«Ci siamo resi visibili ai soldati. Siamo rimasti fermi per circa dieci minuti per assicurarci che sapessero che eravamo lì come giornalisti. Non ci sono stati colpi di avvertimento, così ci siamo spostati verso il campo profughi di Jenin». Shatha Hanaysha, giovane giornalista palestinese, racconta gli ultimi minuti di vita di Shireen Abu Akleh, sua collega e modello di donna e giornalista. In quel momento era in corso un’incursione dell’esercito israeliano a copertura dell’unità scelta Dovdovan entrata nel campo profughi per arrestare un presunto militante armato del Jihad Islami.
«All’improvviso abbiamo sentito il primo sparo», prosegue Hanaysha «mi sono girata e ho visto il mio collega di Al Quds, Ali Sammoudi, a terra. Un proiettile lo aveva colpito alla schiena di striscio, non era grave ed è riuscito ad allontanarsi». Quindi, aggiunge, «un altro collega ci ha detto di raggiungerlo dietro un muretto ma eravamo dall’altra parte della strada ed era rischioso attraversarla. Shireen ha urlato ‘Samoudi è stato colpito’…Proprio in quel momento, un altro proiettile le ha trafitto il collo e lei è caduta a terra proprio accanto a me. Chiunque ci abbia sparato mirava per uccidere…è stato un cecchino israeliano a spararci. Non eravamo coinvolti nel fuoco incrociato tra soldati e combattenti palestinesi come sostiene l’esercito israeliano».
…continua a leggere su il manifesto.it…
MICHELE GIORGIO
foto: screenshot