Il discorso del Tempio di Adriano magari non passerà alla Storia con la esse maiuscola, ma di certo farà parte della narrazione di quella che proverà a ricostruire la nascita, la vita e la flessione ormai irreversibile del Movimento 5 Stelle. Giuseppe Conte, con la sua flemma personale e anche politica, era riuscito a costruire di sé una immagine positiva e propositiva tanto per i moderati quanto per quelli che vengono – forse impropriamente – definiti “gli estremisti” del movimento fondato da Grillo e Casaleggio.
Conte aveva fatto anche di più, aiutato molto dal suo ruolo istituzionale, regalando ad un soggetto politico che si era rimangiato in breve tempo praticamente ogni pietra miliare della sua via “rivoluzionaria” una nuova possibilità, forse anche una vera e propria vita nuova. L’intransigenza purista del primo grillismo, quello sincretico con le visioni futuristico-utipiste di paesi governati mediante la democrazia digitale, oltrepassando il sistema parlamentare, aveva già segnato il passo ben prima del “contratto di governo” con la Lega.
Senza uno spostamento a destra del M5S, senza fare ricorso alla duttilità della sua evanescente improposta di pseudo anti-politica, non avremmo assistito nel giro di due anni ad una vera e propria riedizione moderna del trasformismo declinato nel peggiore degli utilitarismi equilibristici: ufficialmente per il bene del Paese, ufficiosamente anche per rimanare a galla in un turbine vorticoso di giravolte politiche che, almeno negli ultimi cinque anni, hanno visto passare e lasciare molto poco il segno quelli che venivano definiti dei nuovi “giganti” dell’interpretazione della volontà popolare. Renzi fra tutti: da nemico acerrimo ad ideatore del compromesso tra Italia Viva, pentastellati, PD e sinistre moderate per fondare il Conte bis.
Giuseppe Conte era – forse ancora è – l’uomo giusto nel momento giusto per una fase tutta sbagliata del Movimento, dove le rivendicazioni di pancia del sovranismo virulento, xenofobo e intollerante sono andate crescendo proprio per i magheggi di palazzo seguiti ad altri magheggi: dalla maggioranza giallo-verde a quella cosidetta “giallo-rossa“, il ruolo dei Cinquestelle è divenuto sempre meno rilevante nel decisionismo governativo e, pur messi sulla bilancia tutti i ministri che il M5S ha avuto, con annessi e connessi sottosegretari, nomine nella RAI e in altri enti di secondo e magari anche terzo grado, alla fine, oggi più che mai, pare evidente che senza Giuseppe Conte non avrebbero mantenuto nei sondaggi quel 14% che ancora hanno.
Conte garantisce meglio del Garante ufficiale, quello che si è proclamato “Elevato“: sa che ha le carte giuste da giocare e sa che ha più di mezzo Movimento che lo seguirebbe in caso di scissione o di fondazione di un suo partito. Personale quanto si vuole, ma – per come conosciamo l’ex Presidente del Consiglio – certamente improntato ad essere un partito non privo di dialettica interna come il M5S.
La riforma staturia proposta è interessante, perché – se la si legge anche un po’ tra le righe – fa evincere che il nuovo corso dei pentastellati vedrebbe anche il ricorso al voto telematico per decidere ma, prima di tutto, un coinvolgimento interno ed esterno al Movimento, un connotato prettamente civico che apra le porte delle discussioni a tutti i cittadini che ne siano interessati e vogliano dunque partecipare alla costruzione di programmi mediante proposte e condivisioni.
Tutto ciò che rende meno ingessato, nella sua castità ideologica, un soggetto politico nato sulla scorta della presunzione e dell’esclusivismo, del populismo e del disprezzo della democrazia repubblicana (l’immagine del Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno rimarrà per sempre nell’immaginario collettivo come cifra valoriale della distanza tra le idee di Grillo e Casaleggio e i princìpi costituzionali), tutto ciò che va in questa direzione deve essere accolto con favore.
Se la partita di ping pong tra Grillo e Conte la vincerà il primo, il M5S sarà con la testa in un recente passato che il comico non vuole abbandonare soltanto perché lì trova ancora spazio un mondo di fantasia in cui esiste il non-luogo della sua legittimità sostanziale – oltre che formale – ad essere il primus inter pares. Ma se la partita la vincerà Conte, da buon scaltro mediatore, pacatamente risoluto nell’opporsi all’ira funesta del comico-pseudo-politico, allora il M5S avrà come unica possibilità per rientrare in gioco nella politica italiana quella di rinnovarsi, collocandosi nel cosiddetto “nuovo centrosinistra” e divenendo, se non proprio una neo-Democrazia Cristiana, quanto meno un partito dai tratti risoluti e dai modi accondiscendenti. Sempre meno di lotta e sempre più dalla vocazione governista.
Una vocazione che mantiene tutt’oggi, stando nella maggioranza di “unità nazionale“, privo di una guida vera e, pertanto, per sua intrinseca natura, senza l’effetto apotropaico delle origini nei confronti dei partiti, della “casta” e di tutti malefici figuranti nelle corde istituzionali e nelle loro rappresentazioni plastiche, in preda ad una sostanziale crisi di nervi. Deve essere frustrante stare al governo con ancora la maggioranza relativa dei parlamentari e dover lasciar decidere alla compagine trasversale che unisce PD, Lega, Italia Viva e Forza Italia.
L’irrilevanza governativa attuale del M5S è destinata a continuare il suo effetto logorante sulla comunità degli iscritti e, soprattutto, su quella degli elettori che, nel caso prevalesse il consumato ritratto del grillismo esasperato ed esasperante, si allontanerebbe tanto facilmente quanto altrettanto si è avvicinata con le punte delle matite in cabina elettorale per tracciare tante ics sul simbolo con la “V” di vendetta.
Sono rassicurabili tutti coloro che temono uno spostamento a sinistra del nuovo centrosinistra, qualora Conte superasse l’impasse grillina e si imponesse come nuovo leader dei Movimento: nella conferenza stampa al Tempio di Adriano, ma già molto tempo prima, fin dall’accordo con Matteo Salvini, Conte aveva chiarito di essere un moderato, un liberale capace di essere altamente resiliente tanto alle oscillazioni della politica italiana quanto a quelle dei mercati e delle banche europee. Pronto a sostenere magari il reddito di cittadinanza, a fronteggiare Confindustria in epoca di pandemia e, allo stesso tempo, a redigere un piano del Recovery Fund non troppo dissimile da quello riscritto parzialmente (per l’appunto) da Mario Draghi.
Quella che Conte lancia ai Cinquestelle è una scialuppa di salvataggio con una chiara linea politica: dal centrosinistra non si deroga. Il futuro del suo M5S è dentro quella cornice: liberista, fintamente sociale, alternativa alle destre sul piano dei diritti civili e della consonanza maggiore con determinati fondamentali della Costituzione, ma prontissima a sostenere tutte le misure che saranno da prendere per adeguare l’Italia al piano europeo di ristrutturazione capitalistica del Vecchio continente.
La difesa del lavoro e dei diritti sociali non è materia per i Cinquestelle. Non lo è mai stata e non lo sarà nemmeno nella probabile alleanza consolidata con un altro apparente amico dei più deboli: l’anomalia tutta italiana targata “PD“. Il piano europeo di riconfigurazione del modello liberista non è ancora stato scritto, ma se ne intravedono le prime titolazioni e pagine con la suddivisione dei prestiti (la maggior parte non a fondo perso) fatti dalla BCE ai singoli Stati dell’Unione.
Certo, la rivoluzione grillina è completamente fallita e il suo bilancio, dopo poco più di dieci anni, è disastroso; la nuova stagione contiana del M5S si presenta con i tratti dell’adeguamento più istituzionale possibile, capace di convincere milioni di lavoratori e povera gente a dargli la fiducia nel nome di un rinnovamento mai visto e che nemmeno mai si vedra. Dunque, se il passato era un fuggevole inganno, il futuro non pare esserlo di meno.
Intanto, mentre c’è ancora chi accusa i comunisti di far vincere le destre, grazie al nuovo centrosinistra si aprono nuove prateria a destra… Ognuno sarà anche valso uno, ma i cocci sono di tutti.
MARCO SFERINI
29 giugno 2021
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