“Ho visto, ho visto, ho visto uccidere Cristo
e non potuto proprio fare niente,
per salvare l’Agnello innocente.
Giuda Iscariota poi l’ha venduto
per trenta denari di prestigio sociale
ed è diventato anche esempio morale…
Ho visto, ho visto, ho visto uccidere Cristo
e anche se sono pazzo, folle e un po’ cretino,
non posso assolverne l’assassino.”.
(I Nomadi, “La morale”)
A prima vista vien da dire: “Toh, ma guarda! che bel programma, che bei punti all’ordine del giorno“:
- La bellezza del matrimonio
- I diritti dei bambini
- Ecologia umana integrale
- La donna nella storia
- Crescita e crisi demografica
- Salute e dignità della donna
- Tutela giuridica della Vita e della Famiglia
- Politiche aziendali per la famiglia e la natalità
Parrebbe quasi un convegno progressista, che parla di dignità della donna, della sua salute, di una “ecologia umana”, di diritti dei bambini. Va bene, forse enfatizza al primo punto un po’ il matrimonio, lo definisce “bello”, attribuendogli un’aura di misticismo che non è proprio così laica… Va bene ancora, parla di “tutela giuridica della vita”, ma potrebbe essere intesa come integrazione dei diritti proprio di chi la vita la considera così bella e sacra da non poter assistere all’accanimento terapeutico su corpi che ormai sono solo tali, privi di una coscienza, privi di qualunque reazione a stimoli esterni. Il caso emblematico di Eluana Englaro e quello di Welby sono lì (o dovrebbero esser lì) come monito morale e civile per tutte e tutti noi.
Ti viene voglia quasi di prendere un treno ed andare a Verona il 29 marzo per ascoltare i relatori del XIII Congresso mondiale delle famiglie: del resto ha il patrocinio del Comune di Verona, quindi anche un riconoscimento pubblico.
Poi scorri il sito, ti inoltri nelle pagine e, fingendo una ingenuità mal celabile, “scopri” che i relatori sono: Matteo Salvini, Igor Dodon (presidente della Moldavia), il ministro della famiglia Fontana, il ministro dell’Istruzione Bussetti, Katalin Novak (del governo di Orbàn), l’arciprete Dimitri Smirnov (della Commissione patriarcale per la famiglia della Chiesa ortodossa), il presidente della Regione Veneto Zaia, Sua Altezza Serenissima Gloria (principessa di Thurn e Taxis), Luois Alphonse de Boubon (duca di Angiò), Giorgia Meloni, Massimo Gandolfini (organizzatore dei “Family day”), il calciatore Nicola Legrottaglie, Lucy Akello (ministro ombra per lo sviluppo sociale in Uganda), Theresa Okafor (presidente Foundation for African Cultural Heritage), il senatore leghista Simone Pillon, Silvana De Mari (medico e scrittrice) e via dicendo qualche presidente di prevenzione nei confronti dell’eutansia, qualche esponente russo, medici che aderiscono a “Scienza e vita”, eccetera, eccetera, eccetera.
Presenze di prim’ordine, niente da dire: tutte appartenenti ad aree politiche che vanno dalla destra di governo a quella di opposizione, dalle posizioni fortemente intransigenti in materia di temi che riguardano il collegamento del concetto di “vita” con una sacralità della medesima che origina dalle sacre scritture, da interpretazioni bibliche e dottrinarie proprie di una Chiesa cattolica molto lontana dal Concilio Vaticano II e molto più vicina alla condanna del “relativismo” culturale e ideologico propugnata dal papa emerito Benedetto XVI.
Per renderci edotti di ciò che sentiremo dire a Verona tra il 29 e il 31 marzo prossimi, basta scorrere le agenzie giornalistiche, le dichiarazioni fatte da molti degli esponenti citati e riportate da molti siti web, Wikipedia compresa. Dunque, facciamoci del male e leggiamo cosa affermano queste signore e questi signori, ad esempio, su uno dei temi per loro più scabrosi: l’omosessualità intesa come devianza sessuale in quanto devianza morale e, quindi, comportamentale.
Sostengono i seguenti relatori:
«L’atto sessuale tra due persone dello stesso sesso è una forma di violenza fisica usata anche come pratica di iniziazione al satanismo» e «Sono la prima a riconoscere che è molto difficile uscirne (dall’omosessualità) ma è altrettanto vero che gli ex-gay sono più numerosi di coloro che si professano tali, anche se nessuno lo dice»;
«Chi sostiene l’aborto è un cannibale, bisogna spazzarli via dalla terra»;
«Sostengo la mozione che prevede la pena di morte per il reato di omosessualità aggravata e chiedo ai miei colleghi di fare lo stesso con forza»;
«L’omosessualità è degradante per la natura umana. Essere gay distrugge il senso stesso dell’essere umani»;
«Il preservativo è una trappola, esportata in Africa per soffocare la vita»;
«Preferirei dare mio figlio all’orfanotrofio piuttosto che in adozione a una coppia dello stesso sesso».
L’elenco potrebbe continuare, perché molti sono i relatori e queste frasi sono tutte loro, frutto di un revisionismo culturale sui temi della famiglia, della donna e dei diritti civili, nonché sulla prevenzione proprio scientifica di determinate malattie sessuali, che ruota attorno al perno dell’interpretazione religiosa dei comportamenti umani: non esiste alternativa alla morale cattolica, non può esistere un pensiero laico in merito.
Prendiamo come esempio il preservativo: serve ad evitare una pandemia di HIV, soprattutto in Africa: eppure il presidente di una fondazione che si definisce “culturale”, africana, lo condanna come se fosse un insulto a dio, definendolo una trappola che “soffoca la vita”.
Non sono parole poi così nuove. Benedetto XVI, in occasione di un suo viaggio in Africa nel 2009, in un articolo riportato da “la Repubblica”, citiamo testualmente, disse riferendosi all’HIV e all’AIDS: “E’ una tragedia che non si può superare solo con i soldi, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che anzi aumentano i problemi“. Aggiungendo che la soluzione era un comportamento umano morale e corretto e che occorreva stare accanto ai malati e “soffrire con i sofferenti“.
C’è una visione punitiva in tutto ciò, perché secondo la Chiesa cattolica, quella non del ‘400 o del ‘600, quella già di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI il preservativo è ostacolo alla naturalità del rapporto tra uomo e donna in tema di sessualità: impedisce quella “unità” che dio ha voluto e che non deve essere ostacolata al fine della procreazione.
Peccato che, se dio ha voluto tutto ciò, abbia anche contemplato le malattie e che tra queste ne esistano ancora (e se ne sviluppino sempre – ma questo sarebbe un discorso troppo laicamente scientifico da rendere comprensibile a menti ottenebrate dai millenarie invenzioni e pregiudizi -) di inguaribili anche se tenute sotto controllo con farmaci e con la prevenzione appunto di contraccettivi che ne impediscono la diffusione planetaria.
Negli anni ’80, quando l’epidemia di HIV e del suo sviluppo in AIDS si diffuse, fu un colpo così duro da creare in tutti un forte richiamo al preconcetto, al pregiudizio, mancando in allora ancora una letteratura scientifico-medica capace di spiegarci esattamente i canali di diffusione del virus che pareva impossibile arrestare.
Oggi bastano pochi farmaci per garantire ad un sieropositivo una vita uguale a quella di un sieronegativo: i sieropositivi con viremia azzerata hanno rapporti sessuali normalmente gestiti con le prevenzioni del caso, ma li hanno. Non sono pericolosi untori, salvo i casi di inconsapevolezza della contrazione del virus, che non sono pochi proprio perché si pensa che tocchi sempre ad un altro e, nella maggioranza dei casi, per una ignoranza palese riguardo le vie di trasmissione del virus stesso.
Invece di promuovere, proprio per la salvaguardia della vita e la diminuzione delle sofferenze umane, una corretta informazione tra i giovani sull’uso del preservativo o sul “safer sex”, la Chiesa cattolica e i relatori di Verona esprimono solo stigmi e anatemi contro l’omosessualità, le malattie sessuali e il ruolo della donna (e dell’uomo) in una società dove l’unico orizzonte possibile è la costruzione della famiglia perfetta: padre, madre e magari due figlioli.
Dio, Patria e Famiglia: tre maiuscole, un trittico da destra integralista che i signori e le signore di Verona ci ripropongo per allontanare i timori di un relativismo comportamentale che, a loro giudizio, è immorale, stante appunto il fatto che l’unica morale possibile è quella che deriva da dio, dunque quella che loro esprimono secondo le scritture, dunque secondo il Verbo per eccellenza.
C’è poco dire in merito, se non che ci troviamo davanti a pericolosi tentativi di manipolazione delle paure umane attraverso costrutti mentali fondati non sulla scienza, che dimostra in laboratorio tutto ciò che poi proclama, ma sulle invenzioni tutte umane che hanno creato non uno ma cento divinità a cui devono fare riferimento per proteggere le loro ansie e fobie, quei pregiudizi radicati nel solco di una tradizione che è storia di massacri per guerre religiose e crociate servite soltanto a consolidare il potere di un imperatore e di un papa nel corso di millenni.
Si tratta, alla fine, di un tentativo di ristabilimento di una egemonia (anti)culturale per il predominio di un potere che origina da interessi economici e da valenze tutt’altro che pie e amorevoli.
La lotta laica, costituzionale e civile contro queste forme di vera e propria omofobia, misoginia e antiscientismo retto su un altro tipo di interpretazione della scienza piegata ai “valori” di un cattolicesimo vandeano, è soprattutto una difesa delle nostre libere coscienze che devono poter essere svincolate da qualunque dogma o dettame religioso, ma diventa anzitutto una lotta per una libera Repubblica Italiana che, secondo costoro, dovrebbe mettere tra i suoi princìpi la differenza come elemento discriminante, considerando ad esempio la donna come appendice dell’uomo – maschio – padre (e padrone) della famiglia.
Peggio avevano fatto soltanto i romani, nella nostra celebre “civiltà occidentale”, istituendo la figura del pater familias che aveva diritto inizialmente di uccidere personalmente il figlio che si fosse macchiato di qualche illecito.
I relatori veronesi parlano di “amore”, di “bene”, di “famiglia”, di “figli”, di “vita”: non esiste amore se non c’è riconoscimento della diversità come elemento caratterizzante la piena espressione dell’individuo, sia maschio, femmina o di qualunque genere.
Non esiste bene nella famiglia se questa è istituita come un legame indissolubile, asfittico, claustrofobico, che impedisce alla donna (o anche all’uomo) di rompere una unione se questa non funziona più per mille motivi: la vita non è una tinta unica fatta da una sola emozione.
Tutte e tutti noi oltre alle ambivalenze che viviamo (gioia/dolore, felicità/infelicità, tristezza/allegria, calma/ira, ecc.) siamo attraversati da incongruenze che non sappiamo spiegare e che a volte riusciamo a dire soltanto davanti ad un terapeuta perché il rapporto di fiducia è l’unico terreno su cui far scorrere le nostre dinamiche interiori che per la maggiore sono ansie, paure, irrazionalità spesso nate in ambiti proprio pregiudiziali, in divieti e severità che provengono da tradizioni o da consuetudini che vengono considerati “naturali” perché espressione della “maggioranza” delle persone.
Il convegno di Verona ci allontana da una visione laica e introspettiva dell’essere umano e considera la sofferenza quasi come un dono divino, da sopportare quanto meno in nome di una fede incomprensibile perché emanazione del Mistero con la emme maiuscola.
Ma qui di misterioso, anzi di molto evidente, c’è soltanto il fatto che il potere si mantiene con la paura oltre che con le prebende elargite con legislazioni che non risolvono la povertà (strutturale al capitalismo…).
Il “timor di dio” è fonte di amore, di bene, di gioia? Quando affermano che gli omosessuali andrebbero uccisi dallo Stato (la pena di morte è ciò…), e lo sostiene un ministro ugandese che prenderà parte all’assise di Verona, lo fanno perché considerano gli omosessuali un pericolo non in quanto differenti per pratiche e desideri alla maggioranza eterosessuale, ma lo affermano perché noi omosessuali siamo davvero la cattiva coscienza specchiata per chi non sa darsi ragione di ciò e sceglie la soluzione più facile: sceglie la condanna della sodomia scritta nell’Antico Testamento biblico.
Indubbiamente vi è chi crede ciecamente in queste terribili sciocchezze, visto che essendo l’omosessualità, ad esempio, è riconosciuta dall’Organizzazione mondiale della sanità non più come una “malattia” ma come una “variante naturale” del comportamento umano, del resto presente ampiamente anche nel mondo animale (quindi presente in molte specie naturali, oltre a quella naturalissima dell’essere umano); vi è poi chi le ha adottate per sopperire ad insufficienze culturali.
Credenza e superstizione ancora una volta si incontrano e attaccano la laicità della Repubblica provando a reintrodurre nelle menti delle persone dubbi sulla giustezza dei diritti universali civili che devono essere alla base di un rispetto reciproco proprio nelle differenze.
L’uguaglianza che questi signori sognano è una uniformità dogmatica, selettiva, prigioniera di una selezione di genere e di sesso che viene attribuita ad un dio che è invenzione umana: intendiamoci, dio può pure esistere, ma di sicuro non è corrispondente a tutto quello che l’uomo ha pensato e scritto in merito a dio stesso.
Come bene sosteneva Marx, “la nostra critica alla religione consiste proprio in ciò: è l’uomo che fa dio e non il contrario“.
La nostra critica al convegno di Verona invece consiste proprio in ciò: è la libertà del singolo che determina quella di tutti e se non è libero anche solo un essere umano, non è libero nessuno. Qualunque sia il metro etico che si intende adottare. La Costituzione è “cosa buona e giusta”, dunque rimaniamo fedeli sì, laicamente, alla nostra Repubblica, alla nostra Carta fondamentale, per arrivare un giorno ad un mondo dove una risata avrà seppellito le amenità atroci del dito di condanna puntato dal convegno di Verona contro chi vuole solo essere sé stesso senza morali superiori, universali, cattoliche.
MARCO SFERINI
23 marzo 2019
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