Tra le due guerre mondiali in Germania si svilupparono diverse correnti cinematografiche: dal celeberrimo espressionismo all’astrattismo, dal kammerspiel (letteralmente “Dramma da camera”) al realismo psicologico tedesco (noto anche come Nuova oggettività o Nuovo realismo). Ma se negli Stati Uniti veniva creato il divismo e in Unione Sovietica si ricorreva ad attori dilettanti, in Germania le pellicole venivano interpretate da attori e attrici provenienti da una sorta di “compagnia cinematografica”, un gruppo di “professionisti molto ben disciplinati che si adattavano via via ai mutamenti di stile e di moda” (Kracauer). Il più importante di questi fu Emil Jannings all’anagrafe Theodor Friedrich Emil Janenz.
Figlio di Emil Janenz (nato a St. Louis nel Missouri nel 1867) un uomo d’affari statunitense di origine russo-ebraica (alcune fonti lo indicano, invece, come nato nel 1846 in Germania, emigrato negli USA e naturalizzato nel 1867) e di Margarethe Schwabe (nata in Germania nel 1867), Jannings nacque a Rorschach sul Lago di Costanza in Svizzera il 23 luglio 1884. Grazie alla madre ottenne subito la cittadinanza tedesca anche se continuò a vivere in Svizzera per poi trasferirsi a Lipsia e in seguito, dopo la morte prematura del padre avvenuta nel 1901, a Görlitz.
Il giovane Emil voleva diventare un attore, ma la madre glielo proibiva. A sedici anni decise così di lasciare casa, abbandonare la scuola (non terminò mai il liceo) per imbarcarsi come mozzo. Deluso dall’esperienza, tornò a Görlitz e, convinta la madre, iniziò un tirocinio presso il teatro della città. I risultati non furono brillanti, ma Jannings non si scoraggiò e si unì a diverse compagnie itineranti di lingua tedesca. Recitò a Stettino tra il 1907 ed il 1908, mentre a Bonn e Glogau ottenne i primi ruoli da protagonista (1908-1911), si spostò poi a Königsberg, Lipsia e Norimberga (1911-12) ed infine a Darmstadt e Brema (1913-14). Venne qui notato dal grande Max Reinhardt che gli offrì, nel 1914, un contratto per il teatro che in allora dirigeva: il Deutsches Theater di Berlino.
Sempre nel 1914, debuttò anche sul grande schermo nel film Im Schützengraben diretto da Walter Schmidthassler. L’attore scrisse anni dopo del suo esordio: “Quando mi vidi sullo schermo per la prima volta ne ebbi un’impressione disastrosa. Possibile che avessi un’aria così stupida?”. Jannings benché coinvolto in ruoli sempre più impegnativi al Deutsches Theater, proseguì, all’inizio per pura opportunità economica, un’intensa carriera nel cinema in pellicole dirette, tra gli altri, da Robert Wiene (in seguito regista de Il gabinetto del dottor Caligari) e Arthur Robison (nel 1923 diresse Ombre ammonitrici).
Divenuto professionista, nel 1918 interpretò con successo, alla Schauspielhaus di Zurigo, il ruolo del giudice Adamo nella commedia di Heinrich von Kleist “La brocca rotta” (Der Zerbrochne Krug), per lo stesso Jannings la sua interpretazione teatrale più riuscita. In quegli anni entrò in contatto col drammaturgo Karl Gustav Vollmöller, con la fotografa Frieda Riess e con l’allora attore teatrale Ernst Lubitsch che rappresentavano una parte importante della cultura negli anni della Repubblica di Weimar.
Nello stesso periodo firmò, senza grande entusiasmo, un contratto con la UFA, la società che guidava l’industria cinematografica tedesca. Jannings, infatti, temeva che il cinema, allora muto, lo avrebbe danneggiato visto che non poteva mettere in risalto la sua versatile voce. Sbagliava. Sotto la guida dell’amico Ernst Lubitsch, nel frattempo divenuto regista, interpretò i primi ruoli da protagonista in Das fidele Gefängnis (L’allegra prigione, 1917), in Wenn vier dasselbe tun (Quando quattro persone fanno la stessa cosa, 1917) e in Die Augen der Mumie Ma (Gli occhi della mummia, 1918) al fianco di Pola Negri, in cui interpretò un fanatico sacerdote egizio.
Successivamente si specializzò in film “storici”, basati sulla rievocazione, in tono enfatico e volutamente caricaturale, di personaggi celebri. Divenne così Luigi XV in Madame du Barry (1919) di Ernst Lubitsch.
La sarta Jeanne (Pola Negri) sposa il conte Guillaume du Barry (Eduard von Winterstein), ma il suo cuore è legato al giovane Armand de Foix (Harry Liedtke) imprigionato nelle carceri francesi. Diventa così l’amante di Luigi XV (Emil Jannings) e riesce a far liberare l’amato; tuttavia, questi si unisce ai rivoluzionari che incarcerano la giovane e la condannano alla ghigliottina, per poi pentirsi, invano, all’ultimo momento.
Prodotto con grandi sforzi dall’UFA (la Germania era ancora in forti difficoltà dopo la Prima guerra mondiale) fu il primo successo internazionale per Lubitsch, ottenuto anche grazie all’interpretazione di Jannings, “Da antologia la scena in cui Luigi XV muore di peste, abbandonato da tutti” (Mereghetti).
L’anno successivo divenne Enrico VIII in Anna Boleyn (Anna Bolena) sempre diretto da Ernst Lubitsch. Per sposare la timida damigella Anna Bolena (Henny Porten), il Re (Emil Jannings) lascia la moglie Caterina d’Aragona (Hedwig Pauly-Winterstein), ma quando non gli dà il sospirato erede, sposa Jane Seymour (Aud Egede Nissen) e manda l’ex moglie al patibolo. Una fastosa ricostruzione d’epoca in cui “Jannings è forse l’Enrico VIII più carnale e animalesco visto al cinema, e tiene in pugno il film col suo talento gigionesco” (Mereghetti).
La valorizzazione ottenuta grazie all’amico regista, lo portò ad abbandonare gradualmente il teatro per il cinema. Negli anni successivi recitò, sempre nel ruolo del protagonista, in Danton (1921) da Dimitri Buchowetzki, Das Weib des Pharao (Theonis, la donna dei faraoni, 1922) di Ernst Lubitsch, Othello (Otello, 1922) di Dimitri Buchowetzki e Peter der Grosse (Pietro il Grande, 1922) di Dimitri Buchowetzki.
Nel 1923 Ernst Lubitsch (Berlino, 28 gennaio 1892 – Los Angeles, 30 novembre 1947) emigrò negli Stati Uniti d’America per non fare più ritorno in Germania. Era ebreo. Jannings, sempre più popolare in patria e all’estero, recitò in Das Wachsfigurenkabinett (Il gabinetto delle figure di cera o Tre amori fantastici, 1924) di Paul Leni (Stoccarda, 8 luglio 1885 – Los Angeles, 2 settembre 1929) regista, scenografo e costumista morto prematuramente di sepsi, che diresse negli USA di The Man Who Laughs (L’uomo che ride, 1928).
Un giovane poeta (William Dieterle) viene ingaggiato dal direttore di un piccolo museo delle cere (John Gottowt, ucciso in Polonia nel 1942 dalle SS) per realizzare tre storie ispirate alle statue presenti. Aiutato dalla figlia del proprietario (Olga Belajeff), il giovane mette così in moto la fantasia. La prima storia è una farsa orientale che ridicolizza i modi dei tiranni, nella quale il Califfo di Baghdad Harun al-Rashid (Emil Jannings) cerca di sedurre la moglie (Belajeff) del fornaio Assad (Dieterle). Nella seconda storia Ivan il Terribile (Conrad Veidt) si diverte sadicamente ad affidare ad ogni suo prigioniero una clessidra che, granello dopo granello, li avvicina alla morte, ma quando vuole obbligare una giovane moglie (Belajeff) ad assistere alla dipartita del marito (Dieterle), scopre che una clessidra porta il suo nome e impazzirà cercando di fermare il tempo. Nella terza e ultima storia il poeta (Dieterle) vede Jack lo squartatore (Werner Krauss) che insegue lui e la figlia del direttore del museo (Belajeff) armato di coltello, ma è solo un sogno. Un quarto episodio, incentrato sulla figura di Rinaldo Rinaldini, non venne girato per problemi di budget.
Uno degli ultimi capolavori dell’espressionismo tedesco scritto da Henrik Galeen (Leopoli, 1881 – Randolph, 30 luglio 1949), tra le figure più misteriose della storia del cinema, benché sceneggiatore del Nosferartu di Murnau, delle pellicole sul Golem dirette da Paul Wegener e regista de Lo studente di Praga (1926), in cui i tre “cattivi” sono i protagonisti assoluti, a partire dal “califfo” Jannings.
Sempre nel 1924 recitò nel ruolo di Nerone in Quo Vadis? tratto dal celebre romanzo del polacco Henryk Sienkiewicz, nonché remake dell’omonimo film diretto da Enrico Guazzoni nel 1913. Il film, diretto da Gabriellino D’Annunzio (figlio del “vate”) e Georg Jacoby, fu un insuccesso commerciale che portò di fatto alla chiusura dell’Unione Cinematografica Italiana (UCI). In quell’anno Jannings recitò anche in Nju-Eine unverstandene Frau di Paul Czinner.
Ma il 1924 fu soprattutto l’inizio di una fortunata collaborazione con Friedrich Wilhelm Murnau (Bielefeld, 28 dicembre 1888 – Santa Barbara, 11 marzo 1931) tra i massimi registi dell’espressionismo prima e del kammerspiel dopo. A quest’ultima tendenza appartiene Der letzte Mann (L’ultima risata): il vecchio portiere (Emil Jannings) dell’Atlantic Hotel di Berlino viene declassato a custode dei gabinetti. Umiliato, l’uomo ruba l’uniforme gallonata, e continua ad indossarla a casa per non confessare la sua nuova mansione alla famiglia, in particolare alla nipote (Maly Delschaft) che sta per sposarsi. Scoperto verrà cacciato da casa e costretto a passare la notte nei gabinetti dell’hotel. Ma come anticipa l’unica didascalia della pellicola “Il film dovrebbe terminare qui perché nella vita reale allo sfortunato vecchio non resta che aspettare la morte. Ma il regista ha avuto pietà di lui e ha inventato un epilogo quasi incredibile”, il vecchio grazie ad una improvvisa eredità torna come ricco cliente dello stesso albergo.
Un uso straordinario del carrello per uno dei capolavori della storia del cinema. Superlativa l’interpretazione di Jannings che suggerì il lieto fine, inedito per i dramma da camera: “pretesi che la sceneggiatura fosse cambiata e riuscii ad ottenerlo malgrado lo stupore degli sceneggiatori. Si aggiunse un finale che si collocava intenzionalmente nel genere fiaba, dove il protagonista, al colmo dell’umiliazione, è trasformato in milionario da un giorno all’altro”. Molti videro in quel portiere, prima umiliato e poi rinato, la Germania uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale, ma pronta al riscatto.
Furono gli anni migliori della carriera di Jannings. Nel 1925 interpretò il ruolo del protagonista in Varieté di Ewald Andreas Dupont (Zeitz, 25 dicembre 1891 – Hollywood, 12 dicembre 1956).
Detenuto da dieci anni, il boss Stephan Huller (Emil Jannings) racconta al Direttore del carcere, che deve rispondere alla sua domanda di grazia, la storia della sua vita. L’uomo è un ex acrobata ora direttore di un Luna park che, lasciata la moglie (Maly Delschaft) per la ballerina Bertha-Marie (Lya De Putti), viene assunto come compagno del trapezista Artinelli (Warwick Ward), ma quando quest’ultimo seduce la giovane divenendone l’amante, Stephan medita prima di fingere un incidente durante l’esibizione, poi raggiunge il rivale in albergo e dopo una rissa lo accoltella, per poi costituirsi. Tornati al presente Huller stringe la mano del Direttore del carcere e si allontana.
Tratta dal romanzo di Felix Holländer, la pellicola fu un esempio della versatilità del cinema tedesco degli anni ’20 e delle straordinarie qualità di Emil Jannings che “riesce a rendere espressive le sue stesse spalle” (Lourcelles).
Il film uscì nelle sale il 16 novembre del 1925, quattro giorni dopo ci fu la prima di Herr Tartüff (Tartufo), ispirato all’omonima opera di Molière, diretto da Murnau: un giovane (André Mattoni) per mettere in guardia il nonno (Hermann Picha) dalle insidie della sua avida governante (Rosa Valetti) gli proietta un film con la storia dell’ipocrita Tartufo (Emil Jannings) che aveva costretto il ricco Oregone (Werner Krauss) a privarsi di ogni bene e dei piaceri della vita coniugale. Elmira (Lil Dagover), la moglie dell’uomo, con l’aiuto della cameriera Dorina (Lucie Höflich), riuscirà a smascherare il disonesto Tartufo. Ed anche il nipote riuscirà a smascherare la governante.
Uno dei primi esempi di “cinema nel cinema”, per una pellicola che reinventa il capolavoro di Molieré anche grazie alle doti di Jannings. Lo sceneggiatore Carl Mayer (Graz, 20 novembre 1894 – Londra, 1 luglio 1944), il più importante dell’epoca, scrisse: “Esistono due Tartufi, quello del teatro e quello del film […] Il primo è caratterizzato da una fiumana di menzogne, il secondo invece da un’impermeabilità enigmatica (Jannings è riuscito a interpretare questo ruolo con una tale padronanza interiore che le emozioni profonde di un attore come lui, propenso agli effetti esteriori, appaiono in una luce nuova)”. Una nuova grande interpretazione dell’attore “con la tonaca nera del bacchettone e lo sguardo porcino, è uno di quei gigioni che si guardano con meraviglia” (Mereghetti).
Il successivo film fu Faust – Eine deutsche Volkssage (Faust, 1926), terzo e ultimo lavoro al fianco di Friedrich Wilhelm Murnau. Mefistofele (Emil Jannings) scommette con l’Arcangelo Gabriele (Werner Fuetterer) che riuscirà a corrompere l’integerrimo dottor Faust (Gösta Ekman) e a conquistare il dominio sulla terra. Per farlo diffonde la peste, inducendo così il vecchio dottor Faust a stringere un patto con diavolo al fine di salvare i suoi concittadini. Disperato perché sospettato di stregoneria dagli abitanti del suo stesso villaggio, tenta il suicidio, ma Mefistofele gli appare per la seconda volta e lo convince ad un nuovo patto: l’anima in cambio della ritrovata giovanezza e dell’amore. Dopo essersi rifugiato a Parma, il ringiovanito Faust torna in Germania dove seduce e abbandona la giovane Gretchen (in italiano Margherita, interpretata da Camilla Horn). La ragazza, dopo aver partorito il figlio di Faust, viene cacciata dalla città e quando il figlio muore di freddo sarà accusata di stregoneria. Mentre brucia sul rogo, Faust la raggiunge pentito, salvando la propria anima.
Il miglior Faust del cinema. Un folgorante poema metafisico, in cui Murnau, all’ultimo film tedesco, mise in mostra tutte le sue qualità registiche con un uso unico dello spazio che diventò il vero protagonista (non casualmente Éric Rohmer scriverà anni dopo “L’organizzazione dello spazio nel Faust di Murnau”). Tra gli attori brillò Jannings.
I film tedeschi vantavano, anche grazie alle condizioni del Marco, una grande diffusione all’estero ed erano molto apprezzati negli Stati Uniti. Non casualmente molti registi e attori trovarono in Hollywood la nuova casa. Emil Jannigs fu tra questi, convinto da una faraonica offerta della Paramount.
La prima pellicola realizzata negli USA fu The Way of All Flesh (Nel gorgo del peccato, 1927) diretto da Victor Fleming (poi regista del celeberrimo Via col vento) che racconta il dramma di August Schiller (Emil Jannings) truffato e creduto morto dalla sua famiglia. Un film purtroppo perduto di cui si conoscono solo pochi frammenti.
L’anno seguente recitò in The Last Command (Crepuscolo di gloria, 1928) di Josef von Sternberg. Sergius Alexander (Emil Jannings) è un ex vecchio generale cugino dello Zar che sopravvive facendo la comparsa a Hollywood. Nel 1917 era riuscito a fuggire dalla Russia grazie all’amore della rivoluzionaria Natacha Dabrova (Evelyn Brent) morta poco dopo averlo salvato: per lo shock Alexander soffre ancora di un vistoso tic. Ancora non sa che il giovane regista russo Leo Andreiev (William Powell), un rivoluzionario, lo ha scelto in quanto ha riconosciuto in lui l’uomo che durante gli anni dello zarismo lo aveva fatto condannare. Il film tratta proprio del crollo della Russia zarista: Sergius Alexander sul set, per pochi minuti, torna ad essere il generale orgoglioso di un tempo e muore dopo aver pronunciato il suo ultimo comando.
Capolavoro assoluto di von Sternberg che riflette sulle appartenenze e mostra una Hollywood disillusa “popolata da straccioni che fanno a gomitate per fare le comparse” (Mereghetti). Nel 2006 la pellicola è stata scelta, insieme a Fargo dei fratelli Cohen, per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Per Jannings un successo dietro l’altro. Recitò in Street of Sin (La via del male, 1928) dello svedese Mauritz Stiller e in The Patriot (Lo zar folle, 1928) dell’amico Ernst Lubitsch.
Hollywood era in espansione. L’11 maggio del 1927, per promuovere e sostenere lo sviluppo dell’industria cinematografica nazionale, venne fondata l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences che il 16 maggio del 1929 assegnò il primo premio cinematografico della storia, gli Oscar. Durante la cerimonia, durata poco più di quattro minuti, due tedeschi vinsero l’ambita statuetta. Friedrich Wilhelm Murnau per il suo Sunrise: A Song of Two Humans (Aurora, 1927) votato come Miglior film ed Emil Jannings per le sue interpretazioni in Nel gorgo del peccato (l’unico film da Oscar andato perduto) e Crepuscolo di gloria (in allora venivano valutati più film).
Jannings nel 1930 tornò in Germania per girare Der blaue Engel (L’angelo azzurro) ancora diretto da Josef von Sternberg. Il professore di liceo ginnasio Immanuel Rath (in italiano Emanuele, Emil Jannings), scopre che i suoi allievi frequentano “L’angelo azzurro”, un locale equivoco dove si esibisce la bella e conturbante Lola Lola (Marlene Dietrich). Il professore viene sedotto dalla ragazza, e i due si sposano: pur di stare con lei lascia il lavoro, ma una volta finiti i risparmi di una vita è costretto a svolgere i lavori più umilianti per la compagnia guidata dall’illusionista Kiepert (Kurt Gerron, attore internato e ucciso nel 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz. A lui sono dedicati diversi documentari) fino a divenire un clown costretto ad esibirsi nella città dove era uno stimato insegnante. Scoperto il tradimento di lei, morirà di vergogna sulla sua vecchia cattedra.
Il film, il primo sonoro fatto in Germania, doveva ruotare intorno a Jannings, ma la giovane Marlene Dietrich (Berlino, 27 dicembre 1901 – Parigi, 6 maggio 1992) rubò la scena segnalandosi come stella internazionale, creando il mito della diva peccaminosa e sensuale. Indimenticabile quando canta a cavalcioni di una sedia “Ich bin von Kopf bis Fuß auf Liebe eingestellt” (Da capo a piedi sono orientata all’amore). La prova di Jannings toccò, invece, il vertice nelle scene finali che fecero del film un saggio di crudeltà, “una delle più inquietanti ed estreme storie di sfruttamento e solitudine” (Mereghetti).
Fu l’ultimo capolavoro di Jannings. Il Nazismo era alle porte. Il 5 marzo 1933 Adolph Hitler venne eletto nuovo Cancelliere, il 13 marzo dello stesso anno Joseph Goebbels venne scelto come Ministro della Propaganda, un ministero creato per diffondere l’ideologia del nazionalsocialista in Germania e controllare le espressioni culturali nel paese. Jannings sostenne da subito il Nazismo e poco gli importava se molti autori, attori e registi erano costretti alla fuga o peggio.
Divenne quindi collaboratore di Goebbels e interpretò numerosi film di propaganda: Die Abenteuer des Königs Pausole (1933) di Alexis Granowsky, Der schwarze Walfisch (1934) di Fritz Wendhausen, Der alte und der junge König-Friedrichs des Grossen Jugend (I due re, 1935) di Hans Steinhoff, Traumulus (I vinti, 1936) di Carl Froelich che gli valsero la nomina di “Attore di Stato”.
Divenne l’interprete più rappresentativo della Germania Nazista. Sempre per il regime recitò in Der Herrscher (Ingratitudine, 1937) diretto da Veit Harlan per il quale Jannings si aggiudicò la Coppa Volpi al festival di Venezia per la migliore interpretazione maschile. Seguirono ritratti di personaggi storici in Robert Koch, der Bekämpfer des Todes (La vita del dottor Koch, 1939) di Hans Steinhoff e in Ohm Kruger (Ohm Kruger l’eroe dei Boeri, 1941) di grande impatto spettacolare e di esplicita propaganda anti-inglese ancora diretto da Hans Steinhoff. Quindi recitò in Die Entlassung (1942) di Wolfgang Liebeneiner e in Altes Herz wird wieder jung (Dono di primavera, 1943) di Erich Engel.
Durante le riprese del suo ultimo film, Wo ist Herr Belling? (1945) per la regia di Erich Engel, gli “alleati” fecero irruzione sul set. A salvarlo fu quell’Oscar che dimostrava il suo passato a Hollywood.
Ma Jannings non fu l’unico mirabile attore ad aderire al Nazismo. Werner Krauss (nome completo Werner Johannes Krauss, Sonnefeld, 23 giugno 1884 – Vienna, 20 ottobre 1959) recitò, tra gli altri, nel ruolo del protagonista nel capostipite del filone espressionista il famoso Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920) di Robert Wiene, in Die freudlose Gasse (La via senza gioia, 1925) e Geheimnisse einer Seele (I misteri di un’anima, 1926) di Georg Wilhelm Pabst e in Der Student von Prag (Lo studente di Praga, 1926) di Henrik Galeen.
Tra i primi firmatari per il referendum a sostegno di Adolf Hitler, si legò sempre più al crescente regime Nazista. Nel 1934 per “le sue capacità e la bravura artistica” venne nominato Attore di Stato, nel 1940 interpretò il perfido rabbino Loew Levi in Jud Süß (Süss l’ebreo) del già citato Veit Harlan, film simbolo della propaganda nazista. Fintamente ispirato ad una storia vera, la pellicola richiama le farneticazioni naziste dove gli ebrei sono presentati come “esseri profondamente infidi e corrotti, per i quali gli ariani non posso che provare terrore e disgusto” tanto da spingere Heinrich Himmler a chiedere che “tutte le SS e i membri della polizia” dovessero vederlo. Del dopo guerra il regista venne più volte processato per crimini contro l’umanità, ma fu assolto per insufficienza di prove. Il protagonista, l’attore Ferdinand Marian, si suicidò in automobile nel 1946.
Nel 1944 Krauss comparve nella Gottbegnadeten, una lunga lista stilata da Hitler e Goebbels che elencava gli artisti considerati cruciali per la cultura nazista. Dopo la guerra si rifugiò a Mondsee in Austria, venne espulso e condannato al pagamento di 5.000 marchi per reati minori. Dopo aver ottenuto la cittadinanza austriaca continuò la carriera di attore, tornò in Germania per l’interpretazione del Re Lear, ma la rappresentazione fu interrotta dalle proteste. Morì a Vienna all’età di 75 anni e fu sepolto al cimitero Zentralfriedhof della capitale austriaca.
Carriera meno densa per Rudolf Klein-Rogge (nome completo Friedrich Rudolf Klein-Rogge, Colonia, 24 novembre 1885 – Wetzelsdorf bei Jagerberg, 29 maggio 1955), già marito dell’attrice e sceneggiatrice Thea von Harbou, interpretò, tra gli altri, Il dottor Mabuse (1922), il dispotico re Etzel ne I Nibelunghi (1924) e lo scienziato pazzo in Metropolis (1927), sempre diretto da Fritz Lang. Aderì al Partito Nazista, ma nonostante la partecipazione ad un’ottantina film di propaganda, cadde nelle antipatie di Joseph Goebbels che non gli perdonava proprio la collaborazione con Lang che era di origine ebrea. Dopo la guerra provò a rifarsi una carriera, senza successo.
Tornando a Jannings per il suo ruolo attivo durante gli anni del Nazismo, ricordato anche nel film di Quentin Tarantino Bastardi senza gloria (venne interpretato dall’attore Hilmar Eichhorn), subì giustamente il processo di “denazificazione”, iniziativa volta a liberare da ogni rimasuglio dell’ideologia nazionalsocialista la società, la cultura, la stampa, l’economia, la giustizia e la politica dell’Austria e della Germania. Negli stessi anni Marlene Dietrich, profondamente anti nazista, diventava negli USA una delle più grandi attrici delle storia del cinema e ricordava l’ex collega come un “detestabile prosciutto”.
Jannings, uno dei più grandi attori degli anni ’20 e ad oggi l’unico tedesco ad aver vinto l’Oscar come Migliore attore, si ritirò a Strobl vicino a Salisburgo, diventando cittadino austriaco nel 1947.
L’attore si sposò tre volte. Nel 1919 con l’attrice Hanna Ralph (vero nome Johanna Antonia Adelheid Günther, 1888-1978) per poi separarsi nel 1921. Sempre nel 1921 sposò e divorziò da Lucie Höflich (vero nome Lucie von Holwede, 1883-1956) attrice e insegnante tedesca con la quale lavorò in alcuni film di propaganda, su tutti quelli dedicati alle figure di Robert Koch e Ohm Kruger. Nel 1923, infine, sposò Gussy Holl (vero nome Auguste Ruth Marie Holl, 1888-1966) che gli rimarrà vicino fino alla morte avvenuta il 3 gennaio 1950 per un tumore al fegato. Venne sepolto nel cimitero di St. Wolfang dove tutt’ora riposa. Quell’Oscar che gli salvò la vita è tutt’ora in mostra presso il Film Museum di Berlino.
redazionale
Bibliografia
“Da Caligari a Hitler. Storia psicologica del cinema tedesco” di Siegfried Kracauer – Lindau
“Friedrich Wilhelm Murnau” a cura di Bruno Di Marino e Giovanni Spagnoletti – Dino Audino editore
“Da Caligari a M. Cinema espressionista e d’avanguardia tedesco 1918-1931” – Associazione Lingotto
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da
Immagine in evidenza foto tratte da nowweknowem.wordpress.com e it.wikipedia.org, foto 1 da it.pinterest.com, foto 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 15, 16, 20 Screenshot del film riportato nella didascalia, foto 14 da nowweknowem.wordpress.com, foto 17 da en.wikipedia.org, foto 18, 19 da media.photobucket.com