Al secondo giro in Consiglio dei ministri su richiesta di Mattarella non si poteva ripetere il “salvo intese”. Quindi, si è inventata una nuova formula: lo “stralcio salvo recupero”, ed è successo con il “salva Roma”. Non si salva il buon governo.
In una coalizione normale i provvedimenti vengono elaborati e sostanzialmente concordati prima di arrivare in consiglio dei ministri. La rissa non è una fase necessaria nella formazione della delibera. E nemmeno la chiaroveggenza di un ministro che dichiara alla stampa l’esito della discussione prima che si svolga, come ha fatto Salvini.
Ma quel che più stupisce è lo strabismo di governo. È noto che il regionalismo differenziato porrebbe sulla capitale un costo politico, istituzionale e persino economico molto alto. Sul tema, la maggioranza nella risoluzione sul DEF ha ribadito l’avanti tutta. Che senso ha rischiare la crisi per un provvedimento tutto sommato minore, sui debiti, quando in prospettiva c’è un drammatico downgrade?
Un altro esempio lo troviamo per la scuola. Si raggiunge un accordo in base al quale i sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda) sospendono lo sciopero già dichiarato per il 17 maggio, tra l’altro contro la regionalizzazione della scuola chiesta – come tutti sanno – da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Ovvio l’interesse del governo a non avere una categoria forte in piazza a una settimana dal voto europeo. L’accordo recita: “Il Governo si impegna a salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione e ricerca, garantendo un sistema di reclutamento uniforme, lo status giuridico di tutto il personale regolato dal CCNL, e la tutela della unitarietà degli ordinamenti statali, dei curricoli e del sistema di governo delle istituzioni scolastiche autonome”.
Sono formule un po’ vaghe, come è forse comprensibile in un accordo che si definisce politico, e assume successivi confronti “nell’ambito di tavoli tematici e di settore”. Ma volendo intenderle come pienamente significative e condivise dalle parti, sono in frontale contrasto con le intese già raggiunte tra governo e regioni e pubblicate sul sito ROARS l’11 febbraio 2019. Per chi non lo ricordasse, quelle intese nella parte di dettaglio prevedevano di estendere la potestà regionale – in specie per Veneto e Lombardia – su assunzioni, retribuzioni, concorsi, rapporti di lavoro di tutto il personale, ruoli regionali in aggiunta a quelli statali, edilizia scolastica, diritto allo studio, programmi e persino finalità del sistema dell’istruzione, trasferimento del personale degli uffici periferici del MIUR. La potestà legislativa esclusiva dello Stato per le norme generali sull’istruzione (art. 117, co. 2, lett. n, Cost.) veniva largamente svuotata.
Quelle intese sono state elaborate da delegazioni trattanti delle regioni e del ministero delle autonomie. Non sono mai state smentite o dichiarate apocrife, ma sono solo svanite nelle nebbie di Palazzo Chigi per la parte di dettaglio. Su quelle intese non risulta che Bussetti – lombardo e vicino alla Lega – abbia eccepito alcunché.
Dunque, dobbiamo ritenere che fosse d’accordo. Ed è lo stesso Bussetti che firma con i sindacati, e siederà ai tavoli tematici e di settore.
Preoccupa ancor più che Bussetti non molto tempo addietro abbia detto ai docenti del Sud che c’era bisogno non di maggiori fondi, ma di più forte impegno. Gianfranco Viesti da ultimo ha dimostrato (www.eticaeconomia.it, 16 aprile) come sia menzognera la rappresentazione di una spesa per la scuola del Mezzogiorno maggiore di quella per il Nord. Il corollario è che sono fuorvianti le situazioni rappresentate sul sito del Ministero delle autonomie, e mistificanti le clausole delle intese (parte generale concordata) pubblicate dallo stesso Ministero, recanti la garanzia ultima del valore medio nazionale pro capite per le regioni richiedenti. Il disegno politico di fondo, nascosto sotto la parola magica “efficientamento”, è un travaso di risorse verso i più forti. Si punta a dividere il paese.
La scuola è un pilastro dell’unità della Repubblica, che il sindacato può e deve difendere. Ma Bussetti si metta d’accordo con se stesso, prima di sedersi ai tavoli tematici e di settore. In una trattativa la vera differenza è data dall’aver a che fare con gente in buona fede, o con chi mente sapendo di mentire.
MASSIMO VILLONE
foto tratta da Pixabay