L’impressione, che diviene sempre più certezza col passare delle ore e dei giorni, è che non vi sia davvero più molto spazio per la verità nelle dichiarazioni di alcuni ministri del governo. L’oggettività dei fatti viene travolta, con abile enfasi, dalla descrizione dei comuni rapporti civili e sociali completamente rovesciata rispetto davvero all’oggettività indiscutibile di ruoli di persone che agiscono alla luce del sole, senza infingimenti e sotterfugi.
Quando si afferma che una nave che salva vite umane nel mar Mediterraneo è una “nave pirata” e che il suo equipaggio e la sua comandante sono dei “criminali”; quando qualche deputato e senatore della Repubblica arriva a paragonarli ai terroristi o alle Brigate rosse, allora entriamo quasi nel trascendentale, fuggendo da una immanenza che magari ci aiuterebbe invece a mantenere un contatto con la realtà.
Se è possibile affermare che Carola Rackete è una terrorista, che la Sea Watch 3 deve essere affondata (con successive correzioni di “stile” – si fa per dire… – linguistico) e demolita, che vanno arrestati tutti, deputati compresi che sono saliti a bordo per fare il loro mestiere di rappresentanti del popolo italiano, allora è possibile dire tutto e il contrario di tutto.
In una quotidianità del linguaggio che viene costretto al servizio della menzogna per fini meramente politico-elettoralistici, quindi di potere, la mortificazione non è soltanto imputabile agli autori di tutto ciò, ossia alle bocche di coloro dai quali escono scempiaggini di tale fatta; la peggiore umiliazione della verità ad opera di una narrazione distorta e, per questo, prona completamente alla necessità di aumentare l’isteria collettiva verso le fobie antisociali, razziste e xenofobe con cui oggi si mantiene vivo un rapporto col cosiddetto “popolo, viene esercitata ed elevata a potenza proprio da chi riceve questi messaggi.
Ne sono prova i cittadini che in riva al molo di Lampedusa hanno ingiuriato Carola Rackete con insulti sessisti di squallida verbosa pornografia tesa ad umiliare non solo il comandante di una nave, una persona che ha tratto in salvo 42 disperati al largo delle coste libiche, ma semmai la donna.
Perché evidentemente si deve sempre aggiungere una caratterizzazione del tutto personalistica dell’accanimento contro chi si vuole giudicare, contro l’avversario.
Un accaloramento e una rabbia, un odio che degrada nella visione intima della persona su cui si riversa una sequela di escrementi lessicali degni dell’analisi del miglior Sigmund Freud: tutti riferimenti fallici e vaginali non per esaltare l’amore tra uomo e donna, ma immaginando una violenza dell’uomo sulla donna: dell’uomo nero, del migrante che lei aveva salvato. Più migranti disegnati nella “mente” di queste persone come dispensatori di un piacere imposto, di una vera e propria violenza sessuale dipinta come una sorta di godimento etereo per la comandante della Sea Watch 3.
Ci si rende conto del fatto che anche un insulto può esprimere molto del carattere di chi lo pronuncia e può parlarci anche dei tempi sovranisti in cui viviamo? Evidentemente no. O forse un poco sì se poi si afferma di aver pronunciato quelle parole in uno stato di “ebbrezza” alcolica. Eppure le voci apparivano belle nitide e chiare e non affaticate dall’intorpidimento consueto che dispensa il vino o qualunque superalcolico in situazioni di goliardia.
Non c’è solo una responsabilità politica in tutto ciò, una protezione indiretta, estesa a tutto il Paese, tramite post su Facebook, cinguettii su Twitter e foto su Instagram: la velocità e l’immediatezza della cattiveria si sono sostituite alla calma e alla seraficità della comprensione attraverso la disposizione personale alla lettura, all’approfondimento, alla ricerca dei particolari e delle circostanze precise di ciò che ci accade intorno.
Viviamo intrisi di uno spontaneismo che è la trasposizione quasi ontologica dell’essere umano che vive oggi in Italia, che di essere ha molto e di umano molto poco. Ma anche in questo frangente l’operazione dell’enfasi abile a capovolgere i fatti, si mette in moto per rivoltare persino il concetto di “umanità” che viene attribuito a chi fa il “decreto sicurezza bis”, a chi condanna, arresta, impone blocchi e dichiara di voler proteggere i confini sacri d’Italia da non si sa bene quale invasore o pericolo per la Repubblica, mentre viene tolto, come si tolgono le mostrine al soldato fellone, a chi veramente umano è e lo dimostra disinteressatamente, rischiando il carcere per una decina di anni, rischiando multe e interdizioni dal territorio italiano.
Vedendo come è oggi ridotto questo povero Paese, esserne interdetti e scacciati, verrebbe pietosamente da dire, sarebbe quasi un premio. Un tempo nessuno avrebbe voluto vivere in una Italia disumana, almeno dal dopoguerra fino ai primi anni ’90.
Viverci, da alcuni lustri a questa parte, è diventato sempre più complicato per chi vuole tenere in mano una copia della Costituzione, aprirla all’ombra di un albero e leggerne gli articoli, finendo per accorgersi che tra quella Carta e l’Italia reale, del sovranismo autoritario e neofascista non c’è il minimo collegamento possibile, non c’è nessuna corrispondenza reale.
MARCO SFERINI
30 giugno 2019
foto: screenshot