Riprendiamo di seguito una nota introduttiva riguardante il testo: Fascismo e antifascismo. Storia, memoria e culture politiche di Alberto De Bernardi, già presidente nazionale degli Istituti Storici della Resistenza.
“La vittoria elettorale della destra populista il 4 marzo 2018 ha sortito, tra gli altri, l’effetto di reintrodurre prepotentemente nel dibattito pubblico la parola «fascismo», attribuendole una nuova attualità come esito possibile della crisi politica italiana e facendo riemergere, soprattutto nella sinistra, la chiamata alle armi sotto la bandiera dell’antifascismo.
La contrapposizione fascismo/antifascismo, come non accadeva dagli anni di Tangentopoli, ha riassunto i caratteri di una chiave di lettura per il tempo presente, capace di proiettarsi anche in una dimensione europea. La forza di questo paradigma si traduce in una sovraesposizione dell’uso pubblico della storia, con costanti riferimenti alla Resistenza, alla crisi del 1920-1922, al duce, al razzismo, al neofascismo. La storia torna a essere – come in altre fasi critiche della vicenda repubblicana – uno strumento di lotta politica, con tutto il carico che questo comporta in termini di semplificazioni, strumentalizzazioni, rimozioni e a volte mistificazioni, che rischiano di inficiare la comprensione della realtà.
Scopo di questo libro è fare chiarezza cercando di diradare la nebulosa di incrostazioni ideologiche e di false concettualizzazioni che innervano l’uso della storia nel dibattito pubblico e nella lotta politica. Tornano essenziali, a questo fine, i risultati più maturi della ricerca storica, che in questi ultimi anni ha elaborato nuove conoscenze e griglie interpretative del fascismo e dell’antifascismo, in grado di contrastare i forti rischi insiti in quel paradigma. Alberto De Bernardi ricostruisce l’itinerario storico nel quale questa coppia di opposti ha dominato la vita politica e civile dell’Italia, assumendo di volta in volta connotazioni e significati assai diversi.
Si parte dalle origini, tra il 1920 e il 1924, in cui le due parole entrano nel lessico della politica italiana ed europea; si prosegue con gli anni trenta, l’epoca dell’egemonia del fascismo in Europa e della sconfitta dell’antifascismo; si passa poi agli anni tra il 1943 e il 1948 con il collasso del fascismo e la nascita della Repubblica fondata sulla Resistenza e sulla Costituzione antifascista; si ricostruisce lo scontro tra fascismo e antifascismo negli anni del terrorismo e dell’«attacco al cuore dello Stato»; per arrivare infine alla crisi della prima Repubblica, da cui prende le mosse una lunga fase dominata dal «post», tra cui anche il post-fascismo e il post-antifascismo, alla ricerca irrisolta di una nuova identità repubblicana.
Alla fine del percorso, il lettore avrà acquisito una preziosa «cassetta degli attrezzi», utilissima per leggere il presente fuori dagli stereotipi, dai riflessi condizionati, dalle retoriche.”.
Al riguardo del testo di De Bernardi è bene precisare subito che non possono essere messi in discussione il valore storico e l’attualità politica dell’antifascismo. Il tema è naturalmente di grande attualità e si accompagna a quello della crisi della democrazia liberale.
Crisi dovuta anche al ritorno in campo dell’accoppiata “amico/nemico” di derivazione schmittiana che ha portato al superamento di quel “politically correct” che sembra ormai essere diventata cifra abituale nel confronto politico.
Per avviare un ragionamento di merito va, prima di tutto, tenuto ben conto del fatto che debba essere mantenuto l’intreccio storia / politica e del come esista e permanga quell’“uso politico della storia” che viene utilizzato da più parti e non certo a senso unico (anche chi ne proclama la necessità del superamento non fa altro che reiterare proprio “l’uso politico della storia”).
Premesso questo è il caso di precisare alcuni punti. Da dove deriva, infatti, la riattualizzazione, in particolare nella situazione italiana, del confronto fascismo/antifascismo? Prima di tutto dall’emergere nel dibattito politico di alcuni punti distintivi che vanno attentamente analizzati:
1) Razzismo. E’ indubitabile che esista e si stia affermando, anche e soprattutto a livello di governo, una politica che non può che essere giudicata come razzista. Una politica che si esercita soprattutto nell’identificazione del “diverso” e nell’affermazione di un presunto primato per “alcuni” che poi si traduce concretamente nei tentativi, non sempre riusciti, di respingimento dei migranti oppure in provvedimenti come quelli assunti attraverso il cosiddetto “decreto sicurezza” attraverso i quali, però si rischia di incentivare la clandestinità fattore propedeutico dell’insicurezza per tutti. Razzismo che si è ancora ben espresso in queste ultime ore a Roma con lo sgombero dei migranti dal centro di Baobab. Sgombero per il quale si è proceduto usando i mezzi blindati della polizia mentre qualche giorno prima lo sgombero che sarebbe dovuto svolgersi nell’immobile occupato da Casa Pound in pieno centro di Roma è terminato , come si diceva una volta, a tarallucci e vino;
2) militarismo. Questo potrà apparire un punto secondario, ma non è così. Ne abbiamo avuto la riprova ascoltando determinati accenti, soprattutto provenienti dall’ambiente militare, in occasione della ricorrenza del centenario del massacro collettivo denominato “Prima Guerra Mondiale”: Abbiamo anche sentito l’espressione di idee riguardanti il ripristino della leva militare obbligatoria intesa come strumento di “educazione nazionale” per le giovani generazioni. C’è n’è da vendere per considerare pericoloso questo “militarismo” di ritorno;
3) politiche sociali. Sotto quest’aspetto si torna indietro anche rispetto al clientelismo DC, del quale pure si scorgono tracce evidenti. Siamo di fronte ad una generalizzazione dell’assistenzialismo, introdotto come filosofia di vita attraverso una proposta di reddito di cittadinanza che è stata intesa e ha prodotto consenso proprio perché valutata di mera assistenza. Tanto è vero che si sta cercando frettolosamente di porre riparo. C’è poi il capitolo doloroso della politica della famiglia e della natalità emblematizzata dalla proposta del “pezzo di terra” per chi mette in cantiere un terzo figlio tra il 2019, 2029, 2021. Roba da “Agro Pontino” e da “battaglia del grano”, tanto per intenderci. Sul piano culturale, si direbbe quasi antropologico ci troviamo orami davvero sull’orlo dell’abisso;
4) comunicazione. Come scrive oggi, 14 novembre, Vincenzo Vita sulle colonne del “Manifesto” circola l’idea del “senza dio” e “senza legge” per i dati naviganti in rete e quindi la “non sopportazione” degli apparati comunicativi la cui decostruzione appare come la premessa indispensabile per l’apoteosi tra l’uno e la folla, il capo verso la moltitudine aclassista e omologata. C’è da notare, in questo, come si sia verificato un salto di qualità rispetto a quando, poco tempo fa, il tema della comunicazione era affrontato attraverso l’accumulo di proprietà di TV e giornali, che aveva caratterizzato l’era definita sbrigativamente come del “berlusconismo”;
5) autoritarismo. Il tutto è condito da una crescita verticale nella presenza dell’autoritarismo nella vicenda politica italiana. La tendenza all’autoritarismo nasce, è bene ricordarlo, fin dagli anni’80 del XX secolo quando si cominciò a parlare, scrivere e praticare di “decisionismo”. La linea era già stata tracciata allora: la complessità della domanda sociale, frutto della crescita degli anni’70, andava tagliata riducendo lo spazio tra di essa e la politica (Luhmann). Per fare questo occorreva un di più di segno del comando da realizzarsi attraverso la personalizzazione. Più o meno la ricetta degli anni’20, mutatis mutandis. Oggi il tutto appare ulteriormente esasperato, dopo i venti anni di bipolarismo temperato fondato soprattutto sull’esasperante esibizionismo dei singoli e sull’incapacità (reciproca da parte dei due poli) di leggere l’allargarsi e il trasformarsi delle contraddizioni sociali dentro la crisi.
In questo quadro, del resto esposto con assoluta schematicità, appare proprio il caso di tenerci le “pericolose incrostazioni insite nel paradigma “fascismo/antifascismo”, denunciate incautamente da De Bernardi mantenendo stretta la concezione del valore dell’Antifascismo.
Valore dell’Antifascismo quale elemento d’identità indispensabile tale da consentirci sia sul piano storico sia su quello politico, di stare agganciati a spirito e lettera della Costituzione Repubblicana.
Che sia proprio la Costituzione nuovamente il bersaglio di queste operazioni di taglio revisionista?
FRANCO ASTENGO
14 novembre 2018