«Spero che non si stia giocando al chicken game: correre verso il baratro per vedere chi si ferma prima»: a esprimere l’auspicio è il ministro dell’Economia Giovanni Tria, in conferenza stampa da Bruxelles, ma è inevitabile la sensazione forte che si tratti non di un augurio ma dell’esplicitazione di un timore.
Sulla manovra si procede step by step ma il problema è che quei passi vanno tutti nella direzione che porta alla voragine. I mercati, sensibili al quadro politico e alla stabilità complessiva molto più che non ai decimali di Pil, se ne accorgono e reagiscono di conseguenza. Ieri lo spread ha superato quota 320. Soprattutto, segnale più temibile, il primo giorno d’asta sui Btp Italia, ieri, ha registrato il risultato peggiore dal 2012. Domani arriverà il primo verdetto della commissione europea con il parere sui bilanci dei vari Paesi. Il giudizio sull’Italia sarà certamente negativo ed è probabile, anche se non ancora certissima, la richiesta della procedura d’infrazione, l’avvio cioè del cambio di marcia che renderà precipitosa la corsa verso il baratro.
Tria fa davvero quello che può, stretto com’è tra la ostentata rigidità del governo di cui fa parte e quella, camuffata ma anche più inflessibile, della Ue: della commissione ma ancor di più dei 18 paesi dell’eurozona che hanno lasciato alla stessa commissione pochissima libertà di movimento ed esigono una punizione esemplare. Il solito ministro della Finanze austriaco Hartwig Loeger, ormai calato nel ruolo di falco numero uno a pari merito con il collega olandese, è stato anche più ruvido del solito: «Non vedo cambiamenti da parte italiana. Aspettiamo ancora questa settimana una risposta chiara dalla commissione. Penso che ci saranno ancora tensioni con l’Italia». Un messaggio minatorio rivolto forse a Bruxelles ancora più che a Roma.
Tria conferma che «il programma non cambia» ma elenca una serie di argomentazioni in difesa delle ragioni italiane. Ricorda che la commissione era pronta ad accettare un deficit del 2%. L’intera diatriba riguarda dunque quattro decimali: «Non dico che la discussione sia surreale, perché la commissione ha il dovere di far notare lo scostamento da alcuni accordi, ma bisogna tener presente che si conferma un rallentamento dell’economia europea e il deficit è quindi più alto di quel che si pensava». Quel rallentamento, oltre tutto, colpisce Francia e Germania ancor più dell’Italia. Insomma, bisognerebbe «fare uno sforzo per riportare la discussione sulla reale portata del tema».
Quello sforzo non verrà fatto. In parte, come dice per una volta fuori dai denti il ministro dell’Economia, perché «questo è un periodo elettorale e ci sono molti Paesi con difficoltà interne a differenza dell’Italia». Ma forse in parte anche perché soprattutto i Paesi dell’eurozona sono tentati dal miraggio di fare a meno dell’Italia e anzi di usare lo scontro per cementare l’Unione. La paura di una reazione a catena in caso di crisi estrema con l’Italia è stata calmierata, a torto o a ragione, dalla strategia della Bce, pronta a usare un mezzo estremo come «il bazooka», le Omt, cioè l’acquisto illimitato di titoli di Stato a breve termine sul mercato secondario, per evitare appunto il contagio. Fugato almeno sulla carta l’incubo, spunta il miraggio di poter accelerare tutto, a partire dall’Unione bancaria ostacolata proprio dal rischio esagerato rappresentato dalle banche italiane, una volta eliminato l’intoppo italico.
È una tentazione azzardata. Uniti sul fare muro contro l’Italia, i 18 sono divisi sul resto. Ieri è stato accolto con scarsissima convinzione il progetto di bilancio comune presentato da Francia e Germania all’eurogruppo, che incidentalmente costituirebbe un colpo micidiale per l’Italia dal momento che permetterebbe l’accesso ai fondi comuni per lo sviluppo solo ai Paesi «in linea con i loro obblighi». Un passaggio che, anche se nessuno lo ammetterebbe, sembra scritto con il caso italiano fisso in mente.
Il governo, hanno ripetuto ieri sia Matteo Salvini che Luigi Di Maio, resta determinato ad andare avanti. La strategia del ministro Tria consiste nel proseguire con le trattative anche dopo il probabilissimo avvio della procedura d’infrazione, con l’obiettivo di limitare il danno evitando una procedura troppo pesante. Sempre che lo scossone di ieri non si riveli l’inizio di una tempesta.
ANDREA COLOMBO
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