Era evidente e non l’ho mai saputo. Non riuscire a trovare lavoro è dovuto al fatto che uno non ha dimestichezza col gioco del calcio o del calcetto. Campo regolamentare grande o regolamentare piccolo, la soluzione sta tutta lì: se si pratica uno sport famoso, celebre e “nazionale”, allora si hanno molte più possibilità di trovare lavoro.
Come mai non ci avevo pensato prima! Forse perché sono terribilmente pigro per fare sport; forse perché del calcio amo solo le partite della nazionale, magari commentate dalla Gialappa’s Band o, forse, perché poi del gioco della palla non mi è mai importato veramente molto.
Così, grazie alle parole di un ministro, ora ho capito l’arcano, l’edipico enigma e mi si è disvelato tutto un mondo che mi era sconosciuto. Non capivo, infatti, perché mai si iniziasse a giocare a calcio da piccolissimi. I “pulcini”, mi pare li chiamino: sono i giocatori che ancora sono bambini, quelli per cui i genitori si sbracciano e urlano dalle tribune dei piccoli campetti di periferia. Qui succedono anche terribili liti, furibonde discussioni: mi sono sempre detto che non comprendevo tanta foga, tanta eccitazione nello spingere il proprio pargolo a calciare il pallone, ad essere così esacerbatamente tifosi di chi ancora non mostra le doti del calciatore professionista.
Poi ho capito, studiano un po’ di sociologia applicata allo sport, che tutti sognano un figlio che diventi una stella mondiale del calcio, che un giorno possa alzare la coppa dei campioni, che possa giocare nei campionati esteri, che entri a far parte di una grande storica squadra magari spagnola o inglese.
Nel bambino che sgambetta per il campo, pensavo, vedono quello. Invece, scopro oggi che c’è altro oltre la passione per il campione in erba che deve crescere: c’è la sconfitta della disoccupazione a priori, la ricerca di un lavoro sicuro. E questa passa, guardate un po’, attraverso quel piccolo campetto di periferia dove io vedevo invece solo bambini sudati e stanchi, ragazzi altrettanto sudati e stanchi e genitori e parenti vari agitarsi e dare consigli come tanti allenatori nemmeno in erba come i loro discendenti.
Che «Il rapporto di lavoro» fosse «prima di tutto un rapporto di fiducia», lo avevo capito fin dai primi miei rari esordi come dipendente comunale per la consegna delle vecchie tessere elettorali prima e come dipendente per una agenzia immobiliare poi. Senza fiducia e reciproco rispetto non può esservi, credo in nessun ambito della vita quotidiana, collaborazione. Ma che si potesse più facilmente trovare lavoro «giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum» era, almeno fino ad ora, un paradigma che mi era sfuggito.
E mi si perdonerà l’ironia, ma con il grande immiserimento delle famiglie che avanza, con un tasso di disoccupazione nel Sud del Paese che vede un giovane su due senza lavoro, che nella nazione complessivamente si attesta attualmente al 12% della popolazione attiva, come si possono commentare con serietà le parole sfuggite in infelici battute magari seriamente pensate?
E se sono pensate, quindi ponderate, peggio ancora: significa che il governo ci ritiene così sciocchi da poter intravedere un viatico più veloce, facile e immediato nel trovare una qualche forma di lavoro attraverso le partitelle amatoriali di calcio piuttosto che tramite l’invio dei curricula (anche di latino pecca il governo… se si parla al plurale, non si può dire “curriculum”, ma la declinazione prevede la “a”, così come per i “referenda” e non “i referendum”… e qui si perdoni la saccenteria di chi scrive).
Non è facile a quasi 44 anni mettersi a giocare a calcetto, soprattutto se si ha anche qualche chilo costituzionalmente di troppo (e senza aver votato alcuna riforma in merito per eliminare le rotondità in nome della modernità istituzionale come nel dicembre scorso). Ma, tuttavia, ci si può sempre provare. Se non altro può servire a fare del moto, della ginnastica.
Lo vedete? Oltre al lavoro il governo pensa anche alla nostra salute. Che bravi.
MARCO SFERINI
29 marzo 2017
foto tratta da Pixabay