Un bacio “scandaloso” e la scoperta dei tanti nostri mondi

E’ notta fonda anche per me che sono solito fare le ore piccole. Per tradizione ormai, per abitudine a vivere di più le ore meno chiassose della giornata: quando...
Il bacio "scandaloso" tra Fedez e Rosa Chemical a Sanremo

E’ notta fonda anche per me che sono solito fare le ore piccole. Per tradizione ormai, per abitudine a vivere di più le ore meno chiassose della giornata: quando un po’ tutto tace. Provo a guardare la finalissima di Sanremo oltre la mia ora, ma non riesco proprio. Spengo la luce alle mie consuete due del mattino, col pronostico personale di Mengoni vincitore (mi piace vincere facile in questo caso) e con l’immagine iconica del bacio tra Rosa Chemical e Fedez stampato in fronte.

Pochi secondi dopo quello stampo di labbra e quell’aver mimato un rapporto omo-anale col marito della Ferragni tra la platea degli alti papaveri e degli invitati eccellenti, lo spettacolo continua oltre la televisione: sui social. Mondo parallelo, mondo nel mondo, mondo senza un altro mondo. Una ridda di insulti e complimenti si pareggiano abbastanza; ma a fare da buon peso ai primi sono i piccatissimi commenti che trasudano indignazione da ogni singola lettera e parola.

Dallo schifo semplice alle vecchie, care frasi di pessimo gusto: «Ma in che mondo viviamo», «Sono proprio cambiati i tempi» (e meno male!), fino alla presa di distanza un meno eclatante, leggermente compassata che si limita ad osservare, quasi lambendo un politicamente coretto ricercato e studiato, che no, proprio no, in un festival nazional-popolare le provocazioni che fanno saltare la mosca al naso a qualche milionata di italiani conservatori e reazionari, non ci stanno. Punto e basta!

Così vado a letto, spengo la luce su un sorriso ironico che mi viene quando mi capita di pensare agli imbecilli di ogni sorta: quelli che si credono padroni delle vite degli altri, del cielo, della terra, della natura, degli animali, degli affetti e dei giudizi. Mi sveglio senza ricordarmi, un po’ come al solito, cosa ho sognato. Metto l’orologio senza guardare l’ora e accendo il cellulare. Scorro un po’ di notizie e rivedo la foto di Fedez e Rosa Chemical.

Ma sì, la posto un po’ anche sugli altri social. Ieri sera, a caldo, m’era partito l’embolo dell’entusiasmo immotivato, forse…, e l’avevo pubblicata su Facebook. Stamane la faccio un po’ ballonzorale anche sullo stato di Whatsapp con il commento: “…e adesso inorridite pure…“, rivolto chiaramente a chi si inorridisce davvero. Per fortuna tra i miei contatti, credo, spero, non vi sia nessuno che si fa venire il prurito per un bacio tra due uomini.

Un’amica mi scrive: «….ma non credo che per questo non inorridisca proprio più nessuno…». Invece sì, le rispondo. Fatti un giro sui social e lo vedrai da te. Ammette che, essendo al di fuori del mondo di Facebook, Instagram, Telegram, Twitter e così via, crede in una umanità meno astiosa, meno odiatrice, insomma migliore rispetto a quella che viene fuori dalle migliaia di commenti acredinosi che pullulano sui tanti canali telematici dove le legioni di imbecilli di echiana memoria avanzano a tappe forzate.

E così, mentre mi lavo i denti e mi pettino quei quattro capelli che mi sono rimasti, rifletto davanti allo specchio senza guardarmi troppo. Le immagini forti di primo mattino non le sopporto. A che punto è arrivata la doppia, tripla vita che abbiamo? Quella reale e quella nei social? In che fase distopica ci troviamo, oltre le fantastiche utopie otto e novecentesche, di libertà, di uguaglianza, di solidarietà sociale e di vita saturnicamente armoniosa da vivere un giorno o da far vivere ai nostri figli e nipoti?

Dove siamo esattamente? E, ancora di più: se viviamo solo nella realtà reale, quella concretamente materiale di tutti i giorni, fatta ovvio anche di spiritualità, di metafisica, di estraniazione dai contesti fattivi, trascuriamo allora tutto un altro mondo parallelo che pure esiste? E se, scegliendo di non essere sui social, trascuriamo questo parallelismo alterativo della società in cui ogni giorno svolgiamo le nostre esistenze, ci priviamo o no di qualcosa o, invece, evitiamo un inquinamento cervellotico, cerebrolesiaco e distorsivo dell’oggettività e anche della soggettività?

Sono domande del primo mattino, fatte davanti ad uno specchio inguardabile, con uno spazzolino da denti in mano e un bicchiere con l’acqua nell’altro. Sono domande che però frullano eccentricamente nel cervello e un po’ lo interrogano sulle novità e le trasformazioni repentine del secolo scorso e di questi primi ventitrè anni del terzo millennio.

Facendo un passo indietro nel tempo, cercando di tracciare quanto meno una linea logica che ci faccia sopportare questi universi paralleli terrestrissimi, potremmo operare delle similitudini comportamentali tra l’oggi e l’ieri: fino a che qualcuno non aveva “scoperto” l’innamoramento per corrispondenza epistolare, attraverso le prime “poste del cuore” sui giornali e gli annunci “AAA“, molto dopo le dediche dantesche a Beatrice o quelle petrarchiane a Laura, ci si conosceva in altri modi, ci si baciava furtivamente e molti sentimenti rimanevano occultati, repressi, nascosti al mondo grande e a quello piccolo della cerchia familiare.

Poi sono venuti il telefono e gli innamorati hanno cominciato ad attaccarsi alla cornetta per sentirsi ogni giorno, baciarsi e coccolarsi virtualmente seppure sentendo almeno la propria voce. E poi è arrivata l’era internettiana: prima gli sms, poi le chat, infine i social. Ci siamo passati ormai un po’ tutti, anche i “boomer” come il sottoscritto, sicuramente le “generazioni y” altrimenti dette “millenials” e, manco a dirlo, quelli della lettera zeta, l’ultima dell’alfabeto e che classifica i giovanissimissimi che a fatica ricordano persino la tragedia delle Torri Gemelle.

Le rotte dei sentimenti sono cambiate perché il progresso morale e civile è pervaso dalla tecnologia e viceversa: il villaggio globale è diventato una nuova polveriera di conflitti, un luogo in cui le pandemie si sprecano, le migrazioni sono endemiche ed il razzismo e le fobie antisociali e immorali pure.

Rimane quella domanda che mi titilla le parti più recondite della mia contorta mente: è giusto astrarsi dai mondi che si creano dentro al mondo sopravvivibile da tutte e tutti, questvo, al di là dello schermo su cui è scritto questo testo? E’ giusto provare a proteggersi dalla caotica masnada di elucubratori e di salottieri da strapazzo che imperversa sui social? E’ giusto o ci perdiamo qualcosa di importante? Soprattutto in relazione al tipo di conoscenza della società che occorre avere se vogliamo provare, nel nostro piccolo, a modificarla un poco e in meglio.

Forse le categorie di giustezza e di errore non sono le più adatte ad una analisi pseudo-sociologica di questo tipo. Probabilmente è più corretto impostare un ragionamento sulla base dell’opportunità o meno di farsi attraversare da vomitatoi di odio e di migliaia di informazioni al giorno, provenienti da altrettante migliaia di persone per lo più sconosciute, che invadono le nostre esistenze e parlano poi, inevitabilmente, lo si voglia o no, anche attraverso noi.

Il punto, penso, sia quello di avere ben chiaro ciò che affrontiamo consapevolmente e ciò che, quindi, intendiamo e vogliamo affrontare.

Se siamo in grado di riconoscere criticamente ciò che abbiamo innanzi, allora siamo anche sempre in grado di prenderne le distanze e di non farci assorbire dal tritatutto dei social, dalla voglia di risposta a tutti i costi, dalla compulsività che fa nascere nuove nevrosi da “click” continuo, per ogni cosa che ci sembra piacerci, oppure per i “dislike” che dobbiamo necessariamente mettere sotto i post per esibirci, per assolvere al compito di sentire, anche così, che facciamo la nostra parte nel pandemonico mondo moderno e che esistiamo, che viviamo.

La riduzione dell’esistenza a soltanto questo sarebbe stare nell’esclusivismo di un solo mondo: virtuale, intercapedine tra noi e la realtà. Tenercene fuori equivarebbe a non conoscere tutte le sfaccettature di una involuzione evolutiva che comunque c’è, che protende alla massima diffusione, anche tra le generazioni più ancorate al Novecento.

Per questo va usato il giusto mezzo, l'”est modus in rebus” dell’antica saggezza oraziana. Perché non si può pensare che il mondo sia meglio di quello che non è, ascetizzando le nostre scelte e salvaguardandoci così dalle scempiaggini e dall’orrore. Dobbiamo guardare, ascoltare, leggere tutto quello che è possibile ed entrare nei processi che sopratutto consideriamo degenerativi da una data linea di vera socialità, di vera empatia, di interazione concreta e reale.

Dobbiamo, noi che ci chiamiamo ancora comunisti e che in qualche maniera vogliamo trasformare questa società, non scansare lo spiacevole ma viverlo, senza la sofferenza tipica di una dottrina cattolica tutta dedita al pentimento attraverso il dolore e all’espiazione dei peccati; viverlo con la curiosità caratteristica di chi adatta la lotta ai tempi moderni che, in fin dei conti, sono sempre e soltanto quelli leggermente davanti a noi. A tutti, proprio a tutti noi.

MARCO SFERINI

12 febbraio 2023

foto: screenshot tv

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