Il catch, scriveva Roland Barthes in uno dei suoi saggi più celebri pubblicato nel 1957, è “il gesto che separa il Bene dal Male”. Produce perciò “un’euforia degli uomini, sollevati per un momento al sopra dell’ambiguità costitutiva delle situazioni quotidiane”. Che questa forma di lotta fosse vera o truccata, per il semiologo francese non aveva alcuna importanza: “La vittoria del lottatore – notava – è secondaria rispetto ai gesti che il pubblico si aspetta da lui”.
Per esempio la maniera in cui Hulk Hogan, leggendario wrestler americano già biondo e baffuto come un vikingo, tendeva l’orecchio alla platea per sentire l’incoraggiamento – i suoi combattimenti si decidevano miracolosamente alla fine, quando sembrava sconfitto. E intanto puntava il dito contro il suo avversario per segnarne il destino o, infine, si stracciava la canottiera mostrando il petto nudo come in un cartoon di supereroi.
Quest’ultimo gesto, ripetuto l’altro giorno alla convention repubblicana di Milwaukee, fino a mostrare la canottiera rossa coi nomi di Trump e Vance gridando nel frattempo «chi ha sparato al mio presidente?» era rivolto soprattutto a una platea di mezza età che tornava un po’ bambina ricordando i bei tempi di Hulk in tv. A 70 anni e più di un problema di salute, il lottatore “campione del mondo” è quel che si dice una vecchia gloria. Di più, un’icona pop. Ha detto in un breve discorso di avere incontrato tanti «badass» nella sua vita ma mai nessuno tosto e patriottico come Trump. Ha ricordato pure un episodio lontano della sua storyline – la sceneggiatura degli incontri nel wrestling – la momentanea alleanza con Randy Savage detto “Macho Man”, suo avversario sul ring e pure in amore, paragonandola all’attuale ticket repubblicano.
Un delirio, ovviamente. Rientra del tutto nella tradizione americana che uomini di sport e spettacolo diano il loro endorsement al candidato presidente. È accaduto pure – ne sappiamo qualcosa – che un candidato politico abbia sfidato l’avversario contando le Coppe dei Campioni vinte con la sua squadra di calcio (Silvio Berlusconi ha inventato Trump, per molti versi). Ma usare una lotta-spettacolo come il wrestling, in cui la finzione è componente essenziale, come metafora di una competizione elettorale ha un sottofondo vagamente inquietante, distopico: Rollerball per chi ricorda il vecchio film di Norman Jewison, Squid Game come la serie coreana.
Con la differenza che qualsiasi spazio metaforico è azzerato, concorrenti del gioco lo saremo tutti. «State pronti, perché i trumpiani si scateneranno nei prossimi quattro anni», ha gridato Hulk. Il catch/wrestling – Barthes notava già allora il carattere para-politico della sua variante americana – si rivela oggi come una vera costellazione ideologica della destra: l’inutilità di ogni regola democratica di fronte all’imposizione della forza, al potere del denaro, alla scelta di dio, alla varia combinazione in sequenza di questi tre elementi.
Nella stessa giornata di Hulk, Donald Trump aveva personalmente chiesto che il suo discorso di accettazione fosse introdotto da Dana White. Cinquantenne di successo, presidente della Ultimate Fighting League, l’ultima setta dei gladiatori televisivi di lotta “libera” Mma trasmessi in mezzo mondo, White ha beneficiato dell’aiuto dell’ex presidente all’inizio della sua carriera. Seguendo i suoi rapporti si darebbe una mappa parziale dei percorsi dell’egemonia della destra americana e internazionale.
A White e all’Ufl sono legati sia il principe dei podcaster alt-right Joe Rogan, sia un finanziatore eccentrico di Trump e Vance come Peter Thiel (fondatore di Pay Pal, investitore di Spotify e Arbnb), e così via. Discende da qui un’offensiva meno nostalgica di quella di Hulk sulla prevalenza dei tough guys. Come ha detto White nel suo discorsetto: «I’m into tough guys business, faccio affari con la gente tosta e quest’uomo è il più tosto che abbia mai incontrato», rivolto a Trump.
Tough Guys sono maschi bianchi di mezza età. Non è una caricatura, è una certezza. Con il giusto mix di nostalgia e fanfaronaggine che ci porta da Hulk e Dana White alle imprese, nel nostro piccolissimo, di uno dei personaggi dell’estate. Quel Simone Cicalone, ex pugile cinquantenne romano, e la sua piccola posse di lottatori e palestrati, maschi, grossi, kickboxer con la barba ben rifilata. Esperto di moralità di strada, amico di vecchi malavitosi di quartiere, nemicissimo delle nuove bande di zingarelle e sudamericani senza quartiere, Cicalone è partito dalle centinaia di migliaia di visualizzazioni dei suoi filmati su youtube e ha fatto il botto postando il mese scorso alcune spedizioni sulla metropolitana di Roma all’ora di punta.
Tutto già visto a Striscia e Le iene, ma di più. Un tipo tosto: col telefonino sempre acceso puntato su di sé, nel filmato più celebre usa la mossa di ju ju jitsu brasiliano del mata-leao per assicurare alla giustizia un sudamericano preso – a quanto pare – in castagna.
Cicalone è di destra o di sinistra? Si è sentita anche questa domanda nel dibattito che è seguito e ha coinvolto non solo i social, ma anche la nostra galassia alt-right coi talk su Rete4 e La Zanzara di Cruciani. Domanda mal posta. La sostituzione della politica con le arti di combattimento non depone mai in favore della politica, ricorda piuttosto l’euforia di cui parlava Barthes, la rivelazione di “un’immagine ancestrale, la perfetta intellegibilità del reale”, in cui i segni corrispondono finalmente alle cause.
Fateci caso: quello che davvero disturba nei filmati che inseguono il ladruncolo e la ladruncola di metropolitana è il tentativo di questi ultimi di mimetizzarsi, vestirsi da turista, da passante, da chicchessia. Questione di profilazione, si direbbe. «Noi possiamo intervenire prima che accada», spiega un tecnico negli spot televisivi dell’allarme Verisure, in onda ogni giorno a ogni ora. Due uomini bianchi di mezza età discutono in situazioni varie dalla possibilità di essere bersaglio di un furto nel loro appartamento durante la vacanze: «Sai che ti dico, devo metterlo anch’io». La recitazione è pessima, ma il misto di rassegnazione e rabbia di uno sguardo è capace di lavorarti dentro, Cicaloni silenziosi.
ALBERTO PICCININI
foto: screenshot ed elaborazione propria