Sappiamo tutti (o quasi) che la data del Natale di Gesù Cristo è una convenzione e non un fatto storicamente accertato: per meglio dire, è stata oggetto di un confronto plurisecolare che ha finito col cedere all’identificazione della stessa con i giorni in cui si celebrava l’antica festa romana del “Dies Natalis Solis Invicti“, ossia il giorno di nascita del Sole non vinto.
Il culto del sole come divinità creatrice della vita sulla terra data ben prima della nascita della potenza di Roma: è qualcosa di veramente ancestrale, quasi una idea innata dal sapore platonico, un istinto primordiale peraltro molto vicino alla realtà scientifica dei fatti. Senza il nostro Sole, infatti, non esisterebbe nessuna forma di vita sulla Terra e non avrebbe potuto quindi svolgersi l’evoluzione di ogni organismo senziente, così come di quelli anche solamente monocellulari.
Quindi, dire che il Sole è un dio, assimilarlo e annoverarlo nel pantheon antico degli esseri superiori e onnipotenti, è una mezza verità. Scopriremo che si tratta di molto, nonostante appaia poco rispetto alle credenze più moderne nell’ambito del creazionismo che ha dominato la cultura occidentale per millenni prima di essere sorpassato dall’evoluzionismo darwiniano e dalla oggettività scientifica.
Gesù di Nazareth, nato nel villaggio di Bethlem in una notte in cui passava una cometa e i pastori facevano pascolare le loro pecore, quindi presumibilmente in primavera visto che nelle terre di Palestina è assai improbabile che in pieno inverno, fra gelate e nevicate, si porti all’esterno il bestiame, è esistito. Almeno su questo punto tutti gli esegeti dei testi biblici, i critici, gli studiosi credenti, agnostici e atei concordano.
Persino gli storici romani, da Svetonio a Tacito, lo nominano nelle loro cronache dell’antichità: per il biografo dei Cesari sarebbe un ribelle «Iudaeos, impulsore Chresto, assidue tumultuantes Roma expulit (Dato che i Giudei, istigati da Cresto, provocavano costantemente dei tumulti, [Claudio] li espulse da Roma)»; per il grande storico dell’età imperiale, «..l’autore di questa denominazione [“cristiani”, ndr.], Cristo, sotto l’impero di Tiberio, era stato condannato al supplizio dal Procuratore Ponzio Pilato».
Giuseppe Flavio, Plinio il Giovane che scrive all’imperatore Traiano, il Talmud babilonese e tante altre fonti che corrono nei secoli dopo la morte di Gesù, attestano la sua esistenza e ce ne danno prova con quello che oggi chiameremmo il “metodo storico di indagine“, quindi circostanziando i fatti, collegandoli a fonti che, se intersecate fra loro, comparate e confrontate più e più volte, coincidono e ci regalano un quadro abbastanza sicuro di tante attività di quel giovane falegname che visse a Nazareth per molto tempo della sua breve vita della quale, a parte la sua nascita e l’ultimo anno tra predicazione, taumaturgia e morte, sappiamo veramente molto, molto poco.
Marcello Craveri ha studiato per oltre cinquant’anni la vita di Gesù Cristo, l’evolversi del fenomeno cristiano, religioso, sociale, politico, antropologico. Allievo di Ambrogio Donini, il suo schema di elaborazione dei fatti è tutt’altro che asciutto: nelle sue opere la prosa è delicata, accompagna il lettore per mano attraverso percorsi veramente labirintici che includono implicazioni tanto diverse quanto numerose sono quando si parla di religiosità, di religione, di credenze antiche e di sviluppi moderni delle medesime.
Non c’è dubbio che il Cristianesimo sia, nei duemila anni che ci stanno alle spalle, una delle influenze più pervasive di tutta la storia dell’umanità: ha oltrepassato i confini del Mediterraneo in cui originariamente si è diffuso, facendo crollare il vecchio mondo romano e sostituendolo, a poco a poco, con una dualità del potere non solo più laico ed esclusivamente riferibile alla figura dell’imperatore o del sovrano; ma riconducibile, per diritto divino, alla Chiesa di Roma, a quella cattolica, che si è detta “universale” proprio per escludere qualunque altra concorrenzialità religiosa e poter essere l’interprete sola, indiscussa e sovrana della volontà di Dio sulla terra.
Craveri è uno studioso dimenticato dalle case editrici: i suoi libri si trovano fortunosamente nelle librerie che conservano gli usati e li propongono a prezzi stracciati; oppure nelle biblioteche. A dire il vero sono recuperabili anche su Internet, ma è molto difficile poterne trovare copie di nuova stampa. Le ultime edizioni della sua “Vita di Gesù” (che ha avuto veramente molta fortuna non appena venne pubblicata da Feltrinelli nel 1966) sono state diffuse da Teti editore negli anni ’80 del secolo scorso.
Ma, con un po’ di perseveranza e di buona fortuna insieme, si può provare ad avere fra le mani dei testi che sono veramente disarmanti, che spiazzano perché raccontano un “altro cristianesimo” e, soprattutto, un altro Gesù Cristo. “Un uomo chiamato Gesù” è proprio questo coraggioso addentrarsi della critica esegetica, e un po’ anche epistemologica, della vita di un uomo che, unico nella storia dell’umanità, è stato deificato, reso addirittura “figlio di Dio“, nato da una madre che sarebbe stata priva di peccato “pre partum“, “intra partum” e “post partum“.
Craveri, pur appartenendo ad un filone antropologico – sociale marxista, non ha pregiudizi antireligiosi e non discute mai dell’esistenza di Dio. Descrive, analizza e storicizza quei fatti che sono ricavabili dall’esame di migliaia di testi, di traduzioni, di confronti tra le tradizioni orali – cui si possono riferire anche i cosiddetti “vangeli canonici” accettati dalla Chiesa, essendo stati scritti a mezzo secolo dalla morte di Gesù – e i successivi scritti dei primi Padri della Chiesa stessa: Agostino, Tommaso. Ma prima di tutto, Paolo di Tarso.
E’ da Paolo in poi che il cristianesimo si fa religione, culto (di Stato) e si spoglia delle sembianze di una piccola comunità, di una sorta di setta che dalle prime esperienze mistiche del giovane Gesù – probabilmente nell’ambiente settario degli Esseni – diviene la verità rivelata dall’unico Dio su questa terra. Marcello Craveri mette continuamente a confronto la storia raccontata dalla tradizione cristiana, l’interpretazione operata dalla dogmaticità della Chiesa con la storia dei popoli di allora.
Il regno di Dio diviene così, molto più semplicemente, l’attesa del popolo ebraico di un liberatore che li affrancasse dal dominio romano; e i miracoli di Gesù sono, niente di meno ma neppure niente di più, di arti taumaturgiche imparate durante quel periodo della sua giovinezza in cui (probabilmente) frequentò gruppi di credenti che avevano scelto una vita diversa da quella che avrebbe avuto lui: non andare tra la gente a parlare di un riscatto sociale possibile, di una rivolta differente da quella degli zeloti contro l’impero dell’Urbe.
Le contraddizioni tra il racconto dei vangeli canonici e le consolidate leggi e abitudini del mondo ebraico di allora sono tante, così evidenti da lasciare almeno qualche dubbio sul fatto che Gesù fosse quello che la Chiesa ci ha raccontato per duemila anni. Indubbiamente un giovane coraggioso, un altruista, un rivoluzionario “contro tutte le ingiustizie“, come recita il catenaccio del titolo del libro di Craveri. Ma non il figlio di Dio.
Tutto ciò prescinde dall’esistenza di qualunque divinità, di qualunque “essere supremo” (per dirla giacobinamente): qui si tratta di mettere in forse ciò che gli esseri umani hanno detto di dio nei secoli dei secoli, non disputare su questioni ontologiche o teologiche. Semmai, proprio dalla teologia si può passare a studi teleologici, aprendo il campo a speculazioni che possono andare oltre il concetto stesso di dio per come lo intendiamo storicamente: la natura può avere una armonia universale senza avere un preciso scopo. O forse sì.
Il fascino dei libri di Marcello Craveri sta proprio nella coltivazione, riga per riga, dello stupore come generatore del dubbio, non acritico, anzi molto critico e molto addentro nella testardaggine dei fatti storici. Si noterà che – come del resto evidenzia l’autore – in molte circostanze vale l’affidarsi al campo ipotetico perché mancano gli elementi fondamentali per poter dire se qualcosa o qualcuno sia esistito, se questo o quel luogo addirittura vi sia stato sulle mappe di allora. Noi siamo abituati a dare per scontato che tutto ciò che ci viene raccontato sulla base dei “vangeli canonici” sia la verità storica su Gesù e sulla sua ultima parte di vita.
Per poter affermare che i racconti di Marco, Matteo, Luca e Giovanni (su cui occorre operare distinzioni di non poco conto, a partire dagli autori, dal contesto in cui vennero elaborati e per quale uditorio vennero redatti) sono la descrizione esatta dell’esistenza di colui che sarebbe divenuto il “Χριστός” (“Cristòs“, ossia l'”unto dal Signore“), bisognerebbe separarli da tutta la letteratura cristiana venuta dopo: iniziando da Tertulliano, dalla patristica e dalle sovrapposizioni dialettiche che si sono susseguite e che hanno dato vita a mitizzazioni e trasformazioni in chiave deistica tanto di Gesù quanto della sua famiglia.
Una famiglia che doveva avere origini regali, essendo stata scelta da Dio per esprimere la sua volontà nei confronti dell’umanità intera, redimendola col sacrificio del suo figlio. Craveri è uno storico, un biblista, uno studioso meticolosissimo, ma quando ci porta tra le pieghe di una storia fantasticamente assurda e incredibile, acquisibile soltanto con la fede con la effe maiuscola, allora diviene anche un abile giallista. E per questo i suoi libri si leggono avidamente, senza potersi fermare, perché si cerca non l’assassino ma un pezzetto sempre più certo di una verità che non conosceremo mai del tutto.
Anche se si tratta di una conoscenza che, secolo dopo secolo, decennio dopo decennio, si è arricchita di tante novità grazie ai progressi dell’archeologia, alle indagini in loco, laddove visse Gesù senza essere “il Cristo“, ma soltanto un essere umano che aveva visto le tante sofferenze della sua gente e che si era battuto pacificamente per alleviare quelle pene, per provare a cambiare le cose unendo le coscienze e mettendo da parte le spade.
Credenti e non credenti possono leggere Marcello Craveri tranquillamente, senza il timore di trovarsi davanti ad un’altra verità rivelata, ma solamente ad uno studioso che non ha voluto infrangere le certezze di nessuno e tanto meno demolire la fede di chicchessia. Semmai, l’unica presunzione benevola di Craveri è darci la possibilità di sapere qualcosa di più del grande mistero su quel giovane figlio di Maria e di Giuseppe che, per la forza dirompente del suo messaggio è, dio o no, entrato nella storia ultra millenaria di questa disgraziatissima umanità.
UN UOMO CHIAMATO GESU’
MARCELLO CRAVERI, TETI (1993) / DEMETRA – GIUNTI (1996)
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MARCO SFERINI
15 dicembre 2021
foto: particolare della copertina dell’edizione Demetra – Giunti