Il dubbio, la critica, la circostanziazione delle proprie idee non possono mai essere fini a sé stessi. Altrimenti si rischia di tradire proprio quello spirito che le voleva uniformare al compito di non accettare nulla per scontato e di esercitare, dunque, una forma di libertà di sé stessi, per sé stessi e per tutti gli altri.
Ma se la critica diventa decostruzione, apriorismo e prevenzione in qualche modo calcolata, allora si rischia di cadere nelle “fantasie” e pure “di complotto“. Wu Ming 1 lo scrive molto chiaramente nel bellissimo libro “La Q di complotto“. Giustamente noi critichiamo il sistema capitalistico, lo facciamo avendo ben presente la potenza del “pensiero unico” di cui Ignacio Ramonet parlava dalle colonne de “Le Monde Diplomatique“.
Lo facciamo avendo chiaro che la critica deve avere un fondamento nella realtà dei fatti e non può poggiarsi su “se” e “ma“. Una critica anticapitalista degna di questo nome deve essere “scientifica“, riferita all’indagine, ai fatti e non alle ipotesi.
Bisognerebbe mettersi al sicuro, così, da ogni scadimento nella critica fine a sé stessa, per dimostrare di essere intelligenti più di altri, scaltri più di altri per aver saputo – ad esempio – riconoscere il complotto che sta dietro all’inoculamento dei vaccini, al test di massa su popolazioni ridotte a cavie.
Ogni fantasia di complotto, per reggersi, ha bisogno della più vuota e banale semplicità e finisce con l’essere tanto disarmante per una mente razionale, quanto accettabile da larghe fasce di popolazione che prendono a prestito la verità più facile da assimilare, accettare e con cui inebriarsi per resistere alle difficoltà della vita. Altro conto è avere dei giusti dubbi anche sulla sperimentazione dei vaccini, proprio perché non si deve avere “fede” nella scienza, ma fiducia.
La scienza, pur condizionata dal mercato, procede per tentativi, perché studia, elabora, prova e riprova, sperimenta. Ma non è detto che per questo milioni di persone siano oggi volutamente delle cavie. Lo siamo indipendentemente dalle dinamiche del mercato: i brevetti sui vaccini sono già attivi. Big Pharma non ha bisogno di altro.
Noi siamo cavie cento volte al giorno: quando mangiamo qualunque cosa che comperiamo, anche se targata “bio“, a chilometro zero e così via… Siamo cavie ogni volta che prendiamo qualunque medicinale e persino quelli omeopatici, semplicemente perché non li abbiamo preparati noi e non sappiamo quindi – se vogliamo estremizzare il concetto – cosa sia stato messo in un farmaco (ricordo che la parola viene dal greco e significa “rimedio“, “medicina” e al contempo pure “veleno”).
Voi mangiate gli animali, esseri viventi cui viene tolta la libertà, la vita, spesso crudelmente, perché vi hanno cresciuto facendovi credere che “senza carne non si può stare“, che “la carne fa bene“. Avete idea di quanta carne mangiate che proviene da macelli che lasciano correre su malattie di ogni tipo?
E vi preoccupate della “dittatura sanitaria”? Del “green pass“? Se c’è qualcosa che ha un senso, in tutto questo confuso biennio pandemico, è proprio quel certificato verde che garantisce una sicurezza per gli altri, prima ancora che per noi stessi.
Non vaccinarsi rimane una libera scelta. L’obbligo vaccinale non esiste, nonostante questa sia una “dittatura sanitaria”. Ma chi non si vaccina rischia seriamente di essere da nocumento per chi gli sta intorno, per chi fa di tutto per contribuire al benessere comune. Non esiste una vita esente dai rischi. Ogni atto che compiamo o subiamo ha dei rischi.
I coltivatori e gli allevatori di fine ‘800, tanto in Europa quanto nelle Americhe, erano sovente alle prese col carbonchio: alle mucche ed alle pecore comparivano all’improvviso delle macchie nere, scure, simili a quelle provocate da un riversamento di sangue sottocutaneo. L’infezione, sconosciuta meglio con il nome di antrace per via delle spedizioni antispionistiche via lettera di qualche oligarca dell’oggi…, si sviluppava molto velocemente e decimava il bestiame.
Fu Louis Pasteur, nel 1881, a trovare il rimedio. Un vaccino, appunto. Gli allevatori non volevano che venissero inserite grosse siringhe nelle loro bestie senza sapere cosa sarebbe accaduto. Molti di loro preferivano affidarsi alla sorte, alla speranza che prima o poi la malattia se ne sarebbe andata, così come era venuta. Pasteur e altri medici insistettero e dimostrarono, non senza tante difficoltà, che mucche e pecore vaccinate sopravvivevano all’infezione, le altre morivano.
Per far capire tutto questo, misero in atto un esperimento in cui vennero praticamente sacrificate una trentina di ovini. Direi che ai nostri giorni, di esseri umani sacrificati al Covid-19 ve ne sono già stati fin troppi. Ho visto degli amici morire di coronavirus. Ho ascoltato storie terribili.
Quando ascolto le “motivazioni” di chi non si vuole vaccinare, perdonatemi se provo indignazione e rabbia, ma ho più rispetto per i morti che per certi vivi.
(m.s.)
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