Per il governo Meloni che si appresta ad entrare nel tunnel della manovra economica settembre è iniziato con le peggiori impressioni. Non solo le risorse a disposizione sono esigue, e la «crescita» che la maggioranza festeggiata solo pochi mesi fa ora sta tirando il freno (-0,4% del Pil nel secondo trimestre secondo l’Istat).
Ieri, dalla fatata villa d’Este di Cernobbio, ospite del Forum Ambrosetti, il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni ha risposto negativamente a un auspicio del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti formulato qualche giorno fa in un altro appuntamento della triste estate politica italiana: il meeting di Rimini. «Spero che la clausola del Patto Stabilità non parta a gennaio» ha detto il ministro il 21 agosto scorso.
Per Gentiloni il «patto di Stabilità e crescita», sospeso per la pandemia dal 2020, dovrebbe comunque rientrare in vigore, ma modificato, dal prossimo gennaio 2024. Un accordo tra i governi sarà trovato entro quest’anno. Anche perché l’alternativa sarebbe peggiore per l’Italia.
Senza un accordo sulla bozza prospettata dalla Commissione Ue, contro la quale è schierata la Germania, tornerebbe in vigore il testo precedente «che ha dimostrato già tutti i suoi limiti: non è riuscito né a promuovere la crescita né a ridurre il debito, riproporlo non sarebbe certamente ideale» ha osservato Gentiloni.
Secondo le vecchie regole di spesa dell’Ue, i disavanzi pubblici degli Stati membri non devono superare il 3% del Pil e il debito dovrebbe rimanere al di sotto del 60% del Pil. In base a queste regole, gli Stati devono rimborsare il 5% annuo del debito che eccede il limite del 60%.
Secondo alcune simulazioni la nuova proposta della commissione l’aggiustamento dei conti comporterebbe una riduzione del deficit strutturale dello 0,85% annuo nel caso di un piano a 4 anni e dello 0,45% medio se un piano a 7 anni. Prospettiva che non piace alla Germania che chiede invece un automatismo e di non dare spazio alle trattative discrezionali tra la Commissione e i governi. Come, in sostanza, è già avvenuto negli anni precedenti al Covid.
Nello specifico la richiesta avanzata da Giorgetti riguarda la necessità, da parte italiana, di trattare «le spese gli investimenti siano trattate in modo privilegiato e meglio rispetto alle spese correnti. Noi non possiamo, in un momento in cui purtroppo siamo ancora una situazione eccezionale tornare a delle regole che ignorano la necessità di aiutare famiglie e imprese. Il governo responsabile anche in termini finanziari chiede all’Europa il senso della storia, altrimenti diventa tutti più complicato». Un «senso della storia» che non sembra essere al momento considerato nelle trattative.
Gentiloni ha abbassato i toni «destinali» e ha ricondotto il discorso al consueto stile pragmatico che parla il sapido linguaggio della competizione. L’Europa si trova «in un contesto di persistente inflazione, un contesto di rallentamento ma non di recessione». E ha ribadito che l’obiettivo è «essere competitivi usando le risorse del Next Generation Ue [il Pnrr, ndr.] ancora da impegnare».
Un tasto dolente per il governo. Oggi Giorgetti interverrà al forum sul lago di Como, insieme a mezzo governo e ad alcuni esponenti delle opposizioni (Calenda, Conte e Schlein). Dal lago di Como l’inizio di settembre ha lasciato un’altra impressione: la pandemia è arrivata, poi è finita. Ora si sta tornando alla normalità. Ma era la normalità il problema.
ROBERTO CICCARELLI
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