Una saga o serie cinematografica è un insieme di film legati da una sequenzialità o successione. Un formato che nacque negli anni venti, nei paesi nordici. All’inizio l’intera saga veniva “compressa” in un’unica “lunga” pellicola, da ricordare Gunnar Hedes saga (The Blizzard, 1923), in parte perduto e inedito in Italia e Gösta Berlings saga (La leggenda di Gösta Berling o I cavalieri di Ekebù, 1924), primo lungometraggio di Greta Garbo, entrambi diretti dallo svedese Mauritz Stiller. Poco tempo dopo il tedesco Fritz Lang fu il primo a dividere un proprio film, Die Nibelungen (I nibelunghi), dando vita a due pellicole distinte Die Nibelungen: Siegfried (I Nibelunghi: Sigfrido o I Nibelunghi: la morte di Sigfrido) e Die Nibelungen: Kriemhilds Rache (I Nibelunghi: la vendetta di Crimilde), entrambe uscite nel 1924.
Da allora le saghe cinematografiche si sono moltiplicate da James Bond al Padrino, da Rocky ad Indiana Jones, dal Signore degli Anelli a Harry Potter passando per il monumentale Heimat diretto da Edgar Reitz e diviso in ben undici episodi. Anche l’Italia ha avuto le sue serie cinematografiche dalle cinque pellicole di Don Camillo interpretata da Fernandel e Gino Cervi ai dieci film di Fantozzi il personaggio creato e interpretato da Paolo Villaggio. Ma una saga ha riempito, e continua a riempire, i cinema di tutto il mondo: la saga di Star Wars, nota in Italia anche come Guerre stellari, ideata a e realizzata da George Lucas.
Negli Stati Uniti, dalla fine degli anni sessanta, si era affermata una generazione di registi che aveva portato ad un radicale rinnovamento del cinema statunitense. La cosiddetta “New Hollywood” cambiò da una parte i sistemi produttivi e l’organizzazione aziendale, dall’altra archiviò commedie, musical e kolossal storici, tanto cari alla “vecchia Hollywood”, per conquistare un pubblico più giovane anche grazie a pellicole spettacolari non prive tuttavia di un forte spessore ideologico. Modelli unici di un cinema colto e popolare al tempo stesso, perfettamente in linea con lo spirito di rivolta di quegli anni. Nell’area di New York si affermarono Brian De Palma (Vestito per uccidere, Scarface) e Martin Scorsese (Taxi Driver, Toro scatenato), mentre in California operava la cosiddetta “Banda dei quattro” composta da Francis Ford Coppola (Il padrino, Apocalypse Now), Steven Spielberg (Incontri ravvicinati del terzo tipo, E.T. l’extra-terrestre), John Milius (Dillinger, Un mercoledì da leoni) e appunto George Lucas.
Nato a Modesto in California il 14 maggio 1944 da una famiglia non particolarmente ricca (il padre commerciante di noci aveva un piccolo emporio), Lucas a metà degli anni sessanta, scoprì il cinema della nouvelle vague francese, con particolare attenzione verso le opere di Jean-Luc Godard. Seguì, pertanto, corsi di cinema alla Southern University California dove realizzò alcuni cortometraggi, opere di pochi minuti nella miglior tradizione dell’underground californiano. Il primo fu Look at Life (1966) lungo un solo minuto, una sorta di saggio di fine anno accademico in cui Lucas montò una serie di fotografie tratte dalla rivista “Life”. Seguirono Herbie (1966), Freiheit (1966), 1:42:08 (1966), The Emperor (1967), Anyone Lived in a Pretty How Town (1967), 6.18.67 (1967) e soprattutto Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB (1967) il suo saggio conclusivo alla University of Southern California.
Nel 1968, l’anno del diploma, una borsa di studio gli consentì di seguire la lavorazione del film Finian’s Rainbow (Sulle ali dell’arcobaleno, 1968) diretto da Francis Ford Coppola, regista di cinque anni più vecchio e con all’attivo già tre lungometraggi, col quale iniziò un importante sodalizio artistico che proseguì nel successivo The Rain People (Non torno a casa stasera, 1969) per il quale Lucas venne assunto come aiuto scenografo, ma nella realtà curò anche la fotografia e il montaggio. Nella pellicola di Coppola recitava anche Robert Duvall che interpretò il ruolo del protagonista anche nel primo lungometraggio diretto da George Lucas THX 1138 (L’uomo che fuggì dal futuro, 1971). Prodotto da Coppola e ispirato al suo precedente cortometraggio Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB, la pellicola, tra fantascienza e sociologia, racconta la fuga di un uomo (Robert Duvall) da un futuro frustrante in cui la vita è diventata sotterranea, le sigle hanno sostituito i nomi e l’amore è proibito. La Warner bros., inizialmente coinvolta, si ritirò dal progetto lasciando Coppola a rischio indebitamento. Ma, seppur fuori concorso, L’uomo che fuggì dal futuro venne presentato a Cannes e diventò, almeno in Europa, un cult movie.
Coppola non andò pertanto in perdita e l’anno successivo girò The Godfather (Il padrino), grazie ai cui proventi il regista riuscì a finanziare anche la seconda opera di Lucas, American Graffiti (1973) una commedia per teenagers che, al di la dell’apparenza spensierata, affronta il tema della dolorosa iniziazione alla vita adulta con una riflessione critica sulla società contemporanea. Il film ottenne cinque nomination all’Oscar (Film, Regia, Sceneggiatura originale, Attrice non protagonista e Montaggio), ma non si aggiudicò nemmeno un premio.
In quegli anni, in piena “New Hollywood”, John Milius aveva iniziato a scrivere una sceneggiatura tratta dal romanzo “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad e aveva pensato ai due amici, Coppola e Lucas, nelle vesti di produttore e regista nella nuova pellicola. Coppola divenne il regista, quel film era Apocalypse Now, mentre Lucas lasciò per dedicarsi ad un film che sognava da tempo. Infatti, già durante la ricerca di un produttore per American Graffiti, il regista aveva presentato senza successo, prima alla MGM poi alla Universal, un progetto chiamato “The Star Wars”.
La prima stesura della sceneggiatura, 14 pagine, venne scritte da Lucas, insieme all’amico produttore Gary Kurtz (Los Angeles, 27 luglio 1940), a partire dal gennaio 1973. Nel maggio del 1974 il regista aveva terminato la prima bozza della sceneggiatura, troppo lunga per un solo film al punto che Lucas anticipò ai collaboratori che qualora il progetto avesse avuto successo, alla prima pellicola ne sarebbero seguite altre due.
Dei quattro anni che richiese la lavorazione del film, due vennero dedicati alla sceneggiatura. Come affermato dallo stesso Lucas furono scritte quattro versioni complete, con quattro storie e quattro personaggi diversi. La prima era su un vecchio, la seconda su di una ragazza, la terza su due fratelli e la quarta che racchiudeva elementi delle precedenti. Per scriverla Lucas si ispirò agli universi paralleli raccontati dal mondo dei fumetti. Tra il particolare. Il primo, il riferimento più noto, fu quello di “Flash Gordon” creato Alex Raymond da cui il regista, oltre al mondo immaginario e i fucili a razzi, prese la massima che racchiude per certi versi l’universo di Star Wars “Ogni futuro è presente, ogni presente è futuro, purché presieda la forza del pensiero”. La seconda fonte di ispirazione fu “Jeff Hawke” la striscia nata dalla penna di Sydney Jordan da cui Lucas si ispirò per la “taverna” di Mos Eisley e più un generale per un universo “bizzarro”. Il terzo riferimento, per certi versi il più importante, venne dal “Captain Future” di Edmond Hamilton (da noi noto per il cartone animato “Capitan Futuro”), Lucas, infatti, trasse la pacifica convivenza tra umani ed extra umani, come il robot Crag e il droide Otho… alla faccia dei razzisti di ogni epoca. Per la scrittura della sceneggiatura e la realizzazione del film, Lucas si ispirò anche al genere wrestern a partire dai duelli, ovviamente al genere fantascientifico e al film Kakushi-toride no san-akunin (La fortezza nascosta, 1958) di Akira Kurosawa. Una contaminazione di generi e mondi che rende riduttiva la classificazione di fantascienza sia per il primo film, sia per l’intera serie.
Il 27 agosto del 1976, la 20th Century Fox ufficializzò la sua scelta di produrre il film, con un budget fissato a 8250000 dollari, poi divenuti 11 milioni. Per raggiungere l’intesa definitiva Lucas accettò di ricevere un compenso minora per la direzione della pellicola, a patto che gli fossero lasciati i diritti sugli eventuali sequel e il 60% del merchandising (una percentuale arrivata a 100 nei mesi successivi). I produttori della FOX acconsentirono, ignorando il potenziale del film che nel frattempo aveva cambiato più volte nome ed era diventato semplicemente Star Wars.
Dopo un lavoro unico tra un uso abnorme di modellini, effetti speciali (ben 380, in 2001: Odissea nello spazio di Kubrick erano appena 35), riprese innovative tra la Tunisia, Londra e la California, e lo splendido lavoro dell’illustratore Ralph McQuarrie (Gary, 13 giugno 1929 – Berkeley, 3 marzo 2012) che creò con la sua matita alcuni dei personaggi più noti della saga, il 25 maggio del 1977 uscì nelle sale americane Star Wars (Guerre stellari).
Tanto tempo fa, in una galassia lontana, lontana, un eterogeneo gruppo di ribelli guidati dalla Principessa Leia Organa (in italiano Leila, Carrie Fisher) resiste al potere dell’Impero galattico e dei suoi rappresentanti il Grand Moff Tarkin (in italiano governatore Tarkin, Peter Cushing) e il suo luogotenente Darth Vader (Dart Fener in italiano, David Prowse). La missione è quella di distruggere l’arma più potente dell’Impero, la Death Star (Morte nera in italiano). Ad aiutare i ribelli arriveranno, con percorsi e storie diverse, il giovane Luke Skywalker (Mark Hamill), il vecchio cavaliere Jedi Obi-Wan Kenobi (Alec Guinness), il cinico Han Solo (Jan in italiano, Harrison Ford), il “mostruoso” Chewbecca (Peter Mayhew) e i due droidi C-3PO (D-3BO in italiano, Anthony Daniels) e R2-D2 (C1-P8 in italiano, Kenny Baker).
Una “fantafavola” in cui il bene e il male si fronteggiano senza molte sfumature e la tecnologia non ha un ruolo preponderante, l’astronave degli eroi, il leggendario Millennium Falcon, è un vecchio rudere che necessita di continue riparazioni, la vera “arma vincente” è la Forza, “sorta di aggiornamento hollywoodiano delle filosofie sull’élan vital di Bergson e l’inconscio collettivo junghiano, mescolato ad influenze orientali” (Mereghetti).
Centrale, per ammissione dell’autore, il messaggio contro il nazismo, il fascismo, i totalitarismi e i regimi polizieschi (come non notare similitudini tra le divise naziste e le uniformi imperiali). Lucas affermò, inoltre, che alcuni aspetti che aveva ipotizzato per Apocalypse Now vennero utilizzati in Star Wars, una reazione all’elezione di Richard Nixon e alla guerra in Vietnam. Un film più politico di quanto si possa pensare.
Notevoli le citazioni cinematografiche: C-3P0 è chiaramente ispirato alla Maria di Metropolis (1926) di Fritz Lang, il ritorno a casa di Luke alla casa bruciata degli zii (Phil Brown già al fianco di Chaplin in Un re a New York e Shelagh Fraser) venne preso in prestito da Sentieri selvaggi (1956) di John Ford; il bombardamento della Morte nera ebbe origine da I guastatori delle dighe (1955) di Michael Anderson (poi regista de Il giro del mondo in 80 giorni) e Squadriglia 633 (1964) di Walter Grauman mentre i festeggiamenti conclusivi si ispirarono a Il trionfo della volontà (1935) di Leni Riefenstahl.
Notevoli le musiche curate da John Williams (Floral Park, 8 febbraio 1932) dal celeberrimo tema che apre il film ai leitmotiv che accompagnano i personaggi e le situazioni ricorrenti, a partire dalla “Marcia imperiale” nota anche come Darth Vader’s Theme. La colonna sonora di Star Wars è considerata dall’American Film Institute la migliore di tutti i tempi.
Uno dei più grandi successi di sempre, rivalutando il tasso d’inflazione Star Wars è il film che ha incassato di più nella storia del cinema dopo Via col vento e Avatar. Il film venne candidato a dieci premi Oscar (Film, Regia, Attore non protagonista, Sceneggiatura originale, Scenografia, Costumi, Montaggio, Sonoro, Effetti speciali, Colonna sonora), ma, come da “tradizione” inaugurata da 2001: Odissea nello spazio, si aggiudicò “solo” riconoscimenti tecnici cui si aggiunse un Oscar Speciale a Ben Burtt per gli effetti sonori. Insieme a Cabaret di Bob Fosse, Star Wars è il film che ha ricevuto più Oscar senza essere Miglior film dell’anno, che nel 1978 andò a Io e Annie di Woody Allen.
Interessante il cast. Mark Hamill (Oakland, 25 settembre 1951) debuttò sul grande schermo dando il volto a Luke Skywalker, rimanendo di fatto imprigionato in quel ruolo un po’ come successe decenni prima a Bela Lugosi con Dracula. Harrison Ford (Chicago, 13 luglio 1942) era, invece, uno dei volti simboli della “New Hollywood” e aveva già all’attivo Zabriskie Point (1970) di Michelangelo Antonioni e reciterò in seguito in Apocalypse Now (1979), sarà il protagonista della serie di Indiana Jones a partire da I predatori dell’arca perduta (1981) e di Blade Runner (1982) di Ridley Scott, per Star Wars divenne Han Solo. Carrie Fisher (Burbank, 21 ottobre 1956 – Los Angeles, 27 dicembre 2016), invece, sarà per tutti e per sempre la principessa Laia, da segnalare comunque anche la partecipazione in The Blues Brothers (1980) di John Landis e Hannah e le sue sorelle (1986) di Woody Allen.
Gli unici due attori del cast di Star Wars che vantavano una importante carriera alle spalle erano Alec Guinness, nome d’arte di Alec Guinness de Cuffe (Paddington, 2 aprile 1914 – Midhurst, 5 agosto 2000) e Peter Cushing (Kenley, 26 maggio 1913 – Canterbury, 11 agosto 1994) il primo impersonò, talvolta con qualche fastidio, il maestro Obi-Wan Kenobi, il secondo divenne il Grand Moff Wilhuff Tarkin, un ruolo inizialmente pensato per l’altrettanto “cattivo” Christopher Lee. Guinness tra i capolavori in cui recitò sono da ricordare Il ponte sul fiume Kwai (1957), Lawrence d’Arabia (1962) e Il dottor Živago (1965) tutti diretti dall’altrettanto britannico David Lean. Mentre Cushing, che aveva debuttato in una delle prime trasposizioni cinematografiche de “I tre moschettieri“ (La maschera di ferro diretta nel 1939 da James Whale), divenne celebre come interprete del barone Victor Frankenstein in La maschera di Frankenstein (1957) e come cacciatore di vampiri Abraham Van Helsing in Dracula il vampiro (1958) entrambi diretti da Terence Fisher per la casa cinematografica britannica Hammer.
Anthony Daniels (Salisbury, 21 febbraio 1946), attore shakespeariano della Young Vic Company divenne C-3PO, da segnalare che ad oggi è l’unico attore ad aver preso parte a tutti i film della serie. Metre Kenny George Baker (Birmingham, 24 agosto 1934 – Manchester, 13 agosto 2016), col suo metro e dodici centimetri (uno degli attori più bassi del mondo) diede letteralmente corpo a R2-D2. L’attore più alto d’Inghilterra, Peter Mayhew (Londra, 19 maggio 1944), divenne invece Chewbecca.
Scoperto da Stanley Kubrick che lo volle per un piccolo ruolo in Arancia meccanica, Davide Prowse (Bristol, 1 luglio 1935), irriconoscibile con maschera e mantello divenne Darth Vader. Uno degli attori più visti, ma meno conosciuti della storia del cinema.
In poco tempo Star Wars fece letteralmente il giro del mondo. In Francia uscì col titolo di La Guerre des étoiles, in Germania come Krieg der Sterne, tradotto La guerra delle stelle. In Italia arrivò nelle sale il 21 ottobre del 1977 come Guerre stellari. Il pubblicò ne sancì il successo, campione d’incassi nella stagione 77/78 (oltre 9000 miliardi di lire al botteghino), ma la critica si divise. Giorgio Penacchi lo elevò a capolavoro, positive anche le recensioni de La Stampa e del Corriere della Sera, negative al contrario quelle de L’Unità che lo definì “Un giocattolone per super minorenni” e de La Repubblica che diede una lettura politica opposta a quella voluta da Lucas.
Ma il nostro Paese, sempre un po’ provinciale, adattò i nomi dei protagonisti per renderli più “comprensibili” al pubblico italiano. La direzione del doppiaggio fu affidata al bravo Mario Maldesi (Roma, 18 dicembre 1922 – Lucignano, 5 settembre 2012) e, poiché i termini anglofoni erano ancor più inaccessibili di oggi, Han Solo divenne Jan Solo mentre Leia venne “italianizzata” in Leila, più semplici e naturali da pronunciare per un italiano. Discorso a parte meritano i due droidi. Lucas scelse i nomi per il loro “suono”, per la loro pronuncia. Nel caso di R2-D2 il regista voleva elevare quel droide rispetto agli altri che popolano il film, rendendolo più “umano”. La pronuncia in inglese, infatti, suona “ArTiù – DiTiù” e venne scelto per l’assonanza tra Artiù e il nome proprio Arthur. Mentre il droide dorato C-3PO è la “sigla” del nome See-Threepio, scelto da Lucas per la sua scorrevolezza. Ovviamente in Italia non avrebbe avuto senso chiamare R2-D2 Arturo e in See-Threepio non venne colta alcuna “scorrevolezza”. Maldesi, per definire i nuovi nomi, partì dall’originale C-3PO e per elevare il piccolo “robottino” scelse la sigla C1 cui affiancò P8 per renderlo più simpatico al pubblico italiano (per l’assonanza con Pinotto). Non volendo, infine, chiamare i due droidi in modo simile “C1” e “C3” il robot più loquace venne ribattezzato D-3B0 conservando, almeno nella volontà dei doppiatori italiani, la “scorrevolezza” cara a Lucas.
Se i nomi di Luke Skywalker e di Obi-Wan Kenobi non vennero modificati, fu invece cambiato il nome del “cattivo” per eccellenza. Darth Vader divenne Dart Fener, considerato arbitrariamente più “incisivo”. Il personaggio, che nella versione originale era doppiato da James Earl Jones, nel nostro Paese ebbe la voce di Massimo Foschi (Forlì, 2 gennaio 1938) che lo fece diventare ben più “cattivo” rispetto al nome italiano. Tra le stranezze, più o meno giustificate del doppiaggio italiano, ce n’è una che giustificazioni non ne ha. In uno dei primi dialoghi tra Luke e Obi-Wan, la “guerra dei cloni”, che nell’universo di Star Wars portò la galassia sotto la dittatura dell’Impero, divenne “Guerra dei Quoti”. A caso, senza considerare il fatto che l’originale parlava di “Clone Wars”, cioè al plurale.
Lucas, che già dal 1971 aveva fondato la LucasFilm, era sempre più interessato alla produzione e sempre meno alla regia. Nel 1979, mentre gli amici Spielberg e Milius licenziavano 1941 – Allarme a Hollywood e Coppola portava a termine Apocalypse Now, il regista prima scrisse e produsse More American Graffiti (American Graffici 2) il modesto sequel del suo capolavoro, poi iniziò a lavorare al secondo film di Star Wars, un progetto che ormai prevedeva ben nove pellicole.
Per il “seguito” di Guerre stellari Lucas firmò il soggetto e seguì le riprese per oltre due anni, inclusi gli interni a Elstree in Gran Bretagna, gli esterni a Finse in Norvegia e gli effetti speciali (ben 722) a San Francisco. La regia venne, invece, affidata a Irvin Kershner (Filadelfia, 29 aprile 1923 – Los Angeles, 27 novembre 2010) già autore dei considerevoli Loving (Loving, gioco crudele, 1970) e Up the Sandbox (Voglio la libertà, 1972). Nacque così The Empire Strikes Back (L’Impero colpisce ancora, 1980) uscito il 21 maggio del 1980.
Dopo la distruzione della “Morte Nera” i ribelli stanno compattando le fila per combattere l’Impero che vuole ricostruire la sua arma segreta, rendendola ancora più potente. A guidare la Resistenza c’è sempre la Principessa Leia (Carrie Fisher) che si scopre attratta da Han Solo (Harrison Ford). Al loro fianco il gigantesco Chewbecca (Peter Mayhew) e i robot C-3PO (Anthony Daniels) e R2-D2 (Kenny Baker). Nel frattempo Luke Skywalker (Mark Hamill), dopo essersi salvato dopo un attacco sul pianeta Hoth, si sposta nel sistema Dagobah dove è iniziato ai segreti della Forza dal mistico Yoda. Parallelamente Han Solo e la principessa Leia, braccati da Darth Vader (David Prowse) e dalle forze dell’Impero, riescono a rifugiarsi da un vecchio amico di Han Solo, Lando Carlissian (Billy Dee Williams), ma ignorano di essere spiati dal cacciatore di taglie Boba Fett (Jeremy Bulloch). Darth Vader fa prigioniero Solo in una lastra di carbonio, e si prepara allo scontro con Luke.
Il seguito di Star Wars non riuscì ad eguagliare il fascino avventuroso del primo episodio e nei fatti risultò un’opera di passaggio nell’eterna lotta tra il bene e il male, ma ebbe un passaggio chiave capace di conferire un nuovo e diverso spessore all’interna saga: l’imprevedibile rivelazione sulla vera identità di Darth Vader. Quell'”Io sono tuo padre” (“I am your father”) che, oltre ad essere ripreso e sviluppato nel successivo film, è entrato di diritto nella storia del cinema.
Non solo, l’interpretazione di David Prowse e la voce di James Earl Jones fecero inserire dall’American Film Institute il personaggio di Darth Vader (Dart Fener) al terzo posto tra i più grandi “Villains” (Cattivi) della storia del cinema, preceduto solo da Hannibal Lecter (interpretato da Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti) e Norman Bates (Anthony Perkins in Psyco).
Tornando al film, L’impero colpisce ancora si articola su tre momenti distinti. Il primo, che riprende lo schema di Guerre stellari, è relativo all’aggressione dei ribelli da parte delle forze dell’Impero; il secondo, tramite un montaggio alternato degno del miglior Griffith, scandisce le fasi dell’allenamento di Luke e la fuga di Leia e Han; il terzo sposta l’azione (riunificazione, conflitto e nuova separazione) su un’inedita città delle nuvole, dal fascino vagamente neogotico.
The Empire Strikes Back fu un grande successo di pubblico, 102 milioni di dollari incassati nelle prime dieci settimane negli USA e segnò anche il debutto di alcuni personaggi fondamentali per la serie. Il primo è Yoda, il Maestro Jedi dalla testa calva, le lunghe orecchie a punta, gli occhi un po’ tristi e l’idioma criptico e onirico al tempo stesso, un “pupazzo” di materiale sintetico che in originale ebbe la voce di Frank Oz, mentre in Italia venne doppiato da Silvio Spaccesi (Macerata, 1 agosto 1926 – Roma, 2 giugno 2015). Il secondo è l’imperatore Palpatine che nel film compare solo come ologramma davanti Vader col volto dell’attrice Marjorie Lee Eaton (5 febbraio 1901 – 21 aprile 1986) poi sostituita, anche nella versione DVD, da Ian McDiarmid (Carnoustie, 11 agosto 1944). Quindi ci fu il debutto del cacciatore di taglie Boba Fett interpretato da Jeremy Bulloch (Market Harborough, 16 febbraio 1945), che recitò anche in alcune pellicole di James Bond. Infine una menzione merita anche Lando Calrissian che ebbe il volto dall’attore afroamericano Billy Dee Williams (New York, 6 aprile 1937), primo attore di colore a comparire nell’universo di Star Wars, chiamato proprio per evitare possibili accuse di razzismo.
Lucas, dopo aver finanziato Kagemusha (1980) di Akira Kurosawa e aver dato vita alla serie “fanta archeologica” di Indiana Jones insieme all’amico Steven Spielberg col film I predatori dell’arca perduta (1981) si dedicò al terzo capitolo della saga di Star Wars, Return of the Jedi (Il ritorno dello Jedi, 1983), nelle sale il 25 maggio 1983.
Dopo aver liberato Han Solo (Harrison Ford), la Principessa Leia Organa (Carrie Fisher), Chewbecca (Peter Mayhew), C-3PO (Anthony Daniels) e R2-D2 (Kenny Baker) dalla prigione di Jabba the Hutt (una montagna di grasso melmoso e putrescente, creditore di Han Solo), Luke Skywallker (Mark Hamill), diventato finalmente un Cavaliere Jedi, affronta il malvagio Imperatore Palpatine (Ian McDiarmid) e riporta alla ragione il padre Anakin Skywalker (Sebastian Shaw) che aveva ceduto al lato oscuro della forza diventando Darth Vader (Davide Prowse).
Il film venne diretto dal modesto Richard Marquand (Cardiff, 22 settembre 1937 – Tunbridge Wells, 4 settembre 1987), unico regista non statunitense a girare un film della saga “lucasiana”, ma già allora, infatti, la macchina Star Wars era tale da consentire ad un “esecutore”, ad un “aiuto” di assolvere il ruolo del regista (come sta accadendo nella cosiddetta “Trigolia sequel”).
Il terzo capitolo della saga di Star Wars, che chiuse la cosiddetta “Trilogia originale”, può considerasi una bella favola per adulti con tanto di lieto fine: Luke e Leia sono fratelli, Darth Vader è il loro snaturato padre che in extremis si pente. Alcune scene sono indimenticabili dall’insolita “sexy Leia” schiava di Jabba the Hutt alla battaglia sulla Luna di Endor (che rimanda alla lotta tra i ghiacci de L’Impero colpisce ancora), ma la storia perse un po’ del suo fascino. Da segnalare, infine, che Lucas, produttore e sceneggiatore insieme a Lawrence Kasdan, riprese gli orsetti pelosi Ewok (uno di questi interpretati da Kenny Baker), per farne i protagonisti di due film per la tv Caravan of Courage: An Ewok Adventure (L’avventura degli Ewoks, 1984) diretto da John Korty e Ewoks: The Battle for Endor (Il ritorno degli Ewoks, 1985)… due spin off ante litteram.
Star Wars, The Empire Strikes Back e Return of the Jedi, al di la di singole valutazioni, rappresentano una serie di indubbio fascino dalle grandi intuizioni visive e dagli spettacolari effetti speciali. Un ciclo che consegnò ai fan i personaggi più amati e una serialità che ancora oggi rappresenta un punto di forza della serie. Un carattere seriale e modulare del prodotto, che viene reiterato col passato di un futuro remoto contenuto del celebre incipit “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…” (“A long time ago in a galaxy far, far away…”). Non solo la “Trilogia originale” segnò, grazie all’intraprendenza di George Lucas, anche un nuovo modo di far cinema con faraoniche campagne pubblicitarie e una macchina del merchandising che non ha eguali nella storia del cinema.
Lucas, dopo aver portato a termine anche la prima trilogia di Indiana Jones diretta dall’amico Steven Spielberg e aver perso la causa di divorzio dalla moglie Marcia, decise di dedicarsi nuovamente a Star Wars anche perché la serie, tra imitazioni e parodie, continuava a godere di ottima salute. Dopo aver per il momento accantonato le avventure che avrebbero dovuto trattare le vicende cronologicamente successive ai tre film già prodotti, il regista si concentrò su tre film “prequel” incentrati prevalentemente sulla vita di Anakin Skywalker prima che il lato oscuro della “Forza”, più rapido, più facile, più seducente, lo facesse diventare Darth Vader.
Non solo. Nel 1997, in occasione del ventennale del primo inimitabile Star Wars, Lucas rieditò i tre film restaurando il colore, il sonoro e soprattutto completando, con la collaborazione del produttore Rick McCallum, alcune scene che l’approssimativa tecnologia dell’epoca non aveva permesso di realizzare. In Star Wars, allungato di circa quattro minuti, vennero aggiunte numerose creature nel porto galattico di Mos Eisley e la sequenza dell’incontro tra Han Solo e Jabba the Hutt, nel 1977 Lucas non aveva ancora deciso che il personaggio sarebbe stato un enorme “lumacone” visto per la prima volta ne L’Impero colpisce ancora e riprese più banalmente la scena con un attore nei panni di un boss creditore, cui venne sovrapposto digitalmente il vero Jabba completamente realizzato al computer. Furono inoltre aggiunti numerosi “dinosauri da soma” imperiali e molti caccia ribelli durante l’assalto alla Morte nera. Da segnalare, infine, l’aggiunta della sequenza in cui Luke, prima della battaglia finale, incontra il suo vecchio amico Biggs Darklighter (Garrick Hagon).
Anche L’Impero colpisce ancora venne arricchito in questa riedizione e allungato di tre minuti. Da segnalare alcune nuove inquadrature sul pianeta Hoth, un primo piano del mostro Wampa che aggredisce Luke tra i ghiacci e nuova sequenze col Millenium Falcon che vola alla volta di Bespin, la città nuvola di Lando ridisegnata digitalmente. Due minuti in più anche per Il ritorno dello Jedi tra cui il numero musicale alla presenza di Jabba the Hutt rifatto in digitale (l’originale negli anni ottanta era una “pupazzone” manovrato da Toby Philpott, David Barclay e Mike Edmonds, anche interprete dell’Ewok Logray, per la coda).
Mai domo Lucas aveva iniziato, il primo novembre del 1994, a scrivere la nuova trilogia di Star Wars partendo dalla sceneggiatura originale, le 14 pagine, scritte nel 1976, per dare maggiore coerenza narrativa agli eventi verificatisi prima della “Trilogia originale”. Lucas tornò anche alla regia. Il 19 maggio del 1999 uscì nelle sale americane Star Wars: Episode I – The Phantom Menace (Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma).
I cavalieri Jedi Qui-Gon Jinn (Liam Neeson) e Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor), con la collaborazione più o meno involontaria del gungan Jar Jar Binks, riescono a far fuggire la Regina Padmé Amidala (Natalie Portman) dal pacifico pianeta Naboo assediato dall’aggressiva Federazione dei Mercanti (la cui capitale riprende la Babilonia di Intolerance, mentre gli interni furono girati nella Reggia di Caserta). Durante una sosta sul pianeta Tatooine, Qui-Gon Jinn si accorge della straordinaria “Forza” presente nel piccolo Anakin Skywalker (Jake Lloyd) e lo convince a seguirlo per diventare un cavaliere Jedi. Sarà proprio il piccolo a risultare decisivo nella battaglia per la liberazioe di Naboo.
In quello che di fatto è il primo episodio della serie, Lucas si concentrò più sugli effetti speciali che sulla qualità della trama. Effetti, curati da John Knoll, Dennis Muren e Scott Squires, che includono i personaggi creati in digitale da Jar Jar Binks, molto criticato e odiato dai fan, all’ambiguo commerciante Watto passando per l’alieno Sebulba che sfida il giovane Anakin nella gara di “auto” tra i canyon di Tatooine (una delle migliori scene del film). Protagonisti digitali che interagirono perfettamente con gli attori in carne e ossa. Più debole, invece, la trama in cui si sentì, almeno in questo primo nuovo episodio, lo sforzo dell’autore di dare un collegamento con la “memoria storica” della prima trilogia. Quasi come un cameo compaiono, infatti, R2-D2 (Kenny Baker), il non ancora dorato C-3PO (Anthony Daniels), Yoda e il senatore (e futuro Imperatore) Palpatine (Ian McDiarmid). Nonostante questo, il film incassò oltre un miliardo di dollari, risultando ancora oggi uno dei film più visti di sempre.
Una menzione merita il cast. Liam John Neeson (Ballymena, 7 giugno 1952), già premio Oscar per Schindler’s List (1993) di Steven Spielberg, divenne lo Jedi Qui-Gon Jinn; mentre il giovane Obi-Wan Kenobi ebbe il volto di Ewan McGregor (Perth, 31 marzo 1971) già protagonista di Trainspotting (1996) diretto da Danny Boyle. La bellissima Natalie Portman (Gerusalemme, 9 giugno 1981) interpretò la Regina Amidala mentre Jake Matthew Lloyd (Fort Collins, 5 marzo 1989) fu il piccolo Anakin Skywalker. L’unico “cattivo” degno di questo nome Darth Maul, maestro nell’uso della spada laser a due lame, fu, invece, interpretato dallo scozzese Ray Park (Glasgow, 23 agosto 1974), ma doppiato da Peter Serafinowicz (Liverpool, 10 luglio 1972). Da segnalare, infine, l’attrice svedese Pernilla August (Stoccolma, 13 febbraio 1958) che divenne la madre di Anakin e Ahmed Best (New York, 19 agosto 1973) che “interpretò”, tramite la “Motion capture” il personaggio di Jar Jar Binks.
Il successo del film, cui si aggiunsero i proventi di libri, fumetti, magliette, giochi e tutto ciò che ruota intorno al cosiddetto “universo espanso” di Star Wars furono esorbitanti e continuarono col successivo Star Wars: Episode II – Attack of the Clones (Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni) ancora diretto da Geroge Lucas e uscito nella sale il 16 maggio del 2002.
La Repubblica, a dieci anni di distanza dagli eventi narrati nel precedente episodio, continua ad essere in subbuglio. Il cancelliere Palpatine (Ian cDiarmid), che nell’ombra continua a consolidare il suo potere, annuncia la costituzione di un esercito in supporto dei cavalieri Jedi e affida a Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) e all’ormai cresciuto Anakin Skywalker (Hayden Christensen) la protezione di Padmé Amidala (Natalie Portman) divenuta senatrice. Mentre il primo scopre che il DNA del cacciatore di taglie Jango Fett (Temuera Morrison) è stato usato per costruire un esercito di cloni (tra cui Boba Fett), il secondo è tentato dal lato oscuro della Forza e si sente attratto da Amidala. Il giovane Skywalker arriverà allo scontro finale col perfido Conte Dooku (Christopher Lee), preludio della formazione dell’Impero.
Interamente girato in digitale in alta definizione e più ricco e strutturato del precedente, anche grazie al lavoro dell’esperto Jonathan Hales sulla sceneggiatura, il secondo episodio della saga di Star Wars è caratterizzato da maggior cupezza cui fa da contraltare il maggiore romanticismo. Un film in cui, una volta di più, Lucas mostrò l’influenza del suo “Dio” Dawid Wark Griffith sia per la costante sperimentazione narrativa sia per l’innovazione tecnologica, ma fu anche lo Star Wars più “attuale” e politico “che rifletté le tensioni globali post 11 settembre. Si apre con un attentato, punta l’indice contro la strisciante avanzata del neo-totalitarismo globale, mostra l’ascesa di un eroe del popolo destinato a macchiarsi di genocidio para-nazista (Anakin Skywalker diventerà il malvagio Darth Vader nella successiva trilogia), trasforma i predoni di Tusken […] in distruttori e schiavizzatori di donne, con chiaro riferimento alla ferocia talebana. E la sequenza del Conte Dooku sotto tiro tra le dune, allude a quella del mullah afgano Omar” (Mereghetti). Tante le scene memorabili su tutte l’epico scontro da Yoda e il Conte Dooku. Memorabile anche la colonna sonora composta come sempre da John Williams ed eseguita dalla London Symphony Orchestra. L’attacco dei cloni incassò meno di quanto ipotizzato e si “fermò” a circa 650 milioni di dollari.
Al già ricco cast si aggiunsero Hayden Christensen (Vancouver, 19 aprile 1981) nella parte del giovane Anakin Skywalker, Samuel L. Jackson (Washington, 21 dicembre 1948) che interpretò Mace Windu, Maestro Jedi che siede nel Consiglio Jedi e che guarda con diffidenza la politica del Senato Galattico e il grande Christopher Lee (Londra, 27 maggio 1922 – Londra, 7 giugno 2015) insieme a Bela Lugosi il più grande Dracula di sempre, nonché Saruman nelle trilogie de Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit.
Il terzo e ultimo capitolo della “Trilogia prequel” venne, invece, presentato in anteprima il 15 maggio 2005 al Festival di Cannes, si trattava di Star Wars: Episode III – Revenge of the Sith (Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith) ancora diretto da Lucas.
Mentre la guerra dei Cloni infuria e la Repubblica stenta a fronteggiare le armate del Conte Dooku (Christopher Lee), Anakin Skywalker (Hayden Christensen) è sempre più “corteggiato” dal lato oscuro della Forza e per questo Padmé Amidala (Natalie Portman) gli nasconde di portare in grembo i suoi due gemelli. Dopo la morte di Mace Windu (Samuel L. Jackson) che lo aveva smascherato, il cancelliere Palpatine (Ian cDiarmid) alias Darth Sidious si proclama Imperatore e convince Anakin ad abbracciare definitivamente il lato oscuro della Forza. Il giovane, accecato dalle menzogne, stermina tutti gli Jedi, ma soccombe davanti al maestro Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor). Gravemente mutilato e ustionato, Anakin viene salvato da Palpatine che lo trasforma in Darth Vader, signore dei Sith. Nel frattempo Padmé muore dopo aver dato alla luce i gemelli Leia e Luke che, nascosti al nemico, vengono dati in affidamento a due diverse famiglie.
L’ultimo episodio della prima trilogia di Star Wars è indubbiamente uno dei migliori dell’intera serie e porta alle estreme conseguenze le svolte narrative, produttive e politiche del precedente. La sceneggiatura, interamente scritta da George Lucas, risolse con grande coerenza tutti i problemi posti dall’unione con la “Trilogia originale”.
“Sul piano tecnologico, è un’opera rivoluzionaria: interamente girata in digitale ad alta definizione ed esclusivamente in studio che mostra la strada per il cinema del futuro in cui Lucas lanciò, per bocca di Obi-Wan Kenobi, il suo definitivo proclama anti-Bush” (Mereghetti). Molte, come sempre, le scene indimenticabili tra queste la battaglia spaziale iniziale e il duello finale, cui pare abbia partecipato anche Steven Spielberg. Piccolo cammeo per Lucas nella sequenza ambientata a teatro, nella quale l’attore Anthony Daniels comparve senza l’armatura dorata di C-3PO. Il droide curiosamente pronuncia l’ultima battuta del film e sarà sempre lui a pronunciare la prima del primo Star Wars, cronologicamente successivo a questo.
Con l’uscita della “Trilogia prequel” vennero rinominati anche i tre film della “Trilogia originale” che divennero rispettivamente Star Wars: Episode IV – A New Hope (Star Wars: Episodio IV – Una nuova speranza), Star Wars: Episode V – The Empire Strikes Back (Star Wars: Episodio V – L’Impero colpisce ancora) e Star Wars: Episode VI – Return of the Jedi (Star Wars: Episodio VI – Il ritorno dello Jedi). Nel frattempo Lucas diede anche avvio alla serie animata Star Wars: The Clone Wars, preceduta dal film omonimo, prequel della serie stessa da inserire temporalmente tra l’Episodio II – L’attacco dei cloni e l’Episodio III – La vendetta dei Sith. Un film per ultra aficionados.
Il regista, che aveva subito critiche sia per la “Trilogia prequel” sia per le modifiche apportate alla “Trilogia originale” durante la riedizione, maturò l’idea di non concludere il progetto con una “Trilogia sequel”, quella che avrebbe dovuto raccontare gli avvenimenti successivi alle vicende narrate nel 1983 ne Il ritorno dello Jedi e nel gennaio del 2012 dichiarò che non avrebbe più realizzato altri film di Star Wars. Ma poi arrivò la Disney che il 30 ottobre dello stesso anno acquistò la LucasFilm per oltre 4 miliardi di dollari. La casa di “Topolino” mise subito in cantiere la “Trilogia sequel” e ben tre spin off, una modalità più adatta ai telefilm che ai film, azioni che rischiano di rendere consegnare la serie sempre più tra le braccia del merchandising e sempre meno tra quelle degli appassionati di cinema.
Jeffrey Jacob Abrams (New York, 27 giugno 1966), autore di Mission: Impossible III (2006), Star Trek (2009) e Star Trek into Darkness (Into Darkness – Star Trek, 2013), venne chiamato a dirigere il nuovo film, il settimo della serie. George Lucas, il geniale ideatore di Star Wars, ebbe solo il ruolo di consulente nelle prime fasi del progetto. Il 14 dicembre 2015 a Los Angeles si tenne la prima di Star Wars: The Force Awakens (Star Wars: Il risveglio della Forza).
A trent’anni dalla caduta dell’Impero, il cavaliere Jedi Luke Skywalker (Mark Hamill) è scomparso. Sulle sue tracce si mettono sia le forze della Nuova Resistenza guidate dalla sorella, il generale Leia Organa (Carrie Fisher), sia il Primo Ordine, la sinistra formazione nata dalle ceneri dell’Impero, con a capo il Leader Supremo Snoke (Andy Serkis), il suo braccio destro Kylo Ren (Adam Driver) e il Generale Hux (Domhnall Gleeson). Poe Dameron (Oscar Isaac), il miglior pilota della Resistenza, viene mandato sul pianeta Jakku per incontrarsi con l’anziano Lor San Tekka (Max von Sydow) e recuperare una mappa che si crede conduca a Luke. Ad aiutare i ribelli arriveranno la giovane senza passato Rey (Daisy Ridley), il disertore del nuovo ordine FN-2187 ribattezzato Finn (John Boyega), il droide BB-8 e soprattutto Han Solo (Harrison Ford) e Chewbecca (Peter Mayhew nei primi piano, il cestista finlandese Joonas Suotamo nelle scene di azione). Il primo ordine mondiale viene temporaneamente sconfitto, mentre la giovane Rey, che dimostra di avere la Forza, trova finalmente Luke.
Più che un sequel un remake in cui le emozioni maggiori vengono dai vecchi protagonisti, l’ultrasettantenne Ford ha carisma da vendere ai nuovi attori della serie. L’unico nuovo personaggio che regge il confronto con i vecchi e il simpatico BB-8 che, come era capitato da R2-D2, porta con se delle informazioni riservate. Non si può, invece, paragonare il mitico Darth Vader con l’odierno Kylo Ren sotto le cui spoglie si cela Ben Solo, il figlio della relazione naufragata tra Leia e Han. Riesce a farsi odiare dai fan solo per aver ucciso il padre.
Ai grandi “vecchi” della serie si aggiunsero: Daisy Ridley (Londra, 10 aprile 1992) nella parte di Rey, John Boyega (Londra, 17 marzo 1992) in quella del disertore Finn, Oscar Isaac (Guatemala, 9 marzo 1979) venne, invece, scelto per interpretare Poe Dameron. Lupita Nyong’o, premio Oscar per 12 anni schiavo, “interpretò”, tramite la “Motion capture” la bizzarra Maz Kanata che ha in custodia la spada di Luke. Da segnalare anche i capi del Primo Ordine, Kylo Ren è interpretato da Adam Driver (San Diego, 19 novembre 1983), Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile per il film Hungry Hearts di Saverio Costanzo; il Leader Supremo Snoke ebbe il volto di Andy Serkis (Ruislip, 20 aprile 1964), il Gollum de Il signore degli anelli; la parte del generale Hux fu affidata a Domhnall Gleeson (Dublino, 12 maggio 1983), già protagonista di Harry Potter e i Doni della Morte. Ultima meritata citazione per Max von Sydow (Lund, 10 aprile 1929) che nel settimo film della serie, mise il suo personale “settimo sigillo”.
Il risveglio della Forza lasciò aperti numerosi interrogativi, in fondo per la Disney il film è “solo” una grande pubblicità per lo sterminato merchandising. Un dato? Il settimo capitolo della saga di Star Wars incassò due miliardi di dollari (2068223624 per la precisione) risultando essere il terzo della storia (dopo Avatar e Titanic entrambi diretti da James Cameron), ma ottenne, solo dalla vendita dei giocattoli, oltre 5 miliardi di dollari. Più che il risveglio della forza potrebbe essere il “risveglio del merchandising” o se preferite “Il merchandising colpisce ancora”.
La Disney, anche forte dell’indubbio successo commerciale, aumentò il ritmo di produzione realizzando, di fatto, un film all’anno (con Lucas gli Star Wars uscivano ogni tre anni) e alla saga vera e propria aggiunse anche tre spin off ovvero tre film ambientati nell’universo di Star Wars, ma non direttamente riconducibili alla serie principale. Il 10 dicembre 2016 a Los Angeles uscì Rogue One: A Star Wars Story diretto da Gareth Edwards (Nuneaton, 1 giugno 1975).
In un periodo di conflitto un improbabile gruppo di eroi formato da Jyn Erso (Felicity Jones), salvata da un attacco dell’Impero dal ribelle Saw Gerrera (Forest Whitaker), l’ex pilota imperiale Bodhi Rook (Riz Ahmed), l’ufficiale ribelle Cassian Andor (Diego Luna), il simpatico droide K-2SO (Alan Tudyk), il monaco cieco Chirrut Îmwe (Donnie Yen) e il guerriero Baze Malbus (Jiang Wen), intraprende una missione per sottrarre i piani della più potente arma di distruzione di massa mai ideata dall’Impero, la Morte Nera. Moriranno, ma riusciranno a fare avere i piani alla nave di comando dell’Alleanza Ribelle che viene assaltata da Darth Vader. Prontamente, la principessa Leia riesce ad inviarli tramite il droide R2-D2 alla Resistenza per avere “una nuova speranza”.
Il film, temporalmente collocato tra l’Episodio III e l’Episodio IV, esplorò il conflitto galattico da una diversa prospettiva militare mantenendo l’atmosfera delle “guerre stellari”. Risulta, inoltre, impressionante la facilità con cui la macchina di Star Wars riesce a “riannodare” i film, ma il formato degli spin off ha poco di cinematografico e molto di televisivo. Ne sono, tuttavia, in programma altri due.
Da segnalare nel cast Felicity Jones (Birmingham, 17 ottobre 1983) protagonista anche di Inferno (2015) al fianco di Tom Hanks che divenne Jyn e Forest Whitaker (Longview, 15 luglio 1961), già premio Oscar per aver interpretato il dittatore ugandese Idi Amin Dada nel film L’ultimo re di Scozia (2006), nella parte dello scorbutico da cuore d’oro Saw Gerrera.
Ancor più recente è l’ottavo episodio della seria, uscito in anteprima a Los Angeles il 9 dicembre del 2017, Star Wars: The Last Jedi (Star Wars: Gli ultimi Jedi) diretto da Rian Craig Johnson (Maryland, 17 dicembre 1973).
Nella solita galassia lontana la coraggiosa Rey (Daisy Ridley), dopo aver raggiunto il pianeta sperduto dove Luke Skywalker (Mark Hamill) ha deciso di ritirarsi, lo convince ad insegnarle i segreti della Forza per poter contrastare le forze del “Primo ordine” (sorto dalle ceneri dell’Impero galattico) guidato dal Leader Supremo Snoke (Andy Serkis tramite “performance capture”) e da Kylo Ren (Adam Driver) che ha ancora il volto sfregiato dopo l’ultimo scontro con la ragazza. Ad affiancare la giovane ritornano l’ex assaltatore Finn (John Boyega), il pilota Poe Dameron (Oscar Isaac), l’occhialuta aliena Maz Kanata (Lupita Nyong’o tramite “performance capture”) e il generale Leia Organa (nell’ultima interpretazione di Carrie Fisher). Inevitabile lo scontro finale tra Kylo Ren e il suo vecchio maestro Luke Skywalker.
Film godibile, ma c’è poco da fare, i nuovi eroi non sono all’altezza di quelli vecchi, che peraltro vengono uccisi nei primi due episodi di questa nuova trilogia (Han e Luke) senza dimenticare che Carrie Fisher (discutibile il suo volo nello spazio) è morta per davvero. Le mille esplosioni e i mille effetti speciali non possono da soli reggere un film. Consueto successo al botteghino e prima apparizione nella serie per Benicio del Toro (San Germán, 19 febbraio 1967) nella parte di DJ che tradisce i ribelli, un po’ come aveva fatto Lando ne L’Impero colpisce ancora.
Ma la Disney, sempre più colosso dopo l’acquisizione di parte della Fox per 52 miliardi di dollari, sta per licenziare, nonostante la contrarietà di Harrison Ford, il secondo spin off della serie Solo: A Star Wars Story in uscita il 25 maggio del 2018 per la regia di Ron Howard (Duncan, 1 marzo 1954), almeno il Richie Cunningham di Happy Days dovrebbe essere una garanzia.
Come recita la sinossi ufficiale del film: “Salite a bordo del Millennium Falcon e intraprendete un viaggio con destinazione una galassia molto, molto lontana in Solo: A Star Wars Story, avventura inedita dedicata al criminale più amato della galassia. Attraverso una serie di audaci imprese nel mondo criminale, pericoloso e oscuro, Han Solo incontra il suo futuro pilota Chewbacca e il famoso giocatore d’azzardo Lando Calrissian in un viaggio che segnerà il destino di uno degli eroi più improbabili della saga di Star Wars”. Insomma, la vita di Han Solo (Alden Ehrenreich) prima di incontrare Luke Skywalker e il Maestro Jedi Obi-Wan Kenobi nell’affollata Cantina di Mos Eisley. Col protagonista il fedele wookiee Chewbecca e un criminale-mentore di nome Beckett (Woody Harrelson).
E in tema di spin off il terzo sarà incentrato sulla figura di Obi-Wan Kenobi, il maestro Jedi interpretato da Alec Guinness nella “trilogi originale” e da Ewan McGregor nella “trilogia prequel”. Non casualmente uno dei protagonisti originali della serie. A chi potrebbe, infatti, mai interessare la storia di Finn? Se fa soldi alla Disney…
E in tema di anticipazioni il nono e ultimo capitolo della saga di Star Wars, che oggi ha il titolo provvisorio di Black Diamond, uscirà nel dicembre del 2019. Anche se la Disney ha annunciato piani per dieci anni relativi alle “guerre stellari”. Alla faccia di Lucas che sta realizzando il quinto capitolo di Indiana Jones… anch’egli finito nelle mani della Disney. Si chiama capitalismo, in questo sistema è più importante il merchandasing (i soldi) che l’arte (il cinema).
Tornando a Star Wars, che ha ispirato e continua ricevere omaggi e ispirare parodie (imperdibile quella della serie animata I Griffin, Blue Harvest, Something, Something, Something, Dark Side e It’s a Trap!, che riprendono rispettivamente il primo, secondo e terzo episodio della trilogia originale), ha perso un po’ del suo fascino e quel legame “alternativo” con la “New Hollywood, ha visto affievolirsi la critica al nazismo e al fascismo, ma quella peculiare invenzione di un universo multirazziale e multiplanetario dislocato anarchicamente nello spazio continua a far sognare quella galassia lontana lontana.
redazionale
Bibliografia
“George Lucas” di Sergio Arecco – Il Castoro
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza Screenshot dei film Star Wars e L’impero colpisce ancora, foto 1, 12, 33 tratta da it.wikipedia.org, foto 2 Screenshot del film Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB, foto 3 Screenshot del film L’uomo che fuggì dal futuro, foto 4 Screenshot del film American Graffiti, foto 5 riproduzione dei fumetti di Flash Gordon, foto 6 Screenshot della sigla di Capitan Futuro, foto 7, 10, 13 Screenshot del film Guerre stellari, foto 8 Screenshot del film Metropolis, foto 9 tratta dal sito thecomeback.com, foto 11 da en.wikipedia.org, foto 14, 15, 16, 17 Screenshot del film L’impero colpisce ancora, foto 18, 19 Screenshot del film Il ritorno dello Jedi, foto 20 Screenshot del film Star Wars: Episodio IV . Una nuova speranza, foto 21, 22, 23 Screenshot del film Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma, foto 24, 25 Screenshot del film Star Wars: Episodio II – L’attacco dei cloni, foto 26, 27 Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith, foto 28, 29 Screenshot del film Star Wars: Il risveglio della Forza, foto 30 Screenshot del film Rogue One: A Star Wars Story, foto 31, 32 manifesti pubblicitari.