Chiediamo soltanto, come Ilaria, come tutta la sua famiglia, quella che si chiama “giustizia” per Stefano Cucchi. Il che equivale a chiedere la verità, tutta la verità su quello che è accaduto al corpo e all’animo del giovane in quei momenti che lo hanno condotto ad una atroce morte.
La verità è già giustizia e, come sappiamo dalla storia repubblicana di questo Paese, ma anche da precedenti epoche storiche d’Italia, spesso la giustizia e la verità non hanno coinciso.
Dai tempi di Genova, in quel luglio 2001 che sembra ormai così lontano, abbiamo reimparato che la verità e la giustizia sono inscindibili e che davamo troppo per scontato che potessero sempre esserlo perché vivevamo e viviamo – si spera – in uno Stato “di diritto”.
Quindi, per Stefano, per Carlo, per tutti coloro che sono morti in circostanze poco chiare, non ben definite dalle carte dello Stato, chiediamo che non lo Stato ma la Repubblica, intesa come patto tra popolo e istituzioni, si faccia carico di ricercare sempre la verità non “di Stato”, ma dei fatti, storicamente accertata, ascrivibile non al pasoliniano “io so…”, ma ad un sicuro, incancellabile: “Noi siamo certi che ciò è avvenuto”.
(m.s.)
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