Bastasse una ventata di “Beautiful” per imbellettare ciò che resta dell’impresentabilità politica per antonomasia, allora la destra italiana avrebbe di che sperare in un nuovo cammino liberista aggiornato ai tempi: dalle telenovelas brasiliani degli anni ’80 all’inossidabile vita eterna delle soap opera nordamericane il passo è un attimo.
Ma la mutazione genetica del campo liberal-liberista-sovranista, dai centristi di Martino e Toti fino alla fiamma tricolore della Meloni, passando per la spada spuntata del povero Alberto da Giussano, è nei fatti: nessuna forza politica è davvero più ciò che realmente era era prima.
Scurdammuce ‘o passato? Niente affatto, perché qualcosa rimane sempre e informa il nuovo (si fa per dire…) corso di una politica italiana che, a partire dal patto Lega – Cinquestelle del primo governo Conte, è, radicalmente cambiata fin dalle fondamenta moderne che si era data affidandosi ai tecnici e ai sovvertitori della Costituzione chiamati “rottamatori” per fare bella figura e ingenerare nuove disillusioni in un popolo della cosiddetta “sinistra” che sinistra vera non è più ormai da lustri e lustri.
Destra, centro, sinistra e coagulamenti elettoralistici vari, nel quasi dopo-pandemia e nel pieno di una guerra che non accenna ad attenuarsi, hanno troppe discontinuità da conteggiare rispetto a pochi anni fa: a cominciare dai rapporti di forza tra i partiti stessi.
Forza Italia in leggera ripresa, la Lega sondaggisticamente ridimensionata a tutto vantaggio di Fratelli d’Italia e, poi, il problema dei problemi: a quale parte della società potersi ancora rivolgere con un programma che esalti quel trasversalismo di interessi che ha infiocchettato tantissimi drammi sociali con promesse di sviluppo collettivo che avrebbero contenuto il pauperismo dilagante.
Il frutto amaro dei decenni di liberismo, unitamente alle controriforme sul lavoro, le pensioni, la scuola e la sanità che sono state presentate come punto di incontro tra la felice eredità pubblica del passato e l’innovazione modernissima del privatismo a buon mercato.
Non è andata proprio così. Anzi, siccome adesso iniziano a farsi molto male e persino a morire anche i giovani della famigerata “alternanza scuola-lavoro“, si può proprio dire che è andata malissimo e che, d’altronde, meglio non sarebbe potuta andare, visto che se prometti tutte le tutele del caso per i privilegi imprenditoriali, per i profitti e per le speculazioni che ne derivano, non puoi al contempo propalare il dogma del miglioramento universale delle condizioni di sopravvivenza dei milioni e milioni di italiani scivolati nel baratro dell’indigenza più profonda.
Le elezioni amministrative sono alle porte e quelle politiche non distano molto nell’orizzonte velocissimamente raggiungibile della politica quotidiana. Pertanto è assolutamente comprensibile che Berlusconi le provi tutte e così i suoi nemici-amici del centrodestra sovranistissimo.
L’arguzia esplosiva e il suo vulcanico cervello mettono però il Cavaliere nero di Arcore un gradino più alto di Salvini e Meloni. In fondo, il trasformismo italico di nuovo modello l’ha sdoganato lui: dal craxismo e dal popolarismo in declino in quella novità eclatante ed ipnotica che fu proprio Forza Italia, col suo logo che te lo trovavi ovunque, ancora più di quelli che si ripetono dalle pubblicità in tv agli scaffali dei supermercati.
E, del resto, l’imprenditore-politico questo ha fatto: s’è comprato tutto e tutti, dalle aziende costruttrici alle squadre di calcio, dalle televisioni ai supermercati, dalle banche alle assicurazioni, dalle case editrici a quelle cinematografiche.
Un paese nel Paese, ma non di pasoliniana memoria: una costituente antisociale e impolitica che è rimasta insuperata nel corso del tempo e anche dopo la fine della spinta propulsiva del berlusconismo, esauritasi con il sommarsi delle illusioni sopra le disillusioni e un disincanto che aveva spazzato via l’innamoramento classico di tanti italiani per la novità del momento, per il nuovo uomo solo al comando.
Oggi, il tentativo del Cavaliere è quello di ritagliare un ruolo a Forza Italia per farne la speranza federatrice di una destra che rischia di lasciare al centrosinistra, soprattutto democratico, la rappresentanza di quel mondo delle imprese che nel salvinismo non ha mai visto veramente un interlocutore credibile, troppo incline a rincorrere gli umori di pancia popolari con slogan e idee incompatibili col formalismo istituzionale, e che nel melonismo potrebbe anche scorgere delle novità interessanti a condizione che divenga veramente partito di governo e non comprimario della Lega.
L’intuizione di Berlusconi è tale fino ad un certo punto, perché la disperazione per l’emorragia di consensi si fa sempre più strutturale e disincrostabile dall’immagine ormai consolidata di una Forza Italia in formato ridottissimo, sintesi della grandeur che univa politica e affari, relazioni interne ed internazionali, piena rappresentanza dei popolari europei, partito politico persino strutturato localmente, quasi “di massa” come nelle vecchie descrizioni giornalistico-analitiche dei tempi della cosiddetta “prima Repubblica“.
Manca il banco di prova per questa probabile nuova stagione della politica italiana: la pandemia ha messo uno stop lungo due anni e la guerra rischia di metterne un altro ben più lungo. La differenza è una soltanto, ma importantissima: la pandemia era in mezzo a noi; la guerra, per quanto vicina possa essere, per quanto possa condizionare la vita dell’intero Paese, non è direttamente in casa nostra.
Per questo, soprattutto se il conflitto dovesse protrarsi per mesi e mesi, addirittura per anni, rischierebbe di diventare una abitudine, almeno sul piano comunicativo e, così, diverrebbe legittimo oltrepassarlo con tutte le altre notizie. Per prime quelle della politica nazionale.
Il Cavaliere lo sa e per questo tenta di riprendersi la scena, di proclamarsi “ritornato in campo” e di fare comizi in stile 1994 con al centro il corpo del leader, il suo sorriso smagliante, la retorica nazionalista che ondeggia pericolosamente tra il filo-putinismo istintivo che fuoriesce dal discorso fatto a braccio e le correzioni di rotta che sono dettate dai discorsi invece scritti.
D’altro canto, gli avversari sono sempre più simili. La concorrenza politica in merito all’intestazione dei diritti d’autore sulle controriforme liberiste, che saranno proposte con tutte le norme attuative del PNRR, è serrata: chi sarà il preferito di Confindustria? E delle altre confederazioni padronali grandi, medie e pure piccole?
Il draghismo non sembra un metodo politico replicabile dopo Draghi, nonostante lo “stato di emergenza” e tutto il carrozzone di drammi economici che ci trascineremo appresso per molto, molto tempo.
La maggioranza di unità nazionale avrà la sua fine ben presto, ed allora, in quel momento, gli attori di questa tragedia dovranno ritentare la via farsesca del blandimento popolare, della nuova destra adattata ai tempi della Covid-19 e della guerra in Ucraina. Ci sarà un accordo di massima sulla collaborazione anche dall’opposizione per sostenere quelle misure economiche che mantengano in salute il regime dei profitti e del privato, inneggiando al contempo alla responsabilità di tutti. Per primi quelli che, ovviamente, hanno meno e devono sempre dare di più.
Sarebbe un farsa… ed invece sarà la nuova soap opera del momento: che si chiami “Beautiful Forza Italia” o “Beautiful PD” poco cambia. La trama del copione è la stessa per tutti, cambia solo il metodo di recitazione.
MARCO SFERINI
22 maggio 2022
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