Oggi il Partito democratico tiene all’Hotel Ergife di Roma la sua assemblea nazionale dopo i fatti referendari del 4 dicembre scorso e dopo il terremoto politico che ha scosso il governo Renzi e ha dato vita al suo clone nel governo Gentiloni.
Ciò cui assisteremo sarà l’apertura della partita congressuale con un ex presidente del consiglio, ed attuale segretario del partito, determinato ad impostare i prossimi mesi di vita del PD in una corsa alle primarie che lo riconsacrino deus ex machina di tutto il carrozzone, ideologicamente ibrido e indefinibile, che è ancora rappresentato dall’anomalia della fusione di due culture che è difficile dire quanto siano “ex” e quanto siano, per l’appunto, superate.
Cesare Damiano, in una intervista a Sky Tg 24, ha affermato che per un un uomo di sinistra come lui, che ha abbandonato – testuali sue parole – la lotta contro il capitalismo ma che cerca di ridimensionarne le pretese, l’aggressività liberista, l’orizzonte più prossimo del PD si prospetta tutto nell’andare a breve al voto, quindi nell’esaurimento dell’esperienza di governo di Gentiloni in pochi mesi.
Qui vi è una interpretazione molto di parte, quasi bersaniana del contesto in cui si muove il Partito democratico, proprio mentre Roberto Speranza si candida a guidare il PD: “Qualcuno dirà che sono Davide contro Golia (Renzi, ndr.). Ebbene, io accetto la sfida.“.
Coraggioso, determinato e forse anche un po’ donchisciottesco: sembrerebbe animato da buone intenzioni ma difficilmente riuscirà a smuovere l’assetto di potere che regge il più grande (ma lo è davvero ancora?) partito italiano.
Per questo, è lampante l’affermazione di Damiano: anche chi si ritiene di sinistra nel PD, ha, da ormai tanto tanto tempo, rinunciato ad opporsi al sistema capitalistico e lo ha accettato come espressione fattuale, concreta, reale e incontrovertibile della vita quotidiana di noi tutte e tutti.
Non può esservi sovvertimento del capitalismo, nessuna prospettiva di rivolgimento, nessuna rivoluzione.
Il PD, quindi, non è un partito che si pone come prospettiva il rovesciamento dello “stato di cose presente”.
Per la verità, a noi comunisti, fondatori di Rifondazione Comunista, era già chiaro dalla svolta della Bolognina che persino il Partito Democratico della Sinistra di occhettiana memoria non era più che non poteva essere: non era più comunista e, volendo ancora dare un valore a quell’aggettivo, l’essere non più tale significava aver abbandonato una lotta, una prospettiva chiara di volontà di superamento del capitalismo.
Da un assunto di questa portata, a cascata, sono arrivati compromessi sempre più importanti, quindi deleteri per la sinistra italiana.
Chi si è illuso di aver seguito nel PDS, nei DS e poi nel PD ancora un retaggio degli ideali del “vecchio Partito Comunista Italiano”, ha trascinato stanche membra dietro ad una incapacità di elaborazione di un lutto politico piuttosto che dietro ad un rinnovamento di un progetto politico di cambiamento radicale della società.
Da un lato, dunque, la cosiddetta “sinistra del PD” vorrebbe cambiare il PD medesimo e riportarlo su un sentiero di attenzione ai valori socialdemocratici, di temperamento degli effetti eccessivi prodotti dal capitalismo; dall’altro Renzi tenterà – e probabilmente riuscirà nell’impresa – di dare al suo partito una svolta ancora più liberista, facendolo apparire moderno all’inverosimile, come unica alternativa contro lo spauracchio delle destre storiche, becere e neofasciste e contro la presunta rivoluzione sociale grillina ferma al palo dell’ossessione legalitaria, poggiante su concetti come “onestà” e “verginità politica”. Salvo poi inciampare grossolanamente nei fattacci di Roma, i cui contorno sono ancora tutti da verificare e comprendere bene.
Parimenti, mentre il PD affronta questo scenario ambivalente e un po’ impari al suo interno, tra Speranza e Renzi, si scioglie l’esperienza socialista di sinistra che aveva provato nel corso degli anni a diventare la nuova sinistra moderna, socialdemocratica anche lei, forse con qualche conservazione in più di anticorpi egualitari che le hanno permesso di marcare qualche distanza dalle tentazioni permanentemente governiste cui è stata dedita durante gli otto anni in cui ha preso forma, vita e sviluppo.
Sinistra Ecologia Libertà apre la fase congressuale di Sinistra Italiana: nelle intenzioni dovrebbe essere, quest’ultima, un nuovo grande partito dove includere tutta la sinistra in diaspora, fuori dal PD e magari anche qualche pezzo di sinistra del PD stesso.
Per ora ha messo insieme soltanto la vecchia disciolta SEL, Fassina e D’Attorre. Una unione che non comprende nemmeno Possibile di Pippo Civati e alla quale Rifondazione Comunista non intende aderire: i progetti rimangono separati sul lungo termine, mentre si può certamente discutere di un comune affratellamento federativo (o di altra forma) per creare un fronte antiliberista che, escludendo paradigmi ideologici (comunismo, non comunismo, socialismo, non socialismo), metta mano alla stesura di una piattaforma programmatica di base, con chiari intenzioni strategiche: per unirsi in un “quarto polo” della sinistra di alternativa occorre che questo polo sia realmente indipendente e alternativo a tutte le altre forze politiche esistenti.
E questo deve avvenire in tutti i territori: dal livello nazionale ai livelli locali di qualunque ordine e grado. Non è più possibile assistere a diversificazioni da luogo a luogo, a particolarità che si devono esprimere in eccezioni e, quindi, continuare a generare confusione nella popolazione che, giustamente, domanda come mai ci si oppone al PD dal centro e poi magari lo si appoggia in giunte locali.
Il tempo del centrosinistra è terminato: pensare, come fa Roberto Speranza, di ricostruirlo può essere un messaggio raccoglibile da Giuliano Pisapia, da Massimo Zedda, ma non da una forza politica che vuole essere alternativa a quel liberismo di cui il Partito democratico è il principale interprete politico a Palazzo Chigi.
Le condizioni, quindi, per la costruzione del “quarto polo” della sinistra di alternativa sono chiare: autonomia, indipendenza e unità. Autonomia delle singole forze politiche che lo comporranno, che dovranno mantenere le singole specificità e potranno operare sul terreno – ad esempio – sociale; indipendenza da tutte le altre formazioni politiche, qualunque esse siano; unità fondata sui primi due princìpi espressi.
Non può realizzarsi nessun asse strategico senza una definizione chiara, cristallina, precisa all’inverosimile, dei parametri entro cui una alleanza di sinistra dovrà muoversi. E dovrà farlo con la pazienza di essere consapevole di muoversi in quel tripolarismo della politica italiana che proverà ancora a schiacciarla con proposte demagogiche, populiste, fasciste, xenofobe e, persino, da parte del PD a ripresentarsi come vera sinistra innovatrice contro la “vecchia” sinistra “ideologica”.
Il cielo volesse di poterci unire sotto una unica ideologia, sotto una unica bandiera ben stesa, senza pieghe…
Ma le differenze, in questo senso, rimangono e non è detto che sia un male.
MARCO SFERINI
18 dicembre 2016
foto tratta da Pixabay