Le parole sono un veicolo rivoluzionario. Sono, spesso, anche un veicolo di conservatorismo quando vengono utilizzate lontano dal loro significato originale, primigenio e intrinseco. Sono, quindi, un trasporto di ipocrisia e di revisionismo quotidiano se ad utilizzarle è un manipolatore delle coscienze.
Le parole fanno danni e salvano situazioni. Sono un mezzo. Proprio come Internet. E un mezzo non è mai solo buono o solo cattivo: come spesso si usa dire, appunto, “è l’uso che se ne fa” che ne determina bontà e pregi o cattiveria e difetti.
A sinistra manca molto un elemento di comunicazione precisa, diretta: manca un giornale, una informazione che possa davvero arrivare a tutte e tutti, ossia anche a coloro che non hanno il computer, l’Ipad o il telefonino di ultima generazione per leggere le “newsletter” o per ricevere posta elettronica che informa su questo o su quell’avvenimento.
Se vogliamo creare una nuova coscienza civile, sociale e politica che sia fortemente ancorata ad una critica radicale, quindi ad una visione anticapitalista di questa disgraziata società, è necessario rimettere nelle nostre mani un foglio, un giornale che ci consenta di interconnetterci.
So bene che abbiamo poche finanze, che siamo poverelli in canna; so anche molto bene che la critica prima che si pone, dopo quella dei finanziamenti (che è una realtà oggettiva piuttosto che una critica), è la progressiva decadenza dello strumento cartaceo rispetto a quello telematico.
Ma permettetemi, anche in questo caso, di andare contro corrente: un giornale è una forma palpabile e sensibile di informazione. Si tocca, si ha tra le mani: la si può diffondere mettendola in quell’arcaico strumento ostinatamente ancora presente in tantissime parti d’Italia che sono le bacheche, i giornali murali.
Un giornale permette di conservare e avere sotto mano articoli, deliberati congressuali. Ma più di tutto, più di ogni sito Internet o blog, ha sempre creato, e ancora può avere questa funzione, un istinto collettivo, una percezione di esistenza, di vita di un partito, di un qualunque soggetto politico.
Un giornale, che lo si voglia o no, passa ancora tra le rassegne stampa in televisione e ti fa riconoscere: “Ecco, quel giornale mi rappresenta. Quel giornale sono anche io”.
Non credo che si debba sottovalutare il fatto che persino Matteo Renzi, per darsi una parvenza di sinistra e per ricollegare a sé chi ingenuamente ritiene ancora il PD una sede di chissà quale sinistra…, ha riportato in auge non soltanto il nome “l’Unità” sostituendolo a “Festa democratica”, ma ha fatto rinascere il quotidiano fondato dal povero Antonio Gramsci (che riposi in pace e che, dal sonno profondo, possa non vedere che fine ha fatto il suo quotidiano, l’ex “organo centrale del Partito comunista italiano”).
Ragioniamo sulla possibilità di stampare un mensile, un settimanale. In formato tabloid magari. Facile da portare con sé, da leggere sui treni, in aereo. Da portare a scuola, da commentare con i compagni di classe e gli insegnanti.
Un giornale anzitutto. Un giornale dei comunisti, prima di tutto.
Perché, a differenza di chi ha bisogno di un mero sito web per una sinistra italiana “liquida” e fluida, noi abbiamo bisogno di pesantezza, di macigni che siano pietre angolari, confini ben precisi da cui ripartire per ridare senso, forza e speranza alla lotta per il cambiamento sociale. In Italia, in Europa e… Vabbé, fermiamoci qui per ora. Di lavoro da mettere in cantiere ce n’è a sufficienza!
MARCO SFERINI
12 novembre 2015
foto tratta da Pixabay