La crisi economica pare passata. Continua invece ad allargarsi la forbice della diseguaglianza che tocca proporzioni «sfacciate». L’un per cento della popolazione possiede più ricchezze di tutto il resto dell’umanità e nel 2016 il numero dei miliardari è aumentato come mai prima: uno ogni due giorni mentre la metà meno ricca non ha beneficiato di alcun aumento della ricchezza. Il rapporto annuale di Oxfam – la più importante Ong al mondo – si basa in gran parte sui dati di una della più grandi banche al mondo: Credit Suisse. La scelta non è casuale: solo una banca conosce le vere disponibilità dei patrimoni dei ricchi «in quanto i membri più ricchi della società sono più inclini ad evitare di pagare le imposte sui propri redditi».
Da una parte i proprietari che vanno avanti a forza di dividendi. Dall’altra milioni di lavoratori sfruttati nei paesi più poveri. In mezzo ci sono i manager pagati in azioni delle aziende (stock options) che dunque «spingono le grandi imprese ad accorparsi per aumentare i guadagni agli azionisti»: «le imprese usano la mobilità dei propri investimenti per alimentare la corsa al ribasso tra Paesi in materia fiscale e salariale». Per questo il titolo scelto per il rapporto è «Ricompensare il lavoro, non la ricchezza».
Nel quadro globale l’Italia si colloca in una posizione poco invidiabile. La disuguaglianza desta seria preoccupazione anche in Italia. A metà 2017 il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66 per cento della ricchezza nazionale netta, il successivo 20 per cento ne controllava il 18,8, lasciando al 60 per cento più povero appena il 14,8 per cento della ricchezza nazionale la quota di ricchezza dell’1 per cento più ricco degli italiani superava di 240 volte quella detenuta complessivamente dal 20 per cento più povero della popolazione.
Nel periodo 2006-2016 la quota di reddito nazionale disponibile lordo del 10 per cento più povero degli italiani è diminuita del 28 per cento, mentre oltre il 40 per cento dell’incremento di reddito complessivo registrato nello stesso periodo è fluito verso il 20 per cento dei percettori di reddito più elevato. Nel 2016 l’Italia occupava la ventesima posizione su 28 paesi Ue per la disuguaglianza di reddito disponibile.
Gran parte della cinquantina di pagine del rapporto è dedicato all’analisi delle cause del livello di diseguaglianza e delle proposte per rendere il mondo un po’ più giusto.
Le cause sono riassunte in nove punti molto precisi. Al primo posto c’è «l’indebolimento delle norme che tutelano i lavoratori» «spesso dietro pressione dell’Fondo monetario internazionale o della Banca Mondiale», compreso l’attacco ai sindacati. Molto legato a questo è il secondo punto: «Corsa al ribasso dei salari», così come in prospettiva il terzo: «Automazione e proprietà delle tecnologie» che «possono cancellare centinaia di milioni di posti di lavoro», «specie nei paesi poveri». Si passa poi allo «sfruttamento della diseguaglianza di genere» e al già citato «netto predominio dei ricchi azionisti in ambito societario». Gli ultimi quattro punti riguardano l’aspetto della finanziarizzazione del capitalismo globale. Il sesto è la «crescita del settore finanziario e deregolamentazione del capitale»; il settimo riguarda «i paradisi fiscali» che sottraggono tasse soprattutto ai paesi più poveri: «170 miliardi di dollari sufficienti a fornire un’istruzione ai 124 milioni di bambini che non vanno a scuola e a finanziare interventi sanitari che salverebbero la vita di altri 6 milioni», come sostiene l’Unesco. Anche l’ottavo – «corsa al ribasso dell’imposizione fiscale» – porta con sè un dato impressionante: considerando i 20 paesi più ricchi (G20) «l’aliquota fiscale media sui redditi societari era del 40 per cento nel 1990 ed è scesa al 28,7 per cento nel 2015», un taglio di quasi 12 punti in 15 anni. L’ultimo punto riguarda la «concentrazione delle imprese»: negli ultimi 30 anni i profitti delle imprese più grandi al mondo sono triplicati in termini reali» anche grazie alle fusioni e alle concentrazioni incentivate dal sistema.
Al grido di «Un’economia più giusta e umana è possibile Oxfam conclude il suo rapporto annuale con una serie di «raccomandazioni a governi e istituzioni internazionali». Si punta ad incentivare modelli imprenditoriali che adottino politiche di maggiore equità retributiva e sostengano livelli salariali dignitosi; di introdurre un tetto agli stipendi dei top-manager, così che il divario retributivo non superi il rapporto 20 a 1 ed eliminare il gap di genere; proteggere i diritti dei lavoratori, specialmente delle categorie più vulnerabili: lavoratori domestici, migranti e del settore informale, in particolare garantendo loro il diritto di associazione sindacale; assicurare che i ricchi e le grandi corporation paghino la giusta quota di tasse, attraverso una maggiore progressività fiscale e misure solide di contrasto all’evasione ed elusione fiscale; aumentare la spesa pubblica per servizi come sanità, istruzione e sicurezza sociale a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Letto il rapporto, ci si chiede perché i poveri non circondino i ricchi del pianeta già da domattina. In realtà qualche segnale positivo c’è. Oxfam ha intervistato circa 10mila persone in 10 paesi e oltre i due terzi ritiene che «il divario tra ricchi e poveri debba essere affrontato con urgenza».
MASSIMO FRANCHI
foto tratta da Pixabay