferguson, affiancato dal Capitano Frank Nelson (Roy Roberts), ripercorre l’indagine che lo aveva portato a sgominare una banda che forniva killer per omicidi su commissione. Ripensa all’insignificante Big Babe Lazick (Zero Mostel) divenuto un killer solo per far parte di un gruppo e capisce un testimone c’è, o meglio una testimone, sulle cui tracce si sono messi anche gli uomini di Mendoza.

Altro grande noir in parte ispirato alle gesta della cosiddetta Murder inc., banda di killer italiani ed ebrei attivi tra gli anni ’30 e gli anni ’40, che negli anni di uscita del film era oggetto delle udienze della commissione presieduta dal senatore democratico Estes Kefauver, in cui l’inchiesta di Ferguson è riproposta con un uso sapiente del flashback esaltato dalla fotografia, appositamente cupa, di Robert Burks.

Dopo il cabaret e il teatro Zero Mostel aveva sfondato anche nel mondo del cinema al punto che Humphrey Bogart lo volle con se nella Santana Productions, la casa di produzione fondata dal protagonista di Casablanca, per il successivo Sirocco (Damasco ’25, 1951) diretto da Curtis Bernhardt. Il trafficante d’armi Harry Smith (Humphrey Bogart) rifornisce i ribelli siriani contro i francesi. Pellicola meno interessante delle precedenti in cui Mostel interpretò l’ambiguo Balukjian.

Damasco ’25 (1951) di Curtis Bernhardt

Sempre nel 1951 anno uscirono Mr. Belvedere Rings the Bell (Mr. Belvedere suona la campana) di Henri Koster terzo e ultimo film della serie dedicata al personaggio interpretato da Clifton Webb, The Guy Who Came Back di Joseph M. Newman e soprattutto The Model and the Marriage Broker (Mariti su misura) di George Cukor che esaltò le doti comiche di Mostel. Tutti film della Twentieth Century-Fox che lo licenziò poco dopo, era troppo di sinistra. Venne contattato dalla Columbia, ma l’accordo non si concluse.

Il 29 gennaio 1952, infatti, Martin Berkeley (1904-1979), sceneggiatore televisivo iscritto al PCUSA fino al 1943, convocato davanti alla Commissione per le attività antiamericane (House Committee on Un-American Activities, HUAC) su “segnalazione” del collega Richard J. Collins, fece 155 nomi di comunisti e simpatizzanti comunisti, guadagnandosi da parte dell’HUAC l’appellativo di “number one friendly witness”. Tra i nomi fatti c’era anche quello di Zero Mostel.

Il nome di Mostel venne confermato da Jerome Robbins (New York, 11 ottobre 1918 – New York, 29 luglio 1998) ballerino e coreografo attivo principalmente a Broadway (vincitore di due premi Oscar entrambi nel 1962. Il primo Onorario “Per i suoi brillanti risultati nell’arte della coreografia nei film” il secondo per la Miglior regia, insieme a Robert Wise per West Side Story). Robbins venne ricattato dai membri dell’HUAC, se non avesse fatto il nome di altri comunisti, avrebbero reso nota la sua omosessualità. Omosessuale e comunista sarebbe stato troppo per chiunque negli Stati Uniti degli anni cinquanta. Robbins cedette. Fece anche i nomi di Sterling Hayden, Burl Ives, Robert Montgomery, Lela Rogers (madre di Ginger Rogers) e Elia Kazan. Convocato a sua volta anche Kazan (Costantinopoli, 7 settembre 1909 – New York, 28 settembre 2003), che aveva definito Mostel “uno degli uomini più divertenti e più originali che abbia mai incontrato”, confermò: Zero Mostel era comunista.

Il 14 ottobre del 1955 Zero Mostel, accompagnato dal legale Richard Gladstein, venne convocato davanti alla “Commissione”. In nome del Quinto emendamento della Costituzione statunitense non rispose alle domande sulle sue simpatie politiche, si rifiutò di fare nomi di colleghi, ridicolizzò con la sua ironia la HUAC rappresentata per l’interrogatorio dal democratico Clyde Doyle, dal repubblicano Donald L. Jackson e dall’avvocato Frank S. Tavenner Jr.

Clyde Doyle, Donald L. Jackson e Frank S. Tavenner Jr, i grandi accusatori di Mostel

Alcuni estratti dell’interrogatorio. Tavenner: “Si trovava a Hollywood o nello Stato della California successivamente al 1942, per portare avanti la sua carriera di artista?”. Mostel: “Oh si. Ho fatto diversi film […] e firmai un contratto per la Twentieth Century Fox. O è la Eightennth Century Fox? Non mi ricordo”. Tavenner: “Lei è anche noto come Zero, dico bene?”. Mostel: Si signore. Dalla mia nota situazione finanziaria permanente…”.

La Commissione per le attività antiamericane gli ricordò alcune “cattive frequentazioni” dai gestori del Cafe Society dove aveva debuttato, all’amicizia con l’attore comunista Lionel Stander (New York, 11 gennaio 1908 – Los Angeles, 30 novembre 1994). Non solo. Il dossier su Mostel era corposo. I membri della HUAC chiesero conto di uno spettacolo tenutosi il 26 dicembre del 1943 a sostegno dei rifugiati antifascisti. Poi di uno show in programma il 14 giugno 1946 a sostegno della Gioventù Americana per la Democrazia (i “giovani comunisti”). La pubblicità dell’evento, tuttavia, riportava altri nomi e Mostel, rifiutandosi di rispondere, colse la palla al balzo: “Oh, sia detto per inciso, leggo dei gran bei nomi su questa pubblicità del Comitato Antifascista: Jimmy Durante, Milton Berle, Georgia Sothern…”. Tutti artisti che si erano schierati a favore della “caccia alle streghe”. Replicò stizzito Jackson: “Nessuno di loro è mai stato identificato in seduta pubblica come iscritto al Partito comunista, tuttavia”. Mostel addirittura difese l’operato dal PCUSA sottolineando che non erano terroristi.

L’interrogatorio continuò con un ritmo sempre più serrato. Gli accusatori rispolverarono una copia della rivista comunista Mainstream, curata da Dalton Trumbo, nella quale Mostel veniva ringraziato per una raccolta fondi a sostegno del PCUSA. Fece seguito quella che divenne nota come la “difesa della farfalla”. Mostel: “Apprezzo molto la sua opinione, ma vorrei dire che resto delle mie idee, anche se affermarlo è impolitico o non saggio da parte mia. E se fossi apparso (alla manifestazione a sostegno del PCUSA, nda) e avessi fatto l’imitazione di una farfalla che, stanca di volare si riposa? Non credo sia un crimine far ridere la gente. Neanche se ride di me”. Jackson: “Se la sua interpretazione della farfalla che si riposa ha portato soldi nelle casse del Partito comunista, lei ha contribuito direttamente alla propaganda di quel Partito”. Mostel: “Supponiamo che abbia avuto voglia di fare la farfalla che si riposa da qualche parte”. Doyle: “Si, ma per favore, quando ha una tale impellenza non la faccia riposare da qualche parte dove possa portare soldi alle casse del Partito comunista. Faccia riposare la farfalla da qualche altra parte, la prossima volta”. Jackson: “Suggerisco di mettere a riposo quest’audizione della farfalla…”.

Zero Mostel da attore emergente alla “lista nera”

L’interrogatorio, portato in scena anni dopo da Jim Brochu nello spettacolo “Zero Hour”, non salvò Zero Mostel che finì nella lista nera sia della televisione sia del cinema. Gli venne, perfino, preclusa la possibilità di esibirsi nei nightclub.

Trovò lavoro in piccoli spettacoli, poco retribuiti, in locali minori, e dovette vendere i suoi dipinti. Nel 1958 tornò a teatro dove non vigeva una vera e propria “lista nera”. Fu contattato dall’amico Burgess Meredith (Cleveland, 16 novembre 1907 – Malibù, 9 settembre 1997), anch’egli nella “Hollywood Blacklist” e noto al grande pubblico per aver interpretato Pinguino nella serie televisiva Batman degli anni sessanta e per essere stato l’allenatore di Rocky nell’omonimo film, che gli offrì il ruolo di Leopold Bloom nella rappresentazione “Ulysses in Nighttown” (basata sull’”Ulisse” di James Joyce). L’opera, rappresentata anche a Londra e Parigi, valse a Mostel l’Obie Award il maggior riconoscimento per produzione off-Broadway e il premio come Miglior attore al Festival delle Nazioni di Parigi nel 1961.

Il “maccartismo” era finito, ma dopo una breve apparizione in TV nell’episodio “The World of Sholom Aleichem” della serie “Play of the Week” (14 dicembre 1959) tornò a Broadway. Il ritorno sul palcoscenico più importante del mondo era fissato per la commedia “The Good Soup”, ma l’attore si ruppe una gamba in un incidente stradale e rimase fuori dalle scene per oltre cinque mesi pur figurando nel cast. Il ritorno vero e proprio fu un successo. Recitò, infatti, in “Rhinoceros” piéce tratta dall’opera di Eugène Ionesco, che gli valse un Tony Award (il “premio Oscar” di Broadway), nell’autunno del 1960.

lo spettacolo “A Funny Thing Happened on the Way to the Forum”

Il 3 aprile 1961 ancora ospite della trasmissione “Play of the Week” recitò “Aspettando Godot” di Samuel Beckett. Ma il teatro era la sua casa. Nel 1962 insieme all’amico Jack Gilford (New York, 25 luglio 1907 – New York, 4 giugno 1990), anch’egli vittima della “caccia alle streghe”, interpretò il musical “A Funny Thing Happened on the Way to the Forum” (“Dolci vizi al Foro”) per la regia di George Abbott. Del cast, come coreografo, faceva parte anche Jerome Robbins che lo aveva accusato davanti alla HUAC. Mostel passò oltre e andò avanti con la solita ironia. La prima andò in scena l’8 maggio 1962 all’Alvin Theatre e fu un successo. Seguirono altre 963 rappresentazioni consecutive, incluse quelle al Mark Hellinger Theatre e al Majestic, che si conclusero il 29 agosto 1964.

Ad inizio 1964 venne contattato da Samuel Beckett che lo voleva interprete dell’unica opera cinematografica pensata dal drammaturgo inglese, ma Zero rifiutò poiché ancora impegnato con successo in “A Funny Thing Happened on the Way to the Forum” che nel 1963 si era aggiudicato 6 Tony Award tra cui quello per il Miglior attore protagonista in un musical a Mostel. La pellicola voluta da Beckett, Film (1965) diretto da Alan Schneider, venne poi interpretata da Buster Keaton.

lo spettacolo “Fiddler on the Roof” noto in Italia come “Il violinista sul tetto”

Zero, invece, continuò con successo la sua carriera teatrale interpretando il lattaio Tevye in “Fiddler on the Roof” (“Il violinista sul tetto”) basato sulle storie di Sholom Aleichem. Mostel si trovò ancora a diretto contatto con Jerome Robbins che, al contrario di Elia Kazan occasionalmente incontrato e volutamente insultato da Mostel per le vie di New York, aveva fatto nomi solo perché ricattato. “Fiddler on the Roof”, che contiene la celebre canzone “If I Were a Rich Man”, fu un successo senza precedenti: 3242 rappresentazioni, 8 anni di programmazione (dal 22 settembre 1964 al 2 luglio 1972), uno dei più grandi spettacoli nella storia di Broadway che nel 1965 gli valsero 9 Tony Awards incluso il terzo per Tony Mostel, cui se ne aggiunse uno nel 1972 per essere divenuto il più longevo musical nella storia di Broadway.

Parallelamente Zero Mostel riprese l’attività cinematografica. Nel 1966, a quindici anni dalla sua ultima apparizione sul grande schermo, recitò nella trasposizione cinematografica di A Funny Thing Happened on the Way to the Forum (Dolci vizi al Foro) diretta da Richard Lester, che nel 1968 diresse Mutazioni il film di debutto di un altro comunista, Marty Feldman.

Nell’antica Roma lo schiavo Pseudolus (Zero Mostel) per guadagnarsi la libertà aiuta Hero (Michael Crawford), figlio del suo padrone Hysterium (Jack Gilford), a conquistare Philia (Annette Andre) la donna di cui si è innamorato. La ragazza, proprietà del mercante Marcus Lycus (Phil Silvers), è tuttavia già stata promessa al Generale Miles Gloriosus (Leon Greene). Involontariamente il lieto fine sarà garantito dal vecchio Erronius (Buster Keaton) alla ricerca dei suoi figli.

Dolci vizi al foro (1966) di Richard Lester

Il film, l’ultimo per Buster Keaton, fu una trasposizione piuttosto fedele dell’opera teatrale omonima a partire dal cast capitanato da Zero Mostel. Ricco di scene divertenti, la pellicola si aggiudicò nel 1967 l’Oscar alla migliore colonna sonora (adattamento) conferito al compositore britannico Ken Thorne.

Mostel continuava, tuttavia, a preferire il teatro al cinema, ma un regista debuttante lo volle per il suo primo film. Quel regista era Mel Brooks (New York, 28 giugno 1926) che nel 1968 stava realizzando The Producers (Per favore, non toccate le vecchiette, nella pessima la titolazione italiana).

Max Bialystock (Zero Mostel) è un produttore di Broadway che si finanzia seducendo delle arzille vecchiette, ma quando nel suo ufficio si presenta per una verifica fiscale il timido contabile Leo Bloom (Gene Wilder), capisce che può fare “meglio” ovvero capisce che un produttore disonesto può guadagnare di più da un fiasco che da uno spettacolo di successo. I due si mettono così in società con un piano ben preciso: raccogliere un milione di dollari per finanziare l’intero spettacolo e scappare dopo la “prima”. Acquistano così i diritti dell’orribile musical “Springtime for Hitler” (“La primavera di Hitler”) scritto da un fervente reduce nazista, Franz Liebkind (Kenneth Mars) e, per essere sicuri del flop, ingaggiano nella parte del protagonista l’attore Lorenzo St. Dubois noto come “LSD” (Dick Shawn). Ma inaspettatamente la prima è un successo…

Per favore, non toccate le vecchiette (1968) di Mel Brooks

Una commedia intelligente e divertente, che contiene una feroce critica a Broadway e di riflesso anche a Hollywood. Gene Wilder (Milwaukee, 11 giugno 1933 – Stamford, 29 agosto 2016), al suo secondo film, era tuttavia preoccupato di lavorare con Mostel che aveva la fama di essere pignolo ed esigente, ma quando i due si incontrarono, Zero ruppe subito il ghiaccio, abbracciò e baciò sulla bocca Wilder! L’amicizia tra i due attori fece la fortuna della pellicola.

The Producers può vantare diversi riconoscimenti. Nel 1969 vinse l’Oscar per la Migliore sceneggiatura originale, nel 1996 venne incluso, insieme a M*A*S*H (1970) di Robert Altman, nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America, nel 2000 fu inserito dall’American Film Institute all’undicesimo posto tra le migliori commedie di tutti i tempi, nel 2001 lo stesso Mel Brooks ne trasse uno spettacolo teatrale (vincitore di 12 Tony Award), nel 2005 venne, infine, realizzato un remake diretto da Susan Stroman, distribuito in Italia col titolo The Producers – Una gaia commedia neonazista.

Grandi risultati per un film che rischiò di non uscire nelle sale. Il film, che si sarebbe dovuto intitolare “Springtime for Hitler”, il nome dello spettacolo portato in scena nel film, non era gradito, infatti, al produttore Joseph E. Levine e uscì solo grazie all’intervento di Peter Sellers. In Italia solo nel 1971.

L’angelo Levine (1970) di Ján Kadár

Furono gli anni della definitiva rinascita di Zero Mostel. Tra il 1968 e il 1969 apparve numerose volte nella quarta stagione del celebre “The Dean Martin Show” sulla NBC e recitò in alcune pellicole. Nel 1969 recitò nel modesto The Great Catherine (Caterina sei grande, 1969) di Gordon Flemyng al fianco di Peter O’Toole, lo stesso anno uscì la commedia western The Great Bank Robbery (Quel fantastico assalto alla banca) diretto da Hy Averback al fianco di Kim Novak, cui fece seguito The Angel Levine (L’angelo Levine, 1970) di Ján Kadár ispirato all’omonima raccolta dello scrittore Bernard Malamud, nel film Mostel recitò insieme ad un altro artista della “Hoolywood Balcklist”, Harry Belafonte.

Tra impegni televisivi e cinematografici, Mostel continuava con successo anche l’attività teatrale con il già citato “Fiddler on the Roof”, spettacolo che nel 1971 venne adattato per il cinema. Ma nello stupore generale Zero fu escluso da cast e la sua parte, quella del protagonista, venne affidata a Chaim Topol. Fiddler on the Roof (Il violinista sul tetto, 1971) diretto da Norman Jewison, ottenne diversi riconoscimenti (tra l’altro la nomination all’Oscar per Topol), ma non ottenne il successo sperato. Per gli spettatori il lattaio Tevye era e continuava ad essere Mostel.

La pietra che scotta (1972) di Peter Yates

Nel 1972 un nuovo importante un ruolo al cinema nel film The Hot Rock (La pietra che scotta) di Peter Yates insieme a Robert Redford. La pellicola descrive la azioni di quattro ladri alla ricerca di un gioiello in cui la comicità ha la meglio sulla suspense, anche grazie alla recitazione di Mostel. Seguirono Once Upon a Scoundrel (1973) pellicola americo-messicana diretta da George Schaefer e Marco (1973) di Seymour Robbie incentrato sulla figura di Marco Polo.

Nel 1974 Zero Mostel tornò a recitare con Gene Wilder per la trasposizione cinematografica di Rhinoceros (Il rinoceronte) per la regia di Tom O’Horgan, ma l’allegoria del conformismo e dei regimi totalitari in cui gli uomini si trasformano in rinoceronti, tratteggiata dall’autore Eugène Ionesco, mal si adattò al grande schermo nonostante la bravura degli attori. Seguirono Foreplay (1975) di John G. Avildsen, Journey into Fear (La rotta del terrore, 1975) di Daniel Mann e Mastermind (1976) di Alex March una fiacca parodia del genere thriller. A teatro Mostel tornò per le nuove rappresentazioni di “Ulysses in Nighttown” nel 1974 e “Fiddler on the Roof” nel 1976.

Il rinoceronte (1974) di Tom O’Horgan

Erano passati oltre venti anni dalla “lista nera”, ma Hollywood non aveva mai avuto il coraggio di raccontare quella che Eleanor Roosevelt definì “una vera e propria ondata di fascismo”. Gli USA, da molti (troppi) considerati un “faro della democrazia”, sono così. Nel 1976 il regista Martin Ritt (New York, 2 marzo 1914 – Santa Monica, 8 dicembre 1990), che era finito nella “Hollywood Blacklist”, decise di portare sul grande schermo quella pagina di storia americana.

Scelse di realizzare una commedia e si circondò di persone che come lui avevano vissuto quegli anni bui dallo sceneggiatore Walter Bernstein (New York, 20 agosto 1919) agli attori Herschel Bernardi (New York, 30 ottobre 1923 – Los Angeles, 9 maggio 1986), Lloyd Gough e ovviamente Zero Mostel. Con loro un giovane e talentuoso interprete, Woody Allen. Nacque così The Front (Il prestanome).

Il prestanome (1976) di Martin Ritt

Negli anni cinquanta il modesto cassiere di un ristorante col vizio del gioco, Howard Prince (Woody Allen), è perennemente al verde e per questo accetta di fare da prestanome allo sceneggiatore Alfred Miller (Michael Murphy) finito nella “lista nera”. Gli scritti vengono presentati al produttore TV Phil Sussman (Herschel Bernardi) e diventano programmi di successo interpretati dall’attore Hecky Brown (Zero Mostel). Howard accetta così di fare da prestanome anche ad altri autori comunisti (interpretati da Lloyd Gough e Remak Ramsay). La “sua” sensibilità colpisce la giovane Florence Barrett (Andrea Marcovicci), idealista segretaria del produttore televisivo e insospettiscono la Commissione per le attività antiamericane che nel frattempo aveva portato al licenziamento di Hecky Brown colpevole di aver partecipato al corteo del Primo maggio. Quest’ultimo, tuttavia, ha la possibilità di riabilitarsi fornendo informazioni su Howard, ma rifiuta e umiliato si uccide. Convocato davanti alla “Commissione” il “prestanome” prende finalmente coscienza di quello che è accaduto e rifiuta di denunciare perfino l’amico morto. I titoli di coda ricordano che alcuni degli autori e dei protagonisti del film erano stati nella morsa del “maccartismo”.

Il primo film su quegli anni bui è un piccolo gioiello, forse non perfetto, ma imperdibile e fu l’ultimo per Zero Mostel. Artista capace di reinventarsi, tra il 31 maggio e il 2 giugno del 1977 partecipò alla realizzazione dell’episodio 202 del celeberrimo The Muppet Show. Un successo. L’ultimo. Pochi mesi dopo, durante la lavorazione dello spettacolo teatrale “The Merchant” di Arnold Wesker (tratto da “Il mercante di Venezia” di William Shakespeare) Zero Mostel si accasciò al suolo nel suo camerino. Venne ricoverato a Filadelfia, dove morì l’8 settembre 1977 per un fatale attacco di cuore. Il suo corpo venne cremato.

Zero Mostel ride con Buster Keaton sul set di “Dolci vizi al fono”

Oggi la sua arte continua anche grazie ai figli Josh attore cinematografico, tra l’altro l’Erode di Jesus Christ Superstar (1973) e il protagonista di Big Daddy (Big Daddy – Un papà speciale, 1999) e Tobias pittore di successo.

Zero Mostel, artista versatile come pochi, passò con disinvoltura dal cabaret al teatro, dai film noir ai musical, dalla commedia alla televisione. Queste caratteristiche, unite alla sua passione per l’arte e la pittura, ne fecero un personaggio unico che, senza la “caccia ai comunisti”, sarebbe stato ancora più grande. Ma in fondo una risata li seppellirà.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Zero Mostel: a Biography” di Jared Brown (INEDITO IN ITALIA)
“Dizionario del comunismo del XX secolo” a cura di Silvio Pons e Robert Service – Einaudi
“Fuori i Rossi da Hollywood! Il maccartismo e il cinema americano” di Sciltian Gastaldi – Lindau
“Baciami come uno sconosciuto” di Gene Wilder – Sagoma
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

Immagini tratte da
Immagine in evidenza Screenshot dei film La città è salva e Per favore, non toccate le vecchiette, foto 1, 8, 9, 10 media.photobucket.com, foto 2, 3 da freeclassicimages.com, foto 4, 5, 6, 11, 12, 13, 14, 15, 16  Screenshot del film riportato nella didascalia, foto 7 composizione da en.wikipedia.org, foto 17 da it.pinterest.com

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