Vincitori e vinti? Le mosse locali per un nuovo ordine globale

La situazione geopolitica mondiale, di per sé, nell’essere tornata ad un multilateralismo piuttosto strutturale (quindi improntato alle dinamiche del liberismo capitalistico moderno) esclude, almeno in linea di principio (e...

La situazione geopolitica mondiale, di per sé, nell’essere tornata ad un multilateralismo piuttosto strutturale (quindi improntato alle dinamiche del liberismo capitalistico moderno) esclude, almeno in linea di principio (e quasi certamente nella concretezza che si delineerà in futuro), un qualcosa di simile al “pareggio” per ciò che concerne la guerra tra Russia e NATO sul terreno ucraino e sulla pelle di quel popolo.

L’impossibilità postbellica di determinare chi sia il vincitore e chi il vinto è un dato irriscontrabile nella storia dell’umanità: sempre, comunque, ci sono vincitori e vinti, perché le guerre, ahinoi, hanno il fine di far prevalere con la prepotenza, la forza e l’aggressività militare un contendente sull’altro. Quindi è assai probabile che non ci troveremo innanzi ad una eccezione nei prossimi mesi o anni… Difficile dire che sviluppi avrà il conflitto.

L’esaltazione patriottico-propagandistica dell’avanzata delle truppe di Kiev nell’oblast russo di Kursk può avere un senso entro i confini ucraini ed essere utile ad un certo filone guerrafondaio che preme per fornire armi sempre più sofisticate a Volodymyr Zelens’kyj e ai suoi comandanti, così da avere una qualche probabilità di prevalere su una Russia che ha capacità ben maggiori di produzione di armi e di sostentamento delle truppe.

Ma questa rivendicazione di conquiste che, al lato pratico, sono qualche centinaio di chilometri quadrati (e che tuttavia sono uno smacco per il mito dell’impenetrabilità dei confini russi da parte del nemico), non risolve il tema centrale del pensare ad una strategia di uscita dal conflitto. Chi ha interesse a che la guerra continui è ovvio che metta in parallelo le conquiste ucraine con una qualche vaga idea di una resistenza militare che si è andata affievolendo, presentando il tutto come il momento della riscossa.

Chi ha invece interesse a prospettare una certa idea del dopo-guerra, portando avanti un’azione diplomatica dimenticata da una Europa completamente asservita al nordatlantismo dell’alleanza meno difensiva della Storia, si pone più che legittimamente la domanda su come si possa far regredire l’azione militare per consentire alla politica di sopravanzarla e di ottenere il ruolo che le spetta: quello della mediazione, della trattativa e, quindi, del preventivo cessate-il-fuoco qui ed ora.

Uno dei punti dirimenti è il ruolo dell’Ucraina nella zona di intercapedine tra Occidente ed Oriente, tra Ovest ed Est di una Europa che nella geopolitica dell’oggi è divisa in tre settori: dal Portogallo alla Germania il corpo portante della UE nettamente filo-atlantista; la parte più slavo-baltica invece filo-russa e, infine, l’Est propriamente detto, che non fa parte dell’Unione, e che include Minsk e Kiev. L’una fedele alleata di Mosca, l’altra che volta le spalle alla sua storica connotazione politico-strategica e guarda verso Bruxelles (tanto per quanto riguarda la NATO, tanto per quanto riguarda la UE).

Le condizioni di vita in Ucraina si fanno sempre più difficili. Gli aiuti americani sono la premessa di una ipoteca imperialista che, sul piano squisitamente militare, include l’Alleanza atlantica: il programma di Zelens’kyj resta immutato e include ai primi posti del dopoguerra il recupero di tutti i territori perduti, l’inclusione del suo paese nel campo occidentale a tutto tondo. Politicamente, militarmente, ergo, economico-finanziariamente parlando.

Analisti ed esperti, a loro volta analizzati e commentati da riviste specializzate, affermano che esiste la concreta possibilità che Kiev possa perdere la guerra entro il 2024. Se non fosse questo lo scenario del prossimo inverno, potrebbe allora verificarsi una serie di eventi, tanto al fronte quanto nei rapporti tra le potenze mondiali, che consenta a Putin di giocare al ruolo di pacificatore da una posizione di netta superiorità e forza.

L’attacco all’oblast di Kursk serve, almeno in questa fase di difficoltà multiple per Zelens’kyj e per il suo governo, a mitigare la sensazione che altrove la Russia stia invece avanzando. Le linee del fronte, infatti, per quanto immobili possano apparire si muovono di poche centinaia di metri giorno per giorno. Nuovi villaggi cadono in mano russa, mentre Mosca si fa cogliere impreparata ad attacchi ucraini più a nord.

Già nel maggio scorso, il direttore della CIA, William Burns, prospettava delle opzioni simili e paventava il pericolo che il logoramento temporale fosse divenuto il peggiore nemico dei paesi occidentali in una guerra in cui la possibilità di prevalere contro l’asse Russia-Cina e nazioni nettamente ostili a Washington si rilevava sempre più fioca, debole e inimmaginabile.

La neutralità di Kiev tra i due grandi blocchi in chi è stretta, è quindi uno dei punti che saranno certamente discussi in un congresso di pace (o di non belligeranza…) del prossimo futuro. Non basterà mettere la parola fine alle conquiste russe concedendo a Mosca i territori che si è presa con la forza. Non sarà sufficiente un trattato che sancisca nuovi confini. Sarà dirimente il ruolo dello Stato ucraino nella contesa euro-mondiale tra le potenze emergenti nel nuovo multipolarismo.

Questo dovrebbe essere il centro di una discussione anche piuttosto ampia da cui partire. Perché la posta in gioco non è più soltanto l’approssimarsi incedente dell’Alleanza atlantica ai confini della Russa, bensì la vera e propria penetrazione della stessa nella sfera di influenza russa: l’Ucraina è, anche plasticamente e visivamente parlando, un cuneo inserito nel cuore di un’area storicamente appartenuta all’impero degli zar, all’Unione Sovietica e, per ultima, all’effimera Confederazione degli Stati Indipendenti.

C’è chi ha ipotizzato una sorta di “soluzione coreana” del conflitto: quindi una divisione in due di un territorio nazionale che separerebbe da un lato le aree russofone e, dall’altro, quelle invece propriamente ucraine e filo-occidentali. Ma la linea di demarcazione possibile (quella della “Nuova Russia” ipotizzata tanto dalle mire imperialiste di Putin quanto dai deliri di Medvedev) non potrebbe somigliare a quella che divide Corea del Nord da Corea del Sud.

Soprattutto non sarebbe la conclusione, per quanto provvisoria, di un complicatissimo avvicendamento di scontri che hanno determinato ora il prevalere netto, ora la sconfitta altrettanto netta di una delle due parti in causa con il sostegno del mondo diviso in due blocchi netti e contrapposti durante la Guerra fredda. Qui le dinamiche moderne soppiantano i riferimenti e le similitudini possibili col recente passato.

Più il tempo trascorre, più la guerra si prolunga e più ci si dovrebbe rendere conto che non si tratta di una premessa di una riconsiderazione delle sfere di influenza capitalistiche ed imperialiste nell’Europa, ma del contrario: ne è la diretta conseguenza, perché queste decisioni di nuove spartizioni globali e intercontinentali sono già state elaborate e, oggi, vengono tradotte nella prassi del prolungamento della politica con i mezzi del militarismo brutale, del neonazionalismo.

Che cosa è accaduto, dunque, all’Unione Europa in questi anni? Non aveva forse perduto il suo mordente nell’ambito di una NATO dichiarata quasi in rigor mortis dal presidente francese Emmanuel Macron? Quella specificità di bastione del nordatlantismo proiettato contro la Federazione Russa le è stato rinnovato con il pretesto di funzionare da conglomerato di paesi capaci, nella loro eterogeneità, di essere parte dialogante tanto ad Ovest quanto ad Est.

In realtà, questa sorta di presagio pseudo-politico non si è potuto concretizzare perché Bruxelles e Strasburgo non hanno una vera politica estera comune, non hanno una autonomia reale e fattiva nei confronti di Washigton, di cui, invece, sono la propaggine oltreoceano. E non certo da questi ultimi anni di guerra. E mentre si assiste all’inedia di un continente unificato soltanto monetaristicamente, gli Stati Uniti provano a consolidare il loro dominio in Asia. Australia, Giappone e India guardano all’espansionismo americano come ad un deterrente nei confronti di quello cinese.

Le fittissime reti di interessi globali, poi, inducono Nuova Delhi a non scordare la sua appartenenza ai BRICS, pur rimanendo in una posizione piuttosto ambigua tra questi due quadranti dell’imperialismo mondiale. Una ambiguità simile a quella che la Turchia non nasconde quando si tratta di posizionarsi, da alleato della NATO e da ospite delle basi della stessa sul suo territorio, nei confronti del conflitto tanto ucraino quanto israelo-palestinese.

Ecco che le guerre, caso mai fosse necessario, mostrano di essere davvero un unicum che sottende capillarmente la contesa mondiale e che la struttura in una nuova dimensione parzialmente inaspettata in cui i popoli seguono purtroppo la corrente degli eventi e sono coinvolti in ennesimi massacri di massa.

Quello ucraino è esattamente un contesto di questo tipo, la cui circonferenza si interseca con le altre che riguardano il fronte mediorientale e questo con la contesa sino-americana nell’Oceano Pacifico. Attendersi la vittoria, su tutti questi fronti, vuol dire parteggiare per la superiorità di una parte del mondo su un’altra parte. Chi va in questa direzione non cerca la pace, ma una guerra continua, anche “per procura” (come si usa dire oggi…).

Una destabilizzazione costante per una gestione concorrenziale da parte di una economia sempre più in crisi nel controllo di miliardi di salariati, di indigenti, di persone che sono nella più piena disperazione e che, quindi, le guerre rendono costituzionalmente tali senza possibilità di uscita dalla condizione di miseri e di morte in cui si trovano.

La penetrazione ucraina in territorio russo esacerba ulteriormente una guerra in cui Kiev sta perdendo terreno e in cui l’Alleanza atlantica è ferma alla casella del cinico gioco del “non essere direttamente in prima linea” contro i russi. Considerare favorevolmente il successo ucraino in poche decine di chilometri di avanzamento di un fronte nuovo vuol dire distogliere l’attenzione dal vero problema: le minacce di Putin e di Medvedev sono reali.

Senza garanzie di neutralità dello Stato ucraino tra Europa atlantista e Russia, quest’ultima proseguirà la guerra fino a piegare Kiev ai propri interessi geostrategici. Il conflitto potrebbe durare ancora anni e i morti sarebbero il triplo di quelli fino ad ora conteggiati. Soprattutto la sinistra moderata, che si proclama pacifica e pacificatrice (ma non pacifista), deve in Italia assumere dei connotati politici chiari in merito. Il NO alle armi voleva dire, e anche oggi ha questo significato, rallentare e poi estinguere la spinta propulsiva dell’escalation bellica.

Gli ucraini continuano ad essere nel mezzo di una contesa che non li riguarda. E continuano a morire per le ragioni che sostengono gli imperialismi che sul loro territorio si scontrano e fanno massacrari gli altri a vicenda.

MARCO SFERINI

13 agosto 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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