Alle primarie repubblicane dell’Iowa Donald Trump ha vinto, e ha proprio vinto tutto: non solo ha rispettato la soglia psicologica dello stare sopra il 50%, ma ha distaccato di 30 punti non la candidata che si era presentata come la sua alternativa, Nikki Haley, ma Ron De Santis, il candidato che è una sua copia che cerca di superarlo a destra.
E questo risultato l’ha raggiunto facendo in tutto 7- 8 eventi in Iowa, al confronto di De Santis che negli ultimi mesi sembrava aver spostato lì la propria residenza , visto che ha passato più tempo nello stato del nord che nella soleggiata Florida.
Trump ha vinto almeno 20 dei 40 delegati dell’Iowa, con più del 50% dei voti. Si tratta del margine di vittoria più ampio nello stato dal 1988. Come se non bastasse, dopo la sua vittoria un altro candidato, Vivek Ramaswamy, ha sospeso la campagna elettorale e dato l’endorsement a Trump, consegnandogli il suo 7% di preferenze.
In risposta alla vittoria di Trump, il presidente Joe Biden ha dichiarato: «Il punto è questo: le elezioni vedranno me e voi contro i repubblicani estremisti Maga (Make America Great Again, come da slogan di Trump ndr). Era vero ieri e sarà vero domani».
In effetti questa è stata una vittoria più che annunciata e anticipata da mesi di sondaggi favorevoli che davano Trump in testa a tutti: un commentatore politico statunitense, nei giorni del voto in Iowa, ha più volte ripetuto che la tensione che si respirava per questi caucus era paragonabile a quella che si prova ad assistere ad una riunione di condominio, ma senza i popcorn.
Questa vittoria prevedibile e schiacciante permette comunque ai dem di incentrare la propria campagna in un “facile” contesto di attacco più che di difesa. Già dal primo commento del presidente è chiaro che il modo in cui i democratici vogliono fare campagna elettorale è concentrandosi sulla minaccia che Trump rappresenta per la democrazia Usa, più che sulle virtù dello stesso Biden, un presidente cronicamente impopolare che si trova ad affrontare le insicurezza legate alla sua età (81 ora, 86 alla fine di un eventuale secondo mandato), alla sua gestione dell’economia, e il sostegno a Israele nella guerra contro Hamas.
La vittoria di un ex presidente messo sotto impeachment due volte, e con 91 capi di accusa penali suddivisi in 4 processi che pendono sul suo capo – secondo i dem -, è preferibile a quella di un candidato più fresco politicamente.
Chi ha sicuramente perso in Iowa è l’ex governatrice del South Carolina ed ex ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, Nikki Haley, che all’apice del suo momentum non è riuscita a stracciare il suo vero rivale per un onorevole secondo posto, De Santis, superandolo di almeno 5 punti, come si vociferava nei giorni precedenti – , al contrario è dietro di lui di due punti. Haley è la favorita indiscussa degli elettori “Never Trump” – repubblicani, indipendenti e democratici indecisi – il problema è che è in corsa per la nomina in un partito che è ancora saldamente schiavo di Trump.
Nel suo discorso, con il quale ha dovuto incassare la doppia sconfitta, Haley ha attaccato sia Trump che Biden, in quanto rappresentano «più o meno la stessa cosa»: sono entrambi troppo in là con gli anni, «consumati dal passato, dalle indagini, dalle vendette, dalle lamentele». E ha abbozzato su De Santis. La vera gara si vedrà in New Hampshire e in South Carolina, ha sottolineato Haley riferendosi ai prossimi due appuntamenti elettorali.
E da questo momento in poi Haley ha dichiarato di non volere più prendere parte ad alcun dibattito se non parteciperà anche Trump che finora non si è mai confrontato direttamente né con lei né con De Santis.
Nessun dibattito, pochissimi comizi sul campo, eppure Trump in Iowa ha stravinto, dimostrando ancora una volta che nel suo caso non valgono più le normali regole della politica: basta la sua presenza, non c’è nemmeno bisogno di un programma.
O di aspettare che vengano annunciati tutti i risultati dei seggi: la vittoria di Trump è stata annunciata a poco più di mezz’ora dall’inizio dei caucus, quando in molte sedi non era nemmeno iniziato il voto vero e proprio, e questa è stata una delle ragioni della rabbia dei sostenitori di DeSantis, come del governatore stesso che ha accusato i media conservatori di non sapersi rapportare a più candidati, ma di essere proni al culto di Trump.
Come prevedevano in molti il fattore freddo ha sicuramente giocato un ruolo in questo voto, ma non determinante per il risultato finale. La notte elettorale la temperatura oscillava fra i -35 e i -40, e la flessione sull’affluenza alle urne ne ha sicuramente risentito: durante il precedente caucus repubblicano erano andate a votare 185.000 persone, mentre in questo ne sono state contate circa 120.000.
MARINA CATUCCI
foto: screenshot You Tube