Nell’aprile del 1908 a Salisburgo, in Austria, si tenne il Primo congresso internazionale di Psicoanalisi. In quei mesi la notizia, oltrepassando di poco le Alpi, passò inosservata, ma col trascorrere degli anni trovò un posto nella Storia. In quell’occasione, infatti, vennero messe le basi della psicoanalisi grazie ad un uomo che aveva già iniziato ad aprire “i veli dell’inconscio”, quell’uomo era Sigmund Freud (Freiberg, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939). Già nel 1899 Freud aveva pubblicato quello che egli stesso definì un “rispettabile fiasco”, ovvero il libro “Die Traumdeutung” noto in Italia come “L’interpretazione dei sogni”. Il trattato aveva, infatti, venduto solo 123 copie nelle prime sei settimane di distribuzione e appena 351 nei due anni successivi. Nonostante l’insuccesso editoriale quel testo divenne punto di riferimento di molti psicologi che nel 1910 tennero un secondo congresso per poi strutturarsi definitivamente nel 1914 dando vita all’International Psychoanalytical Association (IPA). Tale associazione era formata da 14 membri fissi, l’unico italiano era Roberto Assagioli, e alcuni ospiti, tra i quali Max Eitingon, Carl Gustav Jung, Sándor Ferenczi, Ernest Jones, Karl Abraham e Hanns Sachs.
L’inconscio, gli abissi inesplorati della mente umana, affascinarono da subito il regista austriaco Georg Wilhelm Pabst che nel 1926 portò la psicoanalisi sul grande schermo girando I misteri di un’anima.
Nel cinema tedesco tra le due guerre mondiali, al fianco della leggerezza di Ernst Lubitsch, delle inquietudini di Friedrich Wilhelm Murnau e del rigore logico di Fritz Lang crebbe tra i cineasti un’attenzione alla “realtà”, una documentazione critica delle condizioni politiche e sociali del momento. Fu la stagione della Neue Sachlichkeit ovvero della Nuova oggettività (movimento noto anche come Nuovo realismo o Realismo psicologico tedesco) guidata, appunto, da Pabst (Raudnitz, 25 agosto 1885 – Vienna, 29 maggio 1967), un regista troppo spesso dimenticato, capace di unire vicende individuali e ambiente sociale. Di un verismo sconcertante fu Die Freudlose Gasse (La via senza gioia o L’ammaliatrice, 1925) in cui il regista affrontò il dramma della miseria e della prostituzione nella Vienna del primo dopoguerra. Nel film, che lanciò sulla scena internazionale Greta Garbo, Pabst tratteggiò con grande cura il profilo psicologico dei personaggi andando a scavare nel profondo della loro anima.
Ma il regista voleva andare più a fondo e cercò Sigmund Freud per la realizzazione di un nuovo progetto, un film che voleva essere un conciso ed efficace trattato di psicoanalisi applicata. Freud era già stato contattato per una consulenza da Samuel Goldwyn, uno dei più potenti produttori cinematografici dell’epoca poi cofondatore della celeberrima Metro Goldwyn Mayer (MGM), per un film riguardante una storia d’amore, ma aveva rifiutato tramite stampa, il “New York Times” titolò “Freud snobba Goldwing. Lo psicanalista viennese non è interessato all’offerta del cinema”. Lo psicanalista riteneva, infatti, il cinema una moda passeggera e soprattutto non lo riteneva compatibile con la psicoanalisi.
Freud rifiutò, pertanto, anche la proposta di Pabst e la consulenza venne affidata a due suoi allievi, i già citati Karl Abraham (Brema, 3 maggio 1877 – Berlino, 25 dicembre 1925) e Hanns Sachs (Vienna, 10 gennaio 1881 – Boston, 10 gennaio 1947). Alla morte prematura di Abraham, l’analista viennese Sigfried Beenfeld (Lemberg, 7 maggio 1882 – San Francisco, 2 aprile 1953) venne incaricato di scrivere il copione andando ad aggiungere ulteriore “credibilità” scientifica al film, in un misto tra documentario e finzione. Alla notizia Freud scrisse all’amico e collega ungherese Sándor Ferenczi: “Il film non lo si potrà evitare, sembra, così come oggi non si può fare a meno dei capelli tagliati alla maschietta: io i miei non li ho tagliati in quel modo e non voglio avere rapporti di sorta con il cinematografo”. Nonostante il disappunto del padre della psicoanalisi, il 24 marzo del 1926 uscì nelle sale Geheimnisse einer Seele ovvero I misteri di un’anima.
Il professore di chimica Mathias Fellman (Martin nella versione internazionale, interpretato da Werner Krauss), quando scopre che Erich (Jack Trevor) il bel cugino della moglie (Ruth Weyher) sta per tornare dall’India, è colto da una divorante gelosia che lo porta ad una profonda depressione. Il suo sonno è visitato da violenti e terribili incubi che lo rendono vulnerabile (una volta sveglio è ossessionato dalle armi da taglio) tanto da spingerlo anche al tentativo di colpire la moglie con un pugnale. Disperato si rifugia a casa della madre (Ilka Grüning) e si rivolge ad uno psicoanalista (Pavel Pavlov) che dopo molte sedute lo guarisce dalla gelosia che si trascinava dall’infanzia.
I misteri di un’anima, sceneggiato da Colin Ross e Hans Neumann, fu il primo film psicoanalitico della storia del cinema e cercò di mettere in mostra le teorie di Freud. Sotto la guida dello psicoanalista, infatti, il protagonista riesce finalmente a dare un senso logico gli elementi affiorati nei sogni. “Nell’infanzia il professore era geloso dell’interesse dimostrato dalla sua futura moglie per il cugino; da questa gelosia era nato un forte complesso d’inferiorità, che dopo il matrimonio si era trasformato in una specie di impotenza psicologica, impotenza che a sua volta aveva generato in lui un senso di colpa, che prima o poi era destinato a manifestarsi in qualche gesto incontrollato” (Kracauer).
Quasi a placare le possibili controversie, Abraham e Sachs nel programma di sala, che allora accompagnava i film, un po’ come accade per gli spettacoli teatrali, sottolinearono che “un solo film non può spiegare la psicoanalisi con i suoi innumerevoli problemi” aggiungendo “si sono dovuti tralasciare molti quesiti o perché troppo difficili, da un punto di vista scientifico, per un vasto pubblico oppure perché inadatti ad una trasposizione cinematografica”, ma questo non placò l’ira di Freud che considerò il film un attacco sconsiderato alle sue stesse teorie e alle istituzioni scientifiche che, sulla carta, Pabst pretendeva di tutelare.
Polemiche a parte I misteri di un’anima rimane una pellicola dall’indubbio valore storico che anticipò il surrealista Luis Bunuel e il suo Un chien andalou (1929) e ispirò Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Alfred Hitchcock. “Il film oggi è ancora affascinante soprattutto per la capacità di usare il cinema come strumento attraverso il quale materializzare in chiave realistica i ‘misteri’ di un’anima (l’opera è ricchissima di elementi e dettagli che non vengono spiegati, la cui comprensione è lasciata all’intuizione e alla perspicacia dello spettatore) anche se la mancanza della parola – strumento centrale del trattamento – e un finale vistosamente finto (lui pesca felice, lei sorride tenendo tra le braccia quel bambino che non era arrivato) sminuiscono l’efficacia di quella attrazione-repulsione di un uomo per una donna, tipica di Pabst, che qui costituisce l’asse narrativo del film” (Mereghetti).
Dopo Geheimnisse einer Seele, Pabst continuò con i suoi film a esplorare i “misteri dell’anima” attraverso la cosiddetta “trilogia sessuale” formata da Abwege (Crisi, 1928), Die Büchse der Pandora (Il vaso di Pandora o Lulù, 1929) e Das Tagebuch einer Verlorenen (Diario di una donna perduta, 1929), in cui affrontò il tema della condizione della donna nella società borghese e i problemi relativi ad una corretta educazione sessuale. Gli ultimi due da segnalare anche per la sensuale presenza dell’attrice statunitense Louise Brooks (Cherryvale, 14 novembre 1906 – Rochester, 8 agosto 1985) cui si ispirò il fumettista Guido Crepax per disegnare la sua Valentina.
Pabst, dopo una parentesi poco fortunata negli Stati Uniti, tornò in Germania e si allineò al Nazismo, benché il regista non si sentisse legato in alcun modo all’ideologia hitleriana, come fu invece per Werner Krauss, l’attore protagonista de I misteri di un’anima. Il regista considerava il programma di Goebbels un modo per rispondere alla supremazia cinematografica statunitense. Sbagliava. Il suo cinema subì un’involuzione artistica e stilistica tale da non riuscire a riprendersi nemmeno nel dopoguerra.
Andò peggio a Freud che finì nel mirino dei nazisti. I suoi libri vennero bruciati e, dopo varie vessazioni da parte della Gestapo, fu costretto ad emigrare a Londra (quattro sue sorelle morirono nei campi di sterminio). Fu perseguitato anche Hanns Sachs che, per sfuggire alle leggi razziali, si trasferì negli Stati Uniti dove divenne professore ad Harvard.
Il Nazismo cancellò così brutalmente quella preziosa corrente cinematografica, il Realismo psicologico tedesco, e quella continua ricerca di Pabst dentro l’animo umano.
redazionale
Bibliografia
“Georg Wilhelm Pabst” di Enrico Groppali – Il Castoro
“Da Caligari a Hitler. Storia psicologica del cinema tedesco” di Siegfried Kracauer – Lindau
“Da Caligari a M. Cinema espressionista e d’avanguardia tedesco” – Museo del cinema
“Sigmund Freud – Il padre della psicanalisi” di Giancarlo Ricci – Mondadori
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da: immagine in evidenza, foto 3, 5 Screenshot del film I misteri di un’anima, foto 1 da en.wikipedia.org, foto 2, 7 da gettyimages.fr, foto 4 da it.wikipedia.org, foto 6 Screenshot del film Il vaso di Pandora.