Quello cui stiamo assistendo in questi giorni è un brutto inizio di campagna elettorale. Sarà perché molte cose non sembrano andare nella direzione che indicavano i sondaggi. Sarà perché si è riproposto in campo Berlusconi. Sarà perché vi è stata la “ sorpresa “ Monti (il professore sta tenendo inaspettatamente un profilo molto aggressivo e scomposto). Sarà perché alcune forze (Sel dentro il centrosinistra, la lista Ingroia fuori di esso) si giocano di fatto la sopravvivenza. Resta il fatto che sono davvero poche, fino a questo momento, le idee interessanti che sono venute fuori dal confronto. Nei mesi scorsi due nodi su tutti sembravano poter caratterizzare questo passaggio.
L’Europa e la questione del lavoro. Erano i temi sospinti al centro dalla crisi, dalla necessità di correggere la linea di austerità imposta dall’Europa a trazione conservatrice, dalla possibilità che uno spostamento dei rapporti di forza tra conservatori e progressisti in grandi Paesi come Francia Italia e Germania potesse determinare un diverso volto dell’Europa. Insomma al centro della contesa sembrava potesse esserci quel tentativo di regolazione nei confronti di un capitalismo finanziario che appare, al tempo stesso, unico padrone della scena e responsabile però anche della crisi. Da qui l’idea di rinegoziare in sede europea i piani di aggiustamento dei debiti pubblici (nei tempi e nelle modalità, come auspicato dallo stesso Fmi), recuperare in questo modo – e anche con una politica fiscale integrata – risorse da reinvestire per creare occupazione, introdurre nuove regole (e limiti) all’attività finanziaria. Naturalmente questi nodi restano e immagino troveranno lo spazio per ritornare in qualche modo al centro. Queste prime battute, però, danno l’idea di una contesa troppo locale, priva di un respiro europeo, lontana se non indifferente alla questione del lavoro, tutta giocata nelle polemiche tra i diversi schieramenti, e sulle accuse degli uni agli altri, più che sul tentativo di avanzare autonome proposte capaci di suscitare un coinvolgimento convinto del Paese.
In particolare i vincitori annunciati (con troppo, troppo anticipo) sembrano in queste ore vivere una difficoltà. La presenza di Monti sembra aver mandato in tilt il meccanismo allestito da Bersani che aveva ben funzionato fino alle primarie. E lo stesso Vendola non sembra ancora essersi fatto una ragione che ci sarà una parte della sinistra più alternativa che non accoglierà la sua pur giusta mediazione e che si concentrerà sul voto a Grillo e soprattutto alla lista Ingroia. A rendere più complicata la situazione del centrosinistra è arrivata ora la spinosa questione del Monte Paschi di Siena che all’unisono (destra ed estrema sinistra) vorrebbero caricare sulla responsabilità del Partito Democratico.
Naturalmente non è che lì non sia successo nulla. E molto andrà, come vedremo, ancora accertato, forse anche nei suoi risvolti penali. Ed è noto il legame (peraltro diffuso in tutto il sistema finanziario) di Mps con la sua Fondazione. Resta il fatto che additare la presenza della politica nelle Fondazioni bancarie come un fatto solo negativo rischia di tirare la volata a quanti puntano piuttosto che alla regolazione pubblica a vincolare del tutto il sistema bancario italiano ai soli meccanismi di mercato. Colpisce che questo tentativo di crocifiggere il Pd con toni anche scompostamente propagandisti (tipo con i soldi dell’Imu si è sostenuta una banca, dimenticando che quando lo Stato fa un prestito incassa interessi spesso molto alti) venga anche da sinistra (dove anche l’idea di un ridimensionamento sugli aerei F35 piuttosto che come uno spiraglio da allargare per una diversa politica militare oltre che della spesa, viene incalzata come una battuta elettorale strumentale). E’ la conferma, purtroppo, che tutta l’operazione della lista Ingroia contiene in se oltre che quella ricchezza programmatica e politica che può essere utile alla sinistra e al Paese anche aspetti che se dovessero prevalere provocherebbero un danno al Paese e, temo, allo stesso esito elettorale della lista Ingroia.
Che rischia così di essere letta come troppo a ridosso di Grillo e lontana dal sentire comune del popolo della sinistra . Del resto Bersani ha il suo ben da fare con l’aggressività di Monti e con il ritorno di Berlusconi. Berlusconi non può essere sottovalutato. Se la sua stagione sembra volgere al termine resta il peso di un’area politica vasta che esprime una rappresentanza larga di ceti e gruppi sociali che fanno del populismo più spinto ed esasperato e della rivolta fiscale il loro terreno privilegiato. L’intesa, per quanto difficile, siglata nuovamente con la Lega rendono Berlusconi meno debole e ne indicano la volontà di attestarsi al Nord (dopo la sconfitta in Sicilia e la liquidazione di Cosentino in Campania), Nord che, non si dimentichi, resta una delle aree più sviluppate dell’Europa. La campagna di Monti è anch’essa insidiosa. L’obiettivo è chiaro: contendere sia a Berlusconi che a Bersani i consensi di frontiera e accumulare così la forza necessaria per intorbidire la possibile vittoria di Bersani. L’esito di queste manovre a tenaglia, cui consapevolmente o no concorrono di fatto un po’ tutti, sia a destra che a sinistra, rischia di diventare però lo stallo dell’Italia. Il pericolo maggiore non è tanto quello di una riedizione dell’intesa tra il Pd e Monti (questa volta senza Berlusconi), ipotesi, almeno in questa forma del tutto politicista, pure da scongiurare. Il pericolo vero è che Monti punti in realtà al bersaglio grosso, come si intuisce anche dalle parole di Casini sulla legislatura breve. L’obiettivo è una governabilità traballante che porti a nuove elezioni (un po’ sul modello della Grecia) con la possibilità a quel punto di una affermazione neocentrista più netta. Se davvero questo dovesse essere l’esito cui di fatto allude questa campagna elettorale cosi nervosa e scomposta non credo che qualcuno a sinistra potrebbe gioirne ( ancor meno potrebbero festeggiare i lavoratori dipendenti, i pensionati e tutti i ceti sociali più fragili).
Forse, però, c’è ancora tempo per correggere la rotta. Ovviamente soprattutto a sinistra. Gli altri proseguiranno così perché hanno tutto l’interesse a farlo. Avanzi Bersani una proposta programmatica forte come ha lasciato intuire nel corso delle primarie. Niente favole, ma anche però cose da fare incisive, forti (compresa la patrimoniale così come congegnata dalla Cgil) capaci di conferire un’anima alla campagna elettorale e di proiettare il Paese dentro un nuovo scenario dell’Europa. E, pur senza cambiare la linea di collaborazione con le forze democratiche, europeiste e costituzionali, che gli ha fatto conquistare il favore del pronostico, valorizzi di più (come credo abbia tentato con la questione degli F35) ruolo e peso della sinistra nell’alleanza.
A Vendola direi, dal canto suo, di distendersi senza litigiosità e senza complessi a rappresentare la sua linea. C’è voluto coraggio a caricare su di se il peso della sinistra nell’alleanza di governo, era chiaro – tenuto conto anche della tradizione della frammentazione italiana – che non tutti a sinistra avrebbero accettato la sua mediazione. Non è la fine del mondo. Resta una linea giusta o in ogni caso necessaria per non regalare la sinistra più grande ai suoi fantasmi e il Paese allo storico moderatismo che lo caratterizza. Un azzardo, certo, quello di Nichi, ma un azzardo obbligato. Argomenti su questo e avanzi le sue proposte, alcune come sappiamo anche brillanti. E non si faccia condizionare dagli attacchi che arrivano da sinistra. A sinistra semmai occorre parlare, chiedere presenza e impegno unitario. Sollecitare un atteggiamento più serio e propositivo, meno da disperati. E aprire ad una collaborazione futura. Nella speranza – e questo è l’ultimo auspicio – che le forze più consapevoli dentro Rivoluzione Civile trovino gli atteggiamenti e le proposte giuste per conservare, pur nelle differenze e nell’asprezza inevitabile di una campagna elettorale, un legame con chi gli è più vicino e che può avere un peso decisivo per dare qualche risposta alle sofferenze del Paese.
VITO NOCERA
redazionale