In precedenza al rapido inoltrarci in alcuni aspetti proposti dalla scadenza referendaria nel merito delle deformazioni costituzionali approvate in Parlamento, è il caso di recuperare un’antica indicazione del grande giurista Santi Romano che, all’inizio del ‘900, nel suo “Digesto Italiano” scriveva: “Il giurista deve considerare legittimo quello stato o quel governo che, sia perché corrispondente alla coscienza giuridica generale, sia perché trova la sua base in ineluttabili necessità che non siano passeggere, ha in sé la forza per farsi riconoscere e perpetuarsi per un tempo indefinito”.
Una frase che pone oggi, nel frangente che ci troviamo ad affrontare, alcuni interrogativi di fondo: può essere riconosciuto legittimo uno stato e un governo che non corrispondono – oggettivamente – alla coscienza giuridica generale perché la legge fondamentale è stata modificata in parti essenziali riguardanti proprio la forma dello stato e del governo da un Parlamento delegittimato nella sua metodologia d’elezione da una sentenza della Suprema Corte che lo ha mantenuto in carica soltanto proprio per un discorso di “continuità”?
Ancora: come posso essere valutate le deformazioni apportate al testo Costituzionale rispetto all’esigenza posta proprio da Santi Romano dal punto di vista della “forza per farsi riconoscere e perpetuarsi per un tempo indefinito? Una domanda questa sicuramente legittima quando appare evidente la provvisorietà e la strumentalità dei provvedimenti assunti in particolare al riguardo del superamento del bicameralismo paritario e del ruolo e compiti delle Regioni?
Queste deformazioni stanno dentro il quadro concettuale richiesto per elaborare un dettato costituzionale e cioè nell’identificazione di una Costituzione che rappresenta l’atto con cui l’esercizio dei pubblici poteri è sottratto alla libera disponibilità dei suoi detentori provvisori (pro – tempora) per essere vincolato dalle leggi e con cui di conseguenza si garantiscono le libertà e i diritti dei cittadini?
Pare, invece, che ci muova nella direzione contraria.
L’intento prefissato nel combinato disposto bicameralismo imperfetto – legge elettorale il cui proposito è proprio quello del far disporre ai detentori del potere di far approvare da una minoranza provvedimenti legislativi inerenti proprio la libertà e i diritti dei cittadini.
Il terreno scelto dal PD per effettuare queste deformazioni costituzionali è quello di trasformare la propria presunta “vocazione maggioritaria” in disponibilità di un potere assoluto.
Se davvero si vuol ragionare, sul piano della forma dello stato e del governo, in una prospettiva storica è il caso, allora, di porci interrogativi ben più ampi di quelli posti dal provincialismo di queste deformazioni.
Risaltano due questioni tra loro sovrapposte: quella della sovranazionalità (il senso, cioè, assunto da Brexit o non Brexit, leave or remain) e quello della globalizzazione (in particolare sotto l’aspetto della velocità delle comunicazioni). Temi che pongono, seriamente, la necessità di un confronto al riguardo della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” e di un ragionamento sulla diversa qualità che oggi assume, rispetto al passato, il discorso della sovranità.
Il “NO” secco e senza sconti da far valere nel referendum consultivo deve essere orientato al livello delle tematiche appena indicate.
Non deve essere un “NO” provinciale, di pura difesa, ma un “NO” che punta a far recuperare all’intero corpo elettorale quel potere decisionale costituente che serve in frangenti storici così delicati e che gli è stato sottratto da leggi elettorali inique formulate con l’intento di garantire i privilegi dei già privilegiati e di negare il senso più profondo della rappresentanza politica di un’intera comunità posta davvero nella condizione di decidere del proprio futuro in una visione di grande respiro del futuro, come accadde all’indomani della Liberazione.
FRANCO ASTENGO
redazionale
16 giugno 2016
foto tratta da Pixabay