Fin dall’inizio, la guerra ha dato il via a una esclation, una battaglia culturale divenuta in questi ultimi giorni particolarmente violenta in Russia. I pochi media indipendenti rimasti sono stati oscurati; i social media chiusi uno dopo l’altro; una legislazione speciale sull’informazione rapidissimamente ratificata dal parlamento russo prevede pene da 3 a 15 anni per chi diffonde ogni tipo di informazione non censurata dalle autorità.
Attivisti e giornalisti hanno imparato a servirsi dei vpn per informarsi e comunicare senza compromettersi. Ma accanto alla repressione ufficiale, in maniera parallela e solidale con essa, si è scatenata una guerriglia più oscura e ancora più terrificante volta a eliminare ogni voce dissonante. Più in generale, ad eliminare tutta una parte della cultura russa post-sovietica.
Da diverso tempo Telegram, l’unico social che le autorità non censurano, ribolle di canali con migliaia di abbonati che invocano purghe come in Russia non si vedeva dalla fine degli anni ’30. I bersagli sono i liberali, le femministe e gli intellettuali considerati filo-occidentali. La guerra e le nuove leggi hanno spinto questa armata reazionaria a passare all’azione, con armi nuove.
Il cyber-terrorista Vladislav Podznyakov, fondatore dello «Stato Maschio » (organizzazione che anche la giustizia russa ha giudicato «estremista»), specializzato nell’intimidazione delle donne, ha chiesto ai suoi adepti di denunciare alla procura intellettuali, artisti e attivisti usando screenshot dei loro commenti. Poco dopo la ratificazione della nuova legge sull’informazione, i 30mila abbonati del canale Telegram «Collaborants» hanno cominciato a diffondere liste di nomi e prove che da venerdì possono portare a un’incriminazione.
Ma la battaglia non è solo virtuale. Il mondo intero si è interrogato sulla tag «Z». Il simbolo è apparso per la prima volta su alcuni tank diretti verso il fronte ucraino. Da subito è stato adottato come marchio degli ultra nazionalisti che supportano l’invasione. Molti lo espongono sulle proprie macchine. Alcuni funzionari del governo lo usano nella loro comunicazione ufficiale. Il governatore della regione del Kuzbass, per esempio, ha proposto di scrivere da ora in poi KuZbass, il capo dell’ente aerospaziale si firma Dmitry RogoZin.
Accanto a questo uso propagandistico, se n’è aggiunto un altro, ben più sinistro e che ricorda l’inizio della persecuzione contro gli ebrei in Germania. Una settimana dopo l’inizio dell’invasione, Ksenia Bezdenezhnykhha, un’attivista contro la guerra del Social Alternative Mouvement, ha trovato la lettera «Z» dipinta sulla porta del proprio domicilio moscovita. Qualche giorno prima, era stata interrogata dalla polizia, che però non aveva trovato un motivo formale di arresto.
Non è l’unica porta taggata. Il critico cinematografico Anton Dolin, redattore capo di una delle più importanti riviste di cinema, Iskusstvo Kino, ha trovato a sua volta una zeta sulla porta di casa. Lo ha reso pubblico lui stesso dopo essersi esiliato all’estero. La sua repentina partenza è stata annunciata su Telegram da anonimi i quali, come ha precisato poi lo stesso Anton Dolin, possedevano dettagli precisi su tutti i suoi movimenti.
Anche Marina Davydova, caporedattrice della rivista Theatre Magazine ha lasciato il paese due giorni fa dopo aver trovato il segno «Z» sulla porta di casa. La sua partenza, in una macchina con targa diplomatica, è stata filmata da tre angoli diversi e le registrazioni sono immediatamente apparse sui soliti canali Telegram che festeggiano la fuga di una «traditrice» «con l’aiuto di diplomatici stranieri». È molto probabile che la sua casa fosse sotto sorveglianza da tempo.
Marina Davydova non è un attivista o un personaggio politico. È un critico che ha speso gli ultimi 30 anni della propria vita a creare dei legami tra il teatro russo e il teatro europeo. Le immagini del suo esilio, commentate praticamente in diretta dai militanti di estrema destra, sono un segno di questa guerra che la Russia combatte contro l’Ucraina ma anche contro una parte di se stessa. Dopo due ore di interrogatorio alla frontiera, Marina Davydova è riuscita a passare.
Come lei, molti altri hanno lasciato ogni cosa per fuggire, o pensano di farlo. Per tutti, «Z» vuol dire la fine della vita in Russia
KAMILA RENZI
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