«Questa è l’ultima volta!». È una buona notizia che alla maggioranza non sia riuscito il colpo di mano per eleggersi il suo giudice costituzionale. Ma c’è anche una cattiva notizia: era a un passo dal farcela e minaccia di riprovarci. «È l’ultima volta che votiamo scheda bianca», hanno strillato ieri i capigruppo del centrodestra, pedine della presidente del Consiglio che prima ha progettato il blitz e poi ha ordinato il dietrofront. Insisteranno.
Chissà, magari possiamo consolarci con la scoperta che c’è ancora qualche obiettivo fuori dalla portata degli ordini di palazzo Chigi. Qualche minimo spazio per la politica. Il parlamento, messo ai margini, silenziato e ridimensionato per volontà di tutti (chi ricorda la promessa che meno parlamentari avrebbero garantito più autorevolezza?), reclama talvolta un minimo di attenzione. Almeno nella sua veste di collegio elettorale con quorum alto.
La destra che inonda le camere di decreti legge e fiducie, vieta ai suoi di presentare emendamenti, non ha titolo per fare la morale sulle «libertà precluse» dei parlamentari di opposizione, tenuti forzatamente fuori dall’aula. Su alcuni di loro evidentemente contava nel segreto dell’urna.
Dunque festeggiamo pure, ma poi concentriamoci sul quel che è più allarmante. L’idea delle istituzioni che il solito Donzelli ci fa il favore di rendere esplicita – «siamo la maggioranza, il giudice ci spetta e ce lo prendiamo» – è ormai solo a un passo dall’essere praticabile. Il principale organo di garanzia del paese, la Corte costituzionale, è cioè vicino a essere nella disponibilità di palazzo Chigi. Lo sarebbe già se fossero stati un po’ più accorti con le chat. Tutto questo mentre la presidente del Consiglio lamenta di non avere abbastanza potere e chiede di riscrivere la Costituzione in senso verticistico.
Siamo a questo punto non solo perché la destra è scarsissima quanto a cultura democratica o semplicemente istituzionale, ma soprattutto perché la legge elettorale di cui nessuno più propone la modifica le ha regalato una maggioranza assoluta e solida con una minoranza (il 44%) dei voti. La legge elettorale (ma non bisognava cambiarla obbligatoriamente dopo il taglio dei parlamentari?), certo, ma anche la tattica sciagurata del centrosinistra che alle elezioni si è presentato diviso – follia che ultimamente sembra tornare di moda.
Per completare l’elenco va detto che se il quorum dei tre quinti che ai costituenti sembrava al riparo da scorribande – all’epoca c’era la legge elettorale proporzionale, oggi si vuole costituzionalizzare il maggioritario – è ormai quasi a portata di mano della maggioranza è anche “merito” di quei nove parlamentari eletti con le opposizioni e transitati con le destre. Provengono in parti uguali, ricordiamolo, da Renzi, Calenda e 5 Stelle.
La gravità della situazione e l’insieme delle responsabilità spinge dunque a non perdere di vista le opposizioni, mentre si denunciano le intenzioni della maggioranza. Vale anche per loro l’importanza di questo passaggio: il collegio dei giudici della Corte costituzionale non è il Consiglio di amministrazione Rai. Dividersi per conquistare le briciole sarebbe ancora più grave.
Solo la capacità di tenere insieme tutte le opposizioni, lo si è visto ieri, può fermare la destra che di per sé non si pone limiti – non nelle norme scritte, figurarsi nelle prassi che prevedono accordi e compromessi. Non si capisce perché, mancando ancora alla destra (anche se per pochi voti) il quorum necessario a eleggere tutti e quattro i giudici costituzionali che andranno scelti dal parlamento da qui a due mesi, l’opposizione dovrebbe accontentarsi di indicare un solo nome.
Favorendo così le manovre divisive di Meloni che – è noto – conosce come far cadere gli avversari in tentazione. Peraltro anche a destra sono divisi, le assenze di ieri lo provano, l’opposizione non è condannata a giocare di rimessa. L’unico giudice costituzionale che resta in carica a dicembre è assai stimato, ma è stato eletto su indicazione della Lega. Dunque l’opposizione ha sia i numeri che gli argomenti per provare a eleggere due giudici e non solo uno. Per farlo però dovrebbe restare unita e i leader dei partiti dovrebbero provare a parlare un po’ tra loro. Almeno un po’ di più di quanto non ascoltino Meloni.
ANDREA FABOZZI
foto: screenshot ed elaborazione propria