«Una mini-Nato nel Pacifico», la Cina reagisce a Camp David

Ieri il trilaterale storico tra Stati uniti, Corea del Sud e Giappone. Biden loda il coraggio dei due paesi asiatici e introduce l'impegno ad agire insieme contro qualsiasi minaccia esterna
Joe Biden al centro con il premier giapponese Kishida e quello sudcoreano Suk-yeol

Come previsto, la Cina non ha accolto con entusiasmo il vertice tra Stati uniti, Corea del Sud e Giappone a Camp David, bollato come un tentativo «impopolare di portare scontri di campo e blocchi militari nell’Asia-Pacifico, susciterà inevitabilmente vigilanza e opposizione dai Paesi della regione». Ad affermarlo è il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin, poche ore prima della conferenza stampa congiunta dal Maryland prevista per le 21 italiane di ieri.

Secondo funzionari Usa, i tre paesi rafforzeranno la cooperazione sulla difesa da missili balistici, amplieranno le esercitazioni militari annuali e svilupperanno un piano per l’assistenza alla sicurezza nel sud-est asiatico e nelle isole del Pacifico. Verrà anche implementata la prima linea telefonica diretta trilaterale, perché i leader possano comunicare in modo sicuro in caso di crisi.

È solo il primo incontro per rafforzare il senso di una nuova era nelle relazioni tra i tre paesi: i leader si impegneranno a incontri annuali che dovrebbero continuare nelle future amministrazioni, accordo simile alle sessioni regolari che i presidenti Usa hanno con le loro controparti messicane e canadesi.

L’alleanza ha portato la Cina a definire l’incontro lo sforzo di «cricche varie ed esclusive». Ma anche gli Usa non risparmiano commenti: il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha affermato che gli Stati uniti sono «preoccupati» per le implicazioni sulla sicurezza nazionale delle relazioni tra Corea del Nord e Russia che, secondo quanto riferito, stanno cooperando sulla tecnologia dei missili nucleari.

Biden, a tal proposito, si è detto disposto a incontrare «senza condizioni» il leader nord coreano Kim Jong-un, ma nel frattempo Usa, Giappone e Corea del Sud hanno concordato un nuovo patto per la sicurezza che li impegna a consultarsi in caso di crisi o minaccia alla sicurezza nel Pacifico.

L’impegno non sarebbe paragonabile a quello sancito dall’articolo 5 del trattato Nato, che obbliga gli alleati ad «agire» in caso di attacco a uno dei membri, ma rafforza l’aspettativa che i tre paesi, in caso di attacco, si muovano in tandem. Ed è sufficiente alla Cina per accusare Washington di voler implementare una mini-Nato nell’area.

I dettagli sul nuovo impegno trilaterale sono emersi poco dopo le dichiarazioni di Wenbin, secondo cui nessun paese «dovrebbe cercare la propria sicurezza a scapito dei relativi interessi di altri paesi e della pace e stabilità regionali. (…) La comunità internazionale ha la sua opinione. (L’Asia-Pacifico) è un’area di sviluppo pacifico e un focolaio di sviluppo cooperativo e non dovrebbe mai diventare un’altra arena per la competizione geopolitica».

Che questo summit sia uno sforzo dichiarato delle due nazioni asiatiche per superare rancori storici e presentare un fronte unito di fronte a una Cina sempre più assertiva non è un tentativo nascosto, anzi.

Nel suo giro di dichiarazioni Biden ha affermato che «rafforzare i legami tra le nostre democrazie è stata una priorità per me, fin da quando ero vicepresidente» e ha ringraziato entrambi i leader per il loro «coraggio politico».

MARINA CATUCCI

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria

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