Tra le tante insufficienze contenute nella riforma della giustizia, soprattutto penale, portata avanti dalla ministra Cartabia, ve ne è una particolarmente indisponente: i reati contro l’ambiente e contro gli animali non sono inseriti tra quelli più gravi.
Eppure abbiamo visto in questi giorni quanti incendi dolosi sono scoppiati in Sardegna e in Sicilia: decine di migliaia di ettari di macchia mediterranea che vanno letteralmente in fumo; migliaia di animali rimasti uccisi, boschi devastati, colline annerite e rese brulle da mani criminali. Mani che meritano di essere equiparate a quelle di chi ammazza un proprio simile e lo fa con l’aggravante dell’associazione di stampo mafioso.
Distruggere un bosco, provocare così la morte di un intero ecosistema che nutre non solo i polmoni ma anche l’economia di un territorio, è un atto che deve poter essere equiparato a un crimine spietato che non può sfuggire ad una classificazione più stigmatizzante rispetto ad altre tipologie di crimine, di reità.
Non si può affrontare la riforma della giustizia solamente con il piglio e il punto di vista tecnico-burocratico: occorre pensarla calandola profondamente nel contesto quotidiano della vita di ognuno di noi e del Paese intero. I dibattiti importanti sulle tempistiche processuali, sul modo con cui sfuggire alla legge passando per l’allungamento o il restringimento della prescrizione, sono degni di nota, di approfondimento.
Ma accanto a ciò va messo l’aspetto della concretezza del merito: la macchina giudiziaria è solo un grande ingranaggio asettico e disumanizzante se una riforma non ha altro scopo se non quello di rimettere mano all’interdipendenza delle magistrature e dei loro rispettivi ruoli nella innegabile complessità attuale del sistema giuridico italiano.
L’impressione, fin dall’inizio della presentazione della riforma Cartabia, è che, ad esempio, il ruolo della pubblica accusa finisca con l’essere ridimensionato, squilibrando il processo e non permettendo la piena funzione di indirizzo prima e di concretizzazione poi dei reati ascritti ad un imputato. Il pasticcio emerge inesorabilmente quando in una maggioranza di governo siedono, gli uni accanto agli altri, i più fervidi sostenitori del giustizialismo con quelli altrettanto tali dell’impunità ottenibili con tanti azzeccagarbugli.
E’ già sorprendente che la riforma prosegua, anche se alla sorpresa si accompagna, inevitabilmente, anche l’amarezza per una compromissione di valori e di princìpi che dovrebbero essere tutelati da un governo e non stravolti per innescare un virtuosismo riformatore necessario al prestito europeo del Recovery Fund. Si rischia di legare a doppio nodo un intervento poderoso sulla giustizia ad un intervento altrettanto poderoso in campo economico-sociale, facendo dipendere le sorti del diritto da quelle del capitalismo italiano, della dinamicità del mondo delle imprese (e dei profitti).
I reati ambientali, che avrebbero dovuto essere da tempo inclusi in una speciale considerazione, non possono essere ignorati: le tanto belle parole dei ministri sull’importanza della cultura e del patrimonio artistico della nazione si fermano forse alla contemplazione del mero fenomeno artistico prodotto dall’uomo? E il resto? Tutto quello che non dipende oggettivamente da noi umani ma che finisce col responsabilizzarci per via delle ritorsioni nefaste che i nostri comportamenti hanno sull’ecosistema italiano (europeo e mondiale)?
La tutela del patrimonio nazionale, ambientale ed artistico, sociale e culturale, è una unità necessaria al benessere comune e riassume in sé le ragioni di una politica che deve guardare al pubblico, alla valorizzazione di quella necessaria uguaglianza di trattamento che si deve riservare ad ogni territorio, ad ogni comune, ad ogni momento ed ambito della vita quotidiana. Dal godimento dei diritti sociali a quello dei diritti civili; dall’amministrazione della giustizia civile a quella penale. In ogni grado di giudizio, nei confronti di ogni cittadino.
Un approccio mentale e politico-istituzionale di questo tipo eviterebbe di dover distinguere reato da reato e costringere a fare la penosa classifica di ciò che è più importante tutelare da ciò che invece va lasciato indietro. Perché nulla dovrebbe essere preso meno in considerazione di qualcos’altro. E tanto meno nessuno rispetto a nessun altro.
I reati contro l’ambiente e il patrimonio ecologico ed artistico della nazione sono un migliaio all’anno. Il triplo le persone coinvolte. Si tratta per lo più di azioni che hanno causato nocumento a territori dove era concretizzabile un miglioramento dello stile di vita delle popolazioni locali: non si tratta di mera preservazione dell’esistente, ma di tutela finalizzata al potenziamento delle caratteristiche e delle più singolari peculiarità di una terra.
Chi dà fuoco ai boschi in Sardegna e in Sicilia, lo fa per creare le condizioni atte ad incentivare la speculazione privata su vaste aree pubbliche: per edificare, per creare nuovi pascoli, per sfruttare la terra di tutti, togliendole le risorse naturali che ha sempre avuto per generare nuovi profitti, per accumulare nuovi capitali. Una vera riforma della giustizia dovrebbe esaltare il carattere pubblico di ogni intervento giuridico e legislativo, in quanto elemento di espressione dell’uguaglianza costituzionale, sociale, civile e morale. Una vera riforma della giustizia, quindi, deve mettere avanti a tutto i reati contro la persona, gli animali, il patrimonio artistico, culturale e ambientale del Paese.
Su questa scia, è sempre più necessario colmare un “non detto” della nostra Costituzione, un sottinteso che oggi ha bisogno di venire fuori in tutto e per tutto. L’articolo 9 della Carta recita, infatti: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Manca la parola “ambiente” che è, oggettivamente, in questa nostra attualità sociale e politica più onnicomprensiva dei problemi riguardanti l’ecosistema rispetto alla semplice “tutela del paesaggio“.
Fa ben sperare una proposta di legge presentata dalla senatrice De Petris di Sinistra Italiana che vuole intervenire in questo senso, anche riguardo all’articolo 41 della Costituzione («L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»), ampliandone il significato di tutela dell’utilità e di protezione dai danni ad ambiente e animali.
Un passo importante che, ci si augura, la riforma della giustizia della ministra Cartabia valorizzi iniziando col mettere i reati contro l’ecosistema sul podio infausto degli atti criminali nei confronti di persone, natura e esseri viventi tutti.
MARCO SFERINI
1° agosto 2021
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