Queste righe le scrivo anche per ricordare Valentino Parlato, ma soprattutto perché voglio che resti qui, su questo sito che prova a fare dell’informazione e della coltivazione del dubbio sulla medesima, una traccia esclusiva, tutta nostra da condividere con voi che ci leggete ogni giorno.
Non faccio nessun paragone con la “potenza” critica de “il manifesto”, con la sua storia che è storia di giusta e temibile eresia politica e culturale, ma anche la Sinistra quotidiana è, a suo modo, un sito “eretico” perché propone oggi una rivisitazione del marxismo sganciato da tutti quei dogmatismi e da quelle celebrazioni mitologiche che tante comuniste e tanti comunisti hanno messo addosso al movimento di liberazione dal capitalismo da troppo tempo.
Valentino Parlato, per chi ha avuto la fortuna di leggerne gli scritti sul “quotidiano comunista” nel corso dei decenni scorsi, ha sempre avuto come linea di difesa del giornale, nato da una radiazione dei suoi componenti dal PCI, proprio questa: l’atipicità della definizione delle categorie, la ricerca nel profondo dei concetti della semplicità delle espressioni.
Lui, come Luigi Pintor, sapeva descrivere gli avvenimenti politici e sociali più complicati e ginepraici con una facilità di espressioni comprensibili tanto dall’operaio e dalla casalinga quanto al più saccente dei cattedratici dal naso magari all’insù.
Valentino Parlato aveva una grande scuola alle sue spalle: una scuola popolare, fatta di rapporti costanti con la giornaliera visione delle problematiche di un proletariato che, allora, era visibile, palpabile, oggettivamente presente dalle fabbriche alle borgate romane (dove scadeva in quel sottoproletariato tanto deprecato, dialetticamente parlando, da Marx ed Engels).
Per questo noi de la Sinistra quotidiana lo salutiamo con grande affetto: per aver difeso gli ultimi, per essere sempre stato dalla parte anche degli “ultimi di carta”, di quelli che, essendo “ultimi” sono coloro che Brecht appellava come “indispensabili” perché sono coloro che devono sempre lottare, tutta la vita per l’affermazione dei propri diritti e di quelli che sono simili o uguali a loro.
In questo ultimo anno si era iscritto a Sinistra Italiana “in contrasto alla mia attuale tendenza a dimettermi da tutto“. Non un ritorno all’impegno, ma la prosecuzione della lotta per la giustizia sociale che per una vita intera è stato il significato della vita stessa. Quello che molte e molti di noi, in mezzo ad una incomprensione generale, danno alle proprie vite trasformandole in sacrificio e anche in piacere per una lotta che, come affermava Kropotkin (giunto alla ribalta in questi giorni per la citazione fatta da Elio Germano nella trasmissione di Fabio Fazio), “ti darà gioie come nessuna altra può dare” (da “La morale anarchica”).
La disuguaglianza culturale e civile è un valore: è ricchezza. Quella sociale è ingiustizia. E ci sono persone come Valentino Parlato che questa asimmetria l’hanno compresa sin da giovani e sono diventati e rimasti comunisti proprio perché non sono venute meno le condizioni di separazione tra civiltà e socialità.
Valentino Parlato ci mancherà come ci sono mancati tante compagne e tanti compagni in questi decenni: da Lucio Magri a Luigi Pintor.
Ma “il manifesto” rimane lì, al suo posto. E, anche se a volte non ne condividiamo determinate prese di linea, rimane un monumento dinamico per ridare speranza alla sinistra di alternativa del presente e del futuro.
Addio Valentino, ti sia lieve la terra, come si usa dire forse retoricamente in questi frangenti. Ti sia lieve davvero. Il nostro impegno rimane quello di renderla meno greve, pesante tanto per chi vi sta sotto quanto per chi vi cammina ancora sopra, con passo stanco, arrancando ogni giorno tra mille ingiustizie.
MARCO SFERINI
foto tratta dalla pagina Facebook de il manifesto