Per generazioni e generazioni i contadini palestinesi della Valle del Giordano si sono spezzati la schiena nei campi. Una terra fertile grazie alle particolari condizioni climatiche e del territorio ma pur sempre dura da lavorare. «Agrumi e banane sono le produzioni migliori per tutti gli agricoltori e i proprietari delle terre ma si producono anche tanti ortaggi. Questa terra è una benedizione». Abu Nabil ha mani forti che arano, irrigano e coltivano la terra da quando era un bambino. Percorre spesso la strada tra il villaggio di al Oja e Gerico dove va a vendere frutta e verdura. Sa delle intenzioni di Benyamin Netanyahu. Il premier israeliano qualche giorno fa ha esortato gli israeliani che andranno alle urne il 17 settembre a riconfermarlo alla guida del paese. In cambio promette l’annessione a Israele delle aree della Cisgiordania con gli insediamenti coloniali ebraici. A cominciare dalla Valle del Giordano e il Mar Morto settentrionale, un terzo del territorio palestinese sotto occupazione militare dal 1967, che ha descritto come «il confine orientale e la cintura di sicurezza di Israele». Cosa questa annessione, condannata da mezzo mondo ma non dagli Usa, porterà di nuovo sul terreno Abu Nabil non lo sa. «Israele già controlla tutto, ci vogliono permessi per muoversi da una zona all’altra, lo sa bene chi ha un gregge di pecore. Demoliscono case e ricoveri per gli animali. Insomma è già dura così, spero solo che non ci caccino via», dice con la preoccupazione disegnata in volto.
Preoccupazioni che attraversano tutti i principali villaggi palestinesi della Valle del Giordano. Da al Aqabah ad Hadidiyeh, dal Farisiyah a Jiftlik fino a Khirbet Tana e ai minuscoli villaggi beduini. Lì le popolazioni già fanno i conti con le varie misure imposte nel corso degli anni dall’esercito che hanno aperto la strada all’espansione di una trentina di colonie e 18 avamposti israeliani. Quasi il 90% della regione (2400 kmq) è stata designata come Area C, la parte di Cisgiordania che gli Accordi di Oslo del 1993-94 (firmati esattamente 26 anni fa) hanno lasciato “temporaneamente” sotto il controllo israeliano. Il restante 10% ospita i centri abitati designati come Area A (controllo palestinese) o B (controllo misto israelo-palestinese). Comunità che essendo circondate dall’Area C sono separate l’una dall’altra. «La Valle del Giordano è la più grande riserva di terra della Cisgiordania – spiega Rashid Khudiri, del Jordan Valley Solidarity, una associazione che monitora e denuncia le pratiche dell’occupazione nella regione – è un potenziale polmone economico per i palestinesi ma Israele ci impedisce di utilizzarla in gran parte per le costruzioni, l’agricoltura, la pastorizia e le infrastrutture».
I motivi, aggiunge Khudiri, variano molto. Il 46% della Valle del Giordano è stata dichiarata “zona militare chiusa” ed include 11 poligoni di tiro. Un altro 20% è riserva naturale e altre porzioni di territorio sono state assegnate ai consigli regionali degli insediamenti coloniali. «Perciò i palestinesi devono rimanere entri i confini delle loro comunità e questo impedisce ogni tipo di sviluppo» prosegue l’attivista ricordando che le demolizioni effettuate dall’esercito colpiscono anche piccoli progetti finanziati dall’estero, inclusa l’Ue. Il centro per i diritti umani B’Tselem riferisce che da gennaio 2006 a settembre 2017 sono state abbattute circa 700 case, strutture abitative e ricoveri. Se si tiene conto che i palestinesi nella regione sono 65.000 palestinesi e 11.000 i coloni – che godono di piena libertà di movimento – la discriminazione è evidente per quanto riguarda l’utilizzo del territorio e delle sue risorse. Senza dimenticare che non di rado ad intere comunità palestinesi viene ordinato di lasciare temporaneamente le case, per lasciare spazio a manovre militari. E l’assicurazione data da Netanyahu all’elettorato israeliano – «annetterò la Valle del Giordano senza assorbire un solo palestinese», ha detto – non può che aggravare i timori di chi abita nei villaggi sparsi nell’Area C e ipotizza lente deportazioni.
Netanyahu ha intenzione di realizzare quello che già progettavano i leader israeliani di diverse generazioni. Il padre e ideologo del sionismo di destra, Zeev Jabotinsky, aveva una particolare predilezione per questo territorio che, anni dopo la sua morte, il piano di partizione della Palestina votato dall’Onu nel 1947 avrebbe assegnato in gran parte allo Stato di Palestina mai nato. Ma sarebbe un grave errore considerare l’annessione della Valle del Giordano come desiderio esclusivo della destra, in tutte le sue espressioni. Anche i principali rivali “moderati” del premier alle elezioni della prossima settimana credono che una ipotetica entità palestinese in Cisgiordania non potrà mai confinare con la Giordania e che Israele dovrà avere il controllo pieno della Valle del Giordano. D’altronde fu l’ex generale di area laburista Yigal Allon che già nel luglio del 1967, poche settimane dopo l’occupazione della Cisgiordania durante la Guerra dei Sei Giorni, propose un piano che assegnava a Israele la sovranità sulla della Valle del Giordano. I coloni intanto festeggiano e si preparano ad accogliere Netanyahu come un eroe. «Penso che Israele debba pensare al suo interesse, alla sicurezza» dice David Elhayani, capo del cosiddetto Consiglio regionale della Valle del Giordano, «I palestinesi hanno accolto con soddisfazione l’annuncio di Netanyahu, ne sono sicuro. In fondo vogliono solo vivere meglio, lavorare, avere una casa. Inoltre avranno la carta d’identità israeliana». Elhayani fa un quadro idilliaco del futuro ma sa bene che Israele non ha alcuna intenzione di accogliere palestinesi. Parola di Netanyahu.
MICHELE GIORGIO
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