Da una sentenza della Consulta all’altra. Dai referendum sul Jobs Act alla legge elettorale. Le due piste si intrecciano, la posta in gioco si moltiplica. Le strategie per evitare o almeno disinnescare il referendum sui voucher, quello davvero rilevante, devono misurarsi con quelle per riuscire a votare in giugno, obiettivo che per Renzi resta imperativo. E i due tavoli finiscono quasi per confondersi.
Chiudere la partita sui voucher con un ritocco furbesco è impossibile. La Cgil non accetterebbe. La Corte costituzionale, alla quale spetterà il compito di decidere se le modifiche sono tali da vanificare il quesito referendario, si profila come ostacolo insormontabile. «Sono uno strumento malato che non si può correggere», va giù secca Susanna Camusso. Ma quando il Parlamento inizierà a discutere di voucher sul tavolo finirà anche l’articolo 18, nonostante la bocciatura del referendum, almeno nelle intenzioni della Cgil e della sinistra Pd. «Se un licenziamento è illegittimo quella illegittimità va sanzionata. La nostra battaglia continua», avverte Camusso. «Non ci spero molto, ma non rimetterci mano sarebbe un errore: l’abolizione dell’art. 18 non ha favorito l’occupazione», duetta Bersani.
Con queste premesse, l’ipotesi di dribblare il referendum grazie all’intervento del parlamento è ben poco credibile. Piuttosto l’obiettivo sarà depotenziarlo modificando la norma sui voucher, magari con il ritorno alla legge Biagi nella speranza poi di far mancare così il quorum nelle urne.
Solo che il percorso del referendum incrocia quello delle elezioni politiche. La Consulta si esprimerà sull’Italicum il 24 gennaio, e dalle voci che circolano la sentenza dovrebbe arrivare rapidamente. Poi però bisognerà aspettare le motivazioni fino alla fine di febbraio. Solo a quel punto si potrà prendere la rincorsa e i tempi saranno strettissimi. Se le previsioni saranno rispettate, la sentenza non sarà «autoapplicativa», richiederà cioè interventi del Parlamento per armonizzare la legge elettorale della camera con quella del Senato, e tuttavia sarà tale da imporre un intervento limitato. Il governo potrebbe tagliare il nodo di Gordio con un decreto fatto poi approvare col voto di fiducia, ma è molto difficile che Gentiloni si risolva a un passo del genere dopo che Renzi aveva già imposto con la fiducia l’Italicum e con Mattarella che insiste per una legge che goda di un consenso vasto e non limitato alla maggioranza.
La palla passerà quindi alla Camera, poi al Senato, e siccome è difficile immaginare che palazzo Madama non apporti modifiche la navetta partirà quasi certamente. Anche così, sulla carta, ci sarebbe il tempo per varare di corsa una legge elettorale, sciogliere le Camere a metà aprile e votare tra l’11 e il 18 giugno, facendo di conseguenza saltare anche il referendum. Sarebbe però un percorso ad altissimo rischio. Non si eviterebbe infatti solo il referendum ma anche la modifica dei voucher in Parlamento finirebbe impantanata e comunque l’intera operazione avrebbe il sapore di un blitz organizzato anche per evitare il ricorso alle urne in materia di leggi sul lavoro. Un pessimo viatico per le elezioni.
Trovare il consenso necessario in Parlamento, inoltre, non sarà facile. Il solito Bersani ieri ha messo dei paletti precisi, reclamando una legge che permetta ai cittadini di scegliere e «non iper-maggioritaria», formula con la quale si intende non solo un premio di maggioranza «abnorme» ma anche la somma tra premio e soglia di sbarramento. Una richiesta che complica di molto le cose.
La sola via d’uscita sembra essere un accordo con Forza Italia, che non ha alcun interesse nel facilitare il referendum della Cgil, per votare presto in cambio della legge proporzionale a cui mira Silvio Berlusconi. E’ una porta stretta e sinora ogni tentativo di dialogo in questo senso è andato a vuoto. Ieri però Arcore avrebbe aperto uno spiraglio. E’ troppo presto per dire se sia vero o no e se si tratti di un reale cambio di strategia dell’ex Cavaliere. Ma quell’eventuale spiraglio è forse l’unica via attraverso la quale Renzi può ottenere le sue elezioni in giugno.
ANDREA COLOMBO
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