La Francia negli anni trenta del Novecento dominò culturalmente tutta la produzione cinematografica mondiale. Dopo il periodo delle avanguardie, in cui si segnalarono René Clair, Antonin Artaud e Jacques Feyder, il cinema scoprì la miseria e la precarietà della condizione umana, fu la stagione del “Realismo poetico” (talvolta chiamato “Verismo pessimista”) in cui emersero le figure di Jean Renoir (La grande illusione, La regola del gioco), Julien Duvivier (Il bandito della Casbah, poi regista in Italia del celebre Don Camillo) e Marcel Carné (Il porto delle nebbie, Amanti perduti). Tra “avanguardie” e “realismo” si collocò, invece, un cineasta unico, Jean Vigo, figlio di due militanti anarchici.
Il padre era Eugène Bonaventure Jean-Baptiste Vigo nato il 5 gennaio 1883 a Béziers, nel dipartimento dell’Hérault. La famiglia era originaria dei Pirenei orientali. Il nonno Bonaventure Antoine François Vigo (1836-1886) era stato un magistrato, poi Sindaco della città di Saillagouse nonché capo militare di Andorra. Il padre Bonaventure François Joseph Vigo (Saillagouse, 12 settembre 1860) era, invece, un impegnato nel commercio, mentre la madre Aimée Salles (Saillagouse, 5 dicembre 1863) una sarta di Perpignan.
Riconosciuto, ma abbandonato dal padre, Eugène trascorse l’infanzia con la famiglia materna e non ebbe più rapporti con quella paterna. La madre nel 1898 sposò Gabriel Aubès un fotografo di Perpignan, i due si trasferirono prima in Dordogna poi a Parigi. Il ragazzo si unì a loro quando aveva quindici anni e Aubès lo aiutò ad ottenere un apprendistato come fotografo. Eugène volle, tuttavia, condurre una vita indipendente, lottò per guadagnarsi da vivere e iniziò a frequentare i circoli anarchici in cui conobbe, tra gli altri, Jean Marestan e Fernand Desprès.
Tali frequentazioni lo portarono a finire nel mirino della polizia. Nel maggio del 1900 venne arrestato ingiustamente con l’accusa di furto e scontò due mesi nella Prisons de la Roquette. Cambiò quindi il suo nome in Miguel Almereyda, anagramma di “y’a la merde”, “c’è merda”. E di “merda”, metaforicamente parlando, Eugène Bonaventure Jean-Baptiste Vigo negli anni seguenti ne denunciò molta. Uscito di prigione Vigo iniziò a lavorare come fotografo sul Boulevard Saint-Denis e pubblicò il suo primo articolo, per la rivista “Le Libertaire” in cui descriveva i piani per uccidere un giudice. L’attentato ovviamente non si fece, ma nell’estate del 1901 la polizia trovò esplosivi nella sua stanza e Almereyda venne nuovamente arrestato e condannato ad un anno di carcere. Di nuovo libero continuò la sua attività di fotografo e intensificò quella di giornalista, sempre per “Le Libertaire”, arrivando ad essere, nel 1903, uno dei più prolifici autori della rivista.
Nel 1902 Vigo aveva conosciuto Emily Cléro, una giovane militante anarchica, i due si innamorarono e andarono a vivere insieme. Un fatto importante che non mutò, tuttavia, l’attivismo di Almereyda. La militanza è sacrificio. Nel giugno del 1904 fu delegato, come rappresentante della Ligue antimilitariste, al Congresso antimilitarista anarchico ad Amsterdam. Al termine dei lavori, venne fondata l’Association internationale antimilitariste (l’Associazione Internazionale Antimilitarista, AIA) coordinata in Francia da Georges Yvetot e dallo stesso Almereyda.
Il 26 aprile del 1905 nacque a Parigi il primo e unico figlio della coppia, Jean Vigo. Ma la dura repressione verso il movimento anarchico e l’AIA in particolare continuava senza sosta lasciando ben pochi momenti familiari ai Vigo. Ventotto militanti dell’Association internationale antimilitariste, infatti, furono catturati e condannati. Miguel Almereyda venne punito con tre anni da scontare nella prigione di Clairvaux; fu scarcerato solo grazie all’amnistia del 14 luglio 1906. Sul finire dello stesso anno Eugène Bonaventure Jean-Baptiste Vigo, insieme all’editore Eugène Merle, fondò il settimanale “La Guerre Sociale” (“La guerra sociale”) che vantava la collaborazione di Gustave Hervé.
Nell’aprile del 1908 Miguel Almereyda venne condannato nuovamente a due anni di reclusione per aver elogiato l’ammutinamento del 17° Battaglione di Narbonne, cui venne aggiunto un altro anno per aver criticato la spedizione francese in Marocco. L’anarchico francese rimase in prigione fino all’agosto del 1909.
Dopo la sua scarcerazione si iniziò a discutere della formazione di un partito rivoluzionario, anche a seguito dell’arresto di Gustave Hervé “colpevole” di aver difeso, sulle pagine de “La Guerre Sociale”, Jean-Jacques Liabeuf un giovane ciabattino, accusato di aver ucciso un poliziotto, divenuto un simbolo contro l’oppressione sociale. Alla sua scarcerazione Hervé passò dall’essere socialista, antimilitarista e pacifista a patriottico e ultra nazionalista.
La morsa contro anarchici, comunisti e sindacalisti divenne sempre più stretta. Durante lo sciopero ferroviario dell’ottobre 1910, Almereyda e Merle formarono un gruppo per organizzare il sabotaggio, ma vennero arrestati e imprigionati fino al marzo 1911. Dopo il suo rilascio Almereyda fondò il gruppo rivoluzionario Les Jeunes gardes révolutionnaires (Le giovani guardie rivoluzionarie).
“La Guerre Sociale”, tuttavia, stava diventando sempre meno rivoluzionario e sempre più un sostenitore degli ideali repubblicani di sinistra, da raggiungere legalmente. Nel dicembre del 1912 Almereyda si unì pertanto al Partito socialista. Nel 1913 “La Guerre Sociale” ebbe una tiratura di 50.000 e Vigo una crescente reputazione nei circoli liberali “rispettabili”.
Il 22 novembre del 1913 Almereyda lanciò la rivista satirica anarchica “Le Bonnet rouge”, di impostazione repubblicana. Fu il nemico giurato del movimento politico monarchico di destra Action Française, che successivamente si dichiarò vicino a fascismo e franchismo.
“Le Bonnet rouge” divenne sempre più popolare e passò da settimanale a quotidiano nel marzo del 1914. Il giornale ospitò anche scritti dell’ex Primo ministro, e in allora Ministro delle finanze, Joseph Caillaux, articoli nei quali il politico difendeva la moglie, Henriette Caillaux, accusata di aver ucciso Gaston Calmette, direttore di “Le Figaro”. Il giornale aveva, infatti, portato avanti una violenta campagna contro Caillaux, accusato di collaborazione con la Germania e la signora Caillaux aveva assassinato il direttore in un momento di follia.
Con lo scoppio della Prima guerra mondiale sia “La Guerre Sociale” sia “Le Bonnet Rouge” decisero di difendere la Repubblica dagli attacchi delle forze di estrema destra. Il ministro degli Interni Louis Malvy diede un sussidio ad Almereyda e “Le Bonnet Rouge” con la motivazione che, anche se avrebbero criticato la guerra, avrebbero comunque scoraggiato la violenta opposizione alla guerra. I compagni anarchici non riconoscevano più Miguel Almereyda ormai distratto da auto, amante e villa privata. L’uomo era inoltre sempre più malato, soffriva da tempo di nefrite, una malattia che ormai solo la morfina poteva alleviare.
Vigo non perse, tuttavia, la sua voglia di combattere e nel giugno del 1915 venne coinvolto in una lotta sempre più brutale contro l’estrema destra di Action Française. La rivista omonima aveva definito Almereyda come “Vigo il traditore” questo elemento, unito alla sempre più forte critica nei confronti della guerra e alla pubblicazione di alcuni scritti di Lenin, fece perdere il sussidio governativo e scattò la censura. Tra luglio 1916 e luglio 1917, quando “Le Bonnet Rouge” fu chiuso, la censura cancellò 1076 articoli del giornale.
Proprio nel luglio del 1917 l’amministratore di “Le Bonnet Rouge” fu arrestato al suo ritorno da un viaggio in Svizzera e fu trovato in possesso di un assegno su un conto bancario tedesco di 100.000 franchi. Almereyda, sempre più solo, venne attaccato dalla destra e da Georges Clemenceau. Gli alleati politici dell’anarchico, Louis Malvy e Joseph Cailloux, furono accusati di connivenza con il nemico. A Eugène Bonaventure Jean-Baptiste Vigo si aggiunse l’accusa di tradimento. Venne arrestato e mandato nel carcere di La Santé nel 14° arrondissement. Quindi, a causa dei suoi problemi di salute, fu trasferito nella prigione di Fresnes fuori Parigi. La mattina del 14 agosto 1917 venne trovato morto nella sua cella, strangolato con i lacci delle scarpe legate alle sbarre del letto. Il tutto venne archiviato come suicidio, ipotesi sorretta dalle sempre più precarie condizioni di salute (venne trovato un litro di pus nel suo intestino), ma quasi sicuramente fu ucciso. Troppo scomode le sue posizioni, era diventato uno degli anarchici più influenti del Paese, rischiose alcune sue possibili testimonianze nei confronti di Malvy e Cailloux.
Jean Vigo crebbe in questo clima di repressione e di lontananza dal padre che segnarono anche la sua salute. Nell’ottobre del 1917 il futuro regista si trasferì da Parigi a Montpellier dal nonno materno. L’anno successivo venne iscritto alla scuola media di Nimes col nome di Jean Salles (il cognome della nonna) per evitare di essere identificato come il “figlio del traditore”. Nell’autunno dello stesso anno, su consiglio di un medico, si trasferì a Millau. L’aria più salubre avrebbe un poco giovato alla brutta forma di tubercolosi che aveva contratto. Si iscrisse al locale liceo, dove trascorse quattro anni, vivendo quasi da internato. Ma la ferrea e insopportabile disciplina del collegio mal si addiceva al figlio di Almereyda. Le vacanze le passava, invece, a Parigi dalla madre dove ebbe l’occasione di conoscere i vecchi compagni del padre, tra questi Fernand Desprès e Fanny Clar.
Jean Vigo nell’agosto del 1922 si iscrisse, finalmente col suo vero nome, nel Liceo di Chartres. Non riuscì a socializzare con i compagni di scuola, ma iniziò a coltivare un vivo interesse per lo sport e per il cinema. Si diplomò nel 1924 e iniziò a documentarsi metodicamente sulla vicenda del “Bonnet Rouge” per riabilitare il padre, ricerche che portarono a più di uno scontro con la madre Emily Cléro colpevole, secondo il ragazzo, di aver dimenticato troppo velocemente Almereyda.
Nel 1925 Vigo si iscrisse alla Sorbona dove seguì i corsi di filosofia, ma dopo il 1926 fu costretto ad più ricoveri in un sanatorio sui Pirenei, a Font-Romeu, per curare la tubercolosi. In quel luogo triste e desolato incontrò Elisabeth Lozinska (1907-1939) per tutti Lydou, figlia di un industriale ebreo di Lodz. I due si innamorarono e si trasferirono a Parigi nel novembre del 1928.
Vigo nella capitale iniziò ad entrare in contatto con importanti ambienti cinematografici. Conobbe surrealisti e futuristi, tra questi, Claude Autant-Lara (Luzarches, 5 agosto 1901 – Antibes, 5 febbraio 2000) già aiutante di René Clair e in futuro europarlamentare del Front National (vergognose le sue affermazioni sulle camere a gas naziste) e Germaine Dulac (Amiens, 17 novembre 1882 – Parigi, 20 luglio 1942) la prima regista femminista della storia. Quest’ultima, colpita dall’energia del ragazzo, gli promise il suo appoggio per un incarico alla Franco-Film.
L’occasione si presentò quando Jean e Lydou decisero di stabilirsi in Costa azzurra. Nel dicembre del 1928 i due giunsero a Nizza ospitati da Jeanine Champol, una vecchia comunarda amica di Almereyda e spesso bambinaia del piccolo Jean. Il 24 gennaio 1929 i due giovani si sposarono e il suocero regalò loro centomila franchi per avviare un’attività. Jean e Lydou ne approfittarono per fare una vacanza a Parigi e per comprare una telecamera, marca Debrie. Nella capitale francese Vigo conobbe Boris Kaufman (Bialystok, 24 agosto 1897 – New York, 24 giugno 1980) fratello minore di David Kaufman meglio conosciuto come Dziga Vertov, uno dei più importanti teorici e registi della cinematografia sovietica. Tra i due nacque subito un’amicizia e dopo qualche settimana Vigo e Kaufman iniziarono a girare A propos de Nice (A proposito di Nizza, 1930).
Un documentario non convenzionale sulla città di Nizza vista attraverso gli elementi che la contraddistinguono: dal gioco al turismo passando per il divertimento del carnevale. Elementi che contrastano con la vita quotidiana della povera gente (emblematici i fiori lanciati e calpestati durante la festa, ma raccolti faticosamente dalle proletarie) dove perfino la morte è un fastidio alla “bella vita”.
L’impostazione surrealista dal gusto dissacratorio, il “cineocchio di Vertov” e la provenienza anarchica si fusero per raccontare la “bianca città degli ozi e dell’evasione”. Nel suo primo film, Vigo stravolse l’immagine della città francese, amplificando e deformando abitanti e caratteristiche con una forte carica rivoluzionaria (i ricchi derisi: dalla borghese spogliata, ai vecchi sotto il sole). Un atto di accusa ad uno stile di vita, ad una classe sociale, ma anche un poema visivo. Nel 1995, la Sept Cinéma e la Margo Films produssero un ideale seguito del film, A propos de Nice, la suite, film in sette episodi affidati a otto registi (Catherine Breillat, Costa-Gavras, Claire Denis, Raymond Depardon, Abbas Kiarostami, Parviz Kimiavi, Pavel Lungin e Raoul Ruiz).
Terminato il montaggio Vigo cercò una distribuzione per il suo film, ma dopo due proiezioni, avvenute al teatro parigino Vieux-Colombier (28 maggio e 14 giugno 1930) il film venne ritirato. Fu riammesso in circolazione solo nell’ottobre successivo grazie all’interessamento della Pathé-Nathan che decise di programmarlo in esclusiva alla Studio des Ursulines. Il regista, tuttavia, fu costretto, a causa della salute malferma, a tornare a Nizza dove diede vita ad un cineclub che chiamò “Les Amis du Cinéma” (“Gli amici del cinema”), la cui inaugurazione si tenne il 19 settembre del 1930 alla presenza di Germaine Dulac.
Vigo tornò a Parigi per seguire il suo film tentando, senza riuscirvi, di collaborare con Renè Clair, Jacques Tourneur e Abel Gance. Ma le proiezioni di A propos de Nice ebbero successo e il regista, grazie all’intervento dell’amica Dulac e di Léon Moussinac, il critico de “L’Humanité” (il quotidiano del Partito Comunista Francese), ottenne l’incarico dalla Gaumont-Franco-Film-Aubert di realizzare un breve documentario sportivo.
Prima di concentrarsi su questa nuova opera, tuttavia, Vigo partecipò al Secondo Congresso del Cinema Indipendente che si tenne a Bruxelles tra il 27 novembre e il 1 dicembre 1930. All’incontro parteciparono anche Sergej Michajlovic Ėjzenštejn, Léon Moussinac, Alberto Cavalcanti, Robert Aron, Germaine Dulac, Hans Richter, Joris Ivens, Jean Lodz, Jean-Georges Auriol. Al centro del dibattito gli strumenti di lotta contro la censura e alcune significative proiezioni. Tra queste da ricordare Zemlja di Aleksandr Petrovic Dovženko, Hallelujah di King Vidor e Chelovek s kino-apparatom ovvero L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov e Melodie der Welt di Walter Ruttmann.
Tornato in Francia Vigo si mise al lavoro per realizzare il documentario commissionato da “Le journal vivant”, la sezione sportiva della GFFA. Nacque così Taris, roi de l’eau (Taris o del nuoto, 1931) conosciuto anche con i titoli Taris, roi de l’eau; Taris, champion de natation; La natation, par Jean Taris, champion de France. Dedicata a Jean Taris, tra i più grandi nuotatori di sempre (vinse l’Argento alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932, due ori e un argento negli Europei tra il 1931 e il 1934), la pellicola doveva avere solo uno scopo didattico, illustrare le tecniche di nuoto, ma Vigo la elevò a qualcosa di onirico e sperimentò una allora insolita ripresa sott’acqua. Se il secondo film era stato realizzato, fallirono, invece, i tentativi di divenire aiuto regista o collaboratore di altri cineasti, come nel caso di Jean Grémillon.
In forti difficoltà economiche, Vigo fu costretto a vendere la sua telecamera Debrie per pagare le spese di parto di Lydou. Il 30 giugno del 1931 nacque Luce Vigo e tutto sembrò più bello anche perché arrivò la proposta di realizzare un secondo documentario sportivo dedicato al tennista Henri Cochet. Vincitore cinque volte al Roland Garros, due volte a Wimbledon e una volta allo US Open, Cochet fu anche, insieme a René Lacoste (che anni dopo lanciò una fortunata linea di abbigliamento contraddistinta dall’immagine di un coccodrillo, suo soprannome), Jean Borotra (poi Ministro dello Sport nella Francia di Vichy) e Jacques Brugnon, parte dei “Quattro moschettieri” che dominarono il tennis mondiale a cavallo tra gli anni venti e gli anni trenta (a loro è tutt’ora dedicata la coppa del singolare maschile del Roland Garros). Vigo, che aveva già mostrato del tennis in A proposito di Nizza, preparò con cura il copione che avrebbe alternato i giochi dei bambini con le gesta del grande campione, ma il film, intitolato Tennis, alla fine non si fece.
Il suo cineclub viaggiava a gonfie vele, ma Vigo era stanco di vivere a Nizza. Voleva raggiungere Parigi per incontrare gli amici cineasti, i compagni anarchici e comunisti che a causa della sua malattia vedeva raramente. In quei mesi le difficoltà economiche erano tante al punto che il regista pensò di abbandonare il cinema, ma sulla sua strada incontrò Jacques-Louis Nunez, un ricco uomo d’affari che ne intuì il genio e decise di produrre le sue pellicole. Scartati alcuni documentari, l’attenzione dei due si spostò sul primo film a soggetto del regista: Zéro de conduite (Zero in condotta).
Le riprese degli interni iniziarono il 24 dicembre del 1932 negli studi della Gaumont e si conclusero il 7 gennaio del 1933, con una pausa per Capodanno e una nuova il 5 gennaio per i cronici problemi di salute di Vigo, che diresse alcune scene da sdraiato. Gli esterni, invece, vennero realizzati tra il 10 e il 22 gennaio. Dopo il montaggio (per rispettare gli accordi impostigli dalla produzione il film non poteva superare i 1200 metri) e un prima proiezione per i collaboratori, il 7 aprile il film venne presentato a stampa a critici.
Finite le vacanze i bambini di un collegio, sono costretti a rientrare in quel luogo angusto dove gli adulti infliggono loro punizioni severe e bloccano ogni slancio creativo. Quattro di loro, puniti con uno “zero” in condotta, decidono però di ribellarsi e, aiutati dal nuovo sorvegliante Huguet (Jean Dasté), mettono in atto una rivolta a colpi di cuscino. Gli adulti sono sconfitti e i ragazzi possono correre per i tetti, finalmente liberi.
Il film più autobiografico di Vigo che attinse a piene mani dagli anni passati nei collegi e nei sanatori. Una splendida visione anarchica dei rapporti sociali, una profonda amarezza esistenziale di fronte alla crudeltà di una società classista e autoritaria, un bisogno di rivolta sincero. Irriverente, surreale, poetico. Tutto questo con dei bambini. Tutto questo in soli 47 minuti. Un genio.
Ma l’accoglienza di Zéro de conduite fu gelida e il film fu bollato come antifrancese e tagliato sia dalla produzione sia dalla censura. Oltralpe il film uscì solo nel 1945, ma ispirò generazioni di cineasti da François Truffaut a Lindsay Anderson che nel suo Se… (If…, 1968) trasportò il radicalismo di Vigo nella struttura classista inglese. Da segnalare, inoltre, la musica. Il compositore Maurice Jaubert scrisse il brano affinché fosse suonato al contrario. Un’altra innovazione che si univa ai rallentamenti dell’azione mostrati dal regista. La fotografica per la terza volta venne affidata a Kaufman.
Nonostante le polemiche, Jacques-Louis Nunez non perse la fiducia nel regista e, dopo aver accantonato Evadé du bagne (Evasione dai lavori forzati) un film ispirato alle gesta dell’anarchico Eugéne Dieudonné, lasciò carta bianca per il successivo lavoro. Vigo iniziò così, casualmente, a lavorare con lo sceneggiatore Albert Riera (Banyuls-sur-Mer, 28 gennaio 1895 – Parigi, 14 dicembre 1968) che ignorava essere un suo lontano cugino, discendente dei Vigo. Nacque così il “progetto Atalante”. Il regista volle conoscere nel dettaglio la rete dei canali nella capitale francese, la vita dei marinai e riuscì ad ingaggiare Michel Simon (Ginevra, 9 aprile 1895 – Bry-sur-Marne, 30 maggio 1975), Dita Parlo (Stettino, 4 settembre 1906 – Parigi, 13 dicembre 1971), autentica diva dell’epoca e Jean Dasté (Parigi, 18 agosto 1904 – Saint-Priest-en-Jarez, 15 ottobre 1994). Il resto del cast fu composto da amici e compagni del regista incluso l’anarchica Fanny Clar e il poeta Jacques Prévert. La GFFA accettò la produzione, ma impose la revisione della sceneggiatura affidata a Blaise Cendrars… quest’ultimo non toccò nemmeno una virgola di quanto scritto da Vigo e Riera.
E mentre Zero in condotta iniziava a raccogliere consensi all’estero, tra la fine di ottobre e i primi di novembre del 1933 il film, in parte ispirato ad un soggetto di Jean Guinée, iniziò a prendere forma. A novembre cominciarono le riprese che, nonostante alcune interruzioni causate dalla salute del regista, si conclusero alla fine di gennaio del 1934. Ma le condizioni di Vigo continuavano a peggiorare e il regista, ormai gravemente malato, diede all’amico Kaufman le indicazioni per girare le ultime scene. Jean e Lydou si recarono a Villard-de-Lans per un breve periodo di riposo affidando il montaggio a Louis Chavance. Tornarono a Parigi per assistere increduli al massacro de L’Atalante operato dalla GFFA che aveva, tra l’altro, fatto aggiungere brutalmente la canzone “Le chaland qui passe” (l’edizione francese dell’italiana “Parlami d’amore Mariù” scritta da Cesare Andrea Bixio e portata al successo da Vittorio De Sica) che divenne anche il titolo della pellicola. Il film venne così distribuito nel settembre dello stesso anno, ma a causa dello scarso successo, fu presto ritirato. Nel 1940 e nel 1950 furono integrate alcune scene mancanti, ma si dovette aspettare il 1990 per avere, grazie a fortunate ricerche e ad un accurato restauro filologico, la versione più vicina a quella pensata dal regista.
Jean (Jean Dasté) il comandante dell’Atalante, una chiatta sempre in movimento per i canali francesi, sposa la bella Juliette (Dita Parlo). I due vanno a vivere a bordo dell’imbarcazione governata dal vecchio marinaio père Jules (Michel Simon) e da un giovane mozzo (Louis Lefèbvre). La vita non è tuttavia semplice e alle gioie delle nozze subentrano le incomprensioni e la routine della vita quotidiana. Juliette fugge a Parigi, Jean è sempre più tormentato, ma i due sposi si ritrovano e tornano a vivere sull’Atalante.
Un capolavoro maledetto, magico punto di incontro tra le avanguardie e il “cinema sociale”. Il film con cui Vigo ruppe con la “tradizione realista del cinema francese per privilegiare un approccio poetico con qualche lampo surrealista” (Mereghetti). Giustamente celebre la sequenza nel fiume perché “Se si nuota sott’acqua ad occhi aperti si vede la persona amata”, una scena che per anni, accompagnata da “Because the Night” di Patti Smith, è stata la sigla della trasmissione Fuori orario.
Uno stupefacente spirito anticonformista attraversò L’Atalante, da alcuni criticato per l’assenza di una “storia convenzionale”. Ma a Vigo, come a Yasujirō Ozu prima e a Jacques Tati dopo, la trama non interessava. Il regista voleva mostrare la maniera gioiosa, affascinata e libera con cui una donna si apre alla vita. Quella di Vigo, invece, stava per chiudersi.
Affetto da setticemia virale, malattia aggravata dalle pessime condizioni generali e dallo sforzo compiuto per girare il suo quarto e ultimo film (ci fu anche una violenta nevicata nei giorni delle riprese), Jena Vigo si spense alle ore 21 del 5 ottobre del 1934, ad appena 29 anni. Lydou, compagna di una vita, tentò di buttarsi dalla finestra, trattenuta a stento dagli amici. Morì il 24 aprile del 1939. I due furono sepolti nel cimitero parigino di Bagneux accanto alla tomba di Miguel Almereyda.
La morte di Vigo colpì molto, come ovvio, Boris Kaufman. Il direttore della fotografia continuò a lavorare nel mondo del cinema al fianco di Elia Kazan (si aggiudicò tra l’altro l’Oscar per Fronte del porto), Sidney Lumet, Jules Dassin e Otto Preminger. Il suo ultimo lavoro fu Film (1965), l’unica opera cinematografica di Samuel Beckett, con Buster Keaton come protagonista.
Ben più difficile la vita della piccola Luce Vigo che, rimasta orfana di entrambi i genitori, all’età di otto anni venne adottata dallo scrittore Louis Martin-Chauffier e dalla moglie. Luce studiò psicologia e iniziò a occuparsi di cinema. Negli anni a seguire divenne critica cinematografica per “L’Humanité”, “Regards” e “Jeune Cinéma”. Cultrice dell’opera del padre, morì il 12 febbraio 2017, all’età di 85 anni.
Jean Vigo influenzò generazioni di registi e attori, Luis Buñuel, François Truffaut, Bernardo Bertolucci, Steve McQueen. Nel 1951 venne istituito in suo onore il Premio Jean Vigo dedicato a giovani registi. Innumerevoli sono i cineclub, anche in Italia, a lui dedicati. Nel 1998 il regista Julien Temple realizzò Vigo (Vigo – Passione per la vita) con James Frain nel ruolo del protagonista e Romane Bohringer in quello di Lydou. Ma il lascito più importante del regista anarchico per eccellenza è rappresentato dalla severa condanna dell’ingiustizia, del sopruso, della sopraffazione, dell’ipocrisia borghese, dell’autorità legale, considerata violenza mascherata da rispettabilità. Da quella irripetibile, libera, sincera, rivoluzionaria critica sociale.
redazionale
Bibliografia
“Jean Vigo” di Maurizio Grande – Castoro
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza, foto 4 Screenshot del film M*A*S*H, foto 1, 3, 5 da pinterest.com, da foto 2 Screenshot del film The Delinquents, foto 6 Screenshot del film Comma 22