Una nuova notte per la Repubblica (e per il Parlamento)

E’ stata la notte della Repubblica, parte II. Vi ricordate la storica trasmissione di Sergio Zavoli? Lì si trattava di una lunga notte fatta di enormi misteri cui la...
La Presidente del Senato della Repubblica, Maria Elisabetta Alberti Casellati

E’ stata la notte della Repubblica, parte II. Vi ricordate la storica trasmissione di Sergio Zavoli? Lì si trattava di una lunga notte fatta di enormi misteri cui la storia sta dando, piano piano, rendiconto particolareggiato in mezzo a tanti silenzi, depistaggi e congiure più o meno di palazzo. Quella trascorsa non ha a che vedere con trame internazionali, colpi di Stato, Nato e Servizi segreti. Quella appena passata è stata la notte dell’inconoscibilità di un atto importante per il Paese: il suo bilancio, la sua spesa, i suoi investimenti che sono decisi dal governo ma di cui il Parlamento non ha potuto avere compiuta contezza.

In realtà questo articolo non avrei dovuto scriverlo. Avrei dovuto essere “in vacanza”; per quanto le vacanze di una redazione che non è redazione, di un giornale online che non è un giornale siano alquanto da Cappellaio Matto… ma tant’è, mi sono detto, come ogni anno la smetto di scrivere quasi ogni giorno e mi

E’ stata la notte della Repubblica, parte II. Vi ricordate la storica trasmissione di Sergio Zavoli? Lì si trattava di una lunga notte fatta di enormi misteri cui la storia sta dando, piano piano, rendiconto particolareggiato in mezzo a tanti silenzi, depistaggi e congiure più o meno di palazzo. Quella trascorsa non ha a che vedere con trame internazionali, colpi di Stato, Nato e Servizi segreti. Quella appena passata è stata la notte dell’inconoscibilità di un atto importante per il Paese: il suo bilancio, la sua spesa, i suoi investimenti che sono decisi dal governo ma di cui il Parlamento non ha potuto avere compiuta contezza.

In realtà questo articolo non avrei dovuto scriverlo. Avrei dovuto essere “in vacanza”; per quanto le vacanze di una redazione che non è redazione, di un giornale online che non è un giornale siano alquanto da Cappellaio Matto… ma tant’è, mi sono detto, come ogni anno la smetto di scrivere quasi ogni giorno e mi rilasso un poco.

Invece, quanto accaduto in queste ultime ore e giorni in Parlamento mi ha pungolato fin dentro la più intima voglia di “relax” e mi ha spinto a scrivere. Che ci volete fare, le passioni sono fatte così: avere la passione per la politica come esercizio quasi “spirituale” (oltre che materiale, si intende) che trascende e allo stesso tempo contempla ogni aspetto significativo della bassezza umana nella gestione della res publica, è una gran fatica.

Di buon mattino ho sfogliato i giornali e ho trovato una interessante intervista a Fausto Bertinotti su “La Stampa” ed altri commenti piuttosto “energici” su quanto è avvenuto nelle circostanze di formulazione e riformulazione delle cifre concernenti la manovra finanziaria del governo giallo-verde.

Soprattutto Bertinotti ha limpidamente analizzato una riduzione del Parlamento in uno strumento alle dipendenze di una Costituzione materiale che ha soppianta la Costituzione vera e propria, quella de jure scritta nel 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. Quella de facto è un sovrapposizione normativa che ci parla di un governo che presenta al Senato della Repubblica un testo praticamente ignoto ai rappresentanti del Paese: un maxiemendamento ritoccato più volte fino a serata tarda e finito in Aula con richiesta di fiducia da parte dell’esecutivo, senza che gli enti preposti della Camera alta potessero prenderne accuratamente visione.

Alcuni senatori di maggioranza, nel dibattito che si è protratto fino ed oltre le prime ore del mattino, hanno affermato che tutto sommato la discussione c’era stata, perché molti emendamenti affrontati dal dibattito tra i senatori erano presenti nel maxiemendamento: un po’ come se uno desaggiungere il caricose una occhiata esterna ad un appartamento e pensasse di averlo visto anche all’interno.

E’ del tutto evidente che della manovra finanziaria si conoscono solo dei contenitori vuoti che, per affermazione dello stesso Salvini, dovranno essere riempiti con i decreti attuativi in gennaio. Così le voci della famosa “quota 100” e del “reddito di cittadinanza” sono e rimangono proclami neppure completamente coperti dalle voci di finanziamento al bilancio, visto che i soldi che dovranno essere investiti, ad esempio, per i famosi 780 euro del reddito promesso a più di sei milioni di cittadini, in larghissima parte andranno a finanziare l’organizzazione dei centri per l’impiego che dovranno essere coordinati in merito.

Sono dunque due gli aspetti di critica all’azione politica portata avanti dal governo: uno riguarda il metodo, l’altro il merito. Sul merito, si può dire che non c’è traccia di progressività fiscale, non c’è tassazione differenziata tra ricchi e poveri, tra sfruttati e sfruttatori, ma si paventa anzi un possibile aumento orizzontale della tassa più orizzontale di tutte: l’IVA. Se i vincoli firmati con l’Unione Europea (che riguardano ben 50 miliardi di euro) dovessero essere disattesi, sarà automatico un aumento dell’imposta sul valore aggiunto che potrà raggiungere – dicono i tecnici economici del ministero – persino il 25% laddove oggi è applicata al 21/22%.

Nel merito, dunque, la manovra finanziaria è antipopolare perché colpisce non la verticalità delle ricchezze ma l’orizzontalità delle povertà e, aggiungiamoci pure il carico da undici (o da novanta, visti i numeri in gioco…), si interviene sul sistema pensionistico impedendo l’aumento delle pensioni da 1.000 euro, però si mette in cantiere un ulteriore condono e si tagliano 1,6 miliardi all’accoglienza per i migranti ed all’editoria.

Si restringe dunque il campo della libertà civile, sociale ed anche politica del Paese: il governo va avanti incurante del grave atto di cesura che ha tracciato tra sé e la Costituzione sul quale sono intervenuti anche avversari storici della sinistra di alternativa come Giorgio Napolitano ed Emma Bonino che, di certo, non possono essere accusati come noi di essere dei cosiddetti “pericolosi bolscevichi”.

La separazione dei poteri dello Stato subisce un durissimo colpo non da quello che molti hanno voluto interpretare, più o meno scientemente, come un “dilettantismo allo sbaraglio”. Sono convinto anche io, come ha affermato Vasco Errani nel suo intervento notturno al Senato, che invece dietro a tutto ciò vi sia un preciso disegno di Paese, diverso e avverso ad un impianto strutturale costituzionale che conservi il “diritto” e lo mantenga nel “fatto”: senza essere riscritta, la Costituzione cambia semplicemente in itinere, attraverso un iter legislativo che assume i caratteri dell’urgenza da parte di un governo che deve mantenere le promesse-bandiera: quota 100 e reddito di cittadinanza.

Una tempistica tutta elettoralistica che mortifica la democrazia e umilia il centro della Repubblica istituzionalmente detta e concepita: il Parlamento.

Ciò è possibile, come ricorda bene Fausto Bertinotti, per via dei tanti strappi che si sono consumati in passato e che hanno reso accettabile, normale, condivisibile e usuale una velocità di approvazione delle leggi che avesse il marchio del virtuosismo piuttosto che transitare attraverso quello che veniva mostrato come un inutile orpello: il farraginoso arnese parlamentare, il bicameralismo che alcune opposizioni, che oggi gridano, anche giustamente, allo scandalo, volevano superare con una controriforma che è stata combattuta anche da forze di governo che oggi contraddicono quella lotta democratica.

Contraddizioni su contraddizioni, scambi di contraddizioni dovuti a passaggi di ruoli: da opposizione populista di piazza a forza di governo; da forza di governo in difesa del liberismo europeo a forza di opposizione senza capo né coda in vista di primarie dove un po’ tutti si ritirano per il “bene” del partito.

Gli scenari di un attacco all’impianto democratico della Repubblica c’erano già tutti nei decenni scorsi: quando la logica “maggioritaria” si è presa la scena e ha soppiantato l’unica possibile vera rappresentanza popolare espressa per legge, la tanto scandalosa “proporzionale”. Quella pura, senza paletti, senza quorum. Decide la matematica delle vittorie e delle sconfitte chi entra e chi non ha accesso al Parlamento.

Invece, trucco dopo trucco, la illogica maggioritaria ha coperto tutto il campo istituzionale: dal piano nazionale a quelli locali e ha fatto man bassa di un rapporto diretto tra cittadino ed eletti che prima esisteva, quantunque fosse deficitario, e che oggi invece non esiste più e si mostra tale soltanto nelle forme di una degenerazione leaderistica che, si dice, ha soppiantato quei ferri vecchi delle “ideologie”.

Dunque, la notte della Repubblica parte II è iniziata. Possiamo solo presumere cosa potrà riservarci e, avendone vissuta già una, per molte e molti di noi il campanello d’allarme è suonato da tempo. Dobbiamo fare in fretta senza essere precipitosi, ma è necessario rimettere mano ad una organizzazione della sinistra di alternativa per affrontare con una certa unità politica un attacco che è anche politico, ma che diventa antisociale nel momento in cui la legislazione viene approvata da un Parlamento privato del suo ruolo.

Le feste incombono e quindi i campanelli che si sentono ora sono quelli natalizi: jingle bells. Le campane suonano. Chissà per chi suona la campana questa volta…

MARCO SFERINI

23 dicembre 2018

foto: screenshot

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