Che sia una marcia indietro è certo. Quanto sia stata ispirata dalla volontà di tutela del lavoro da parte del governo lo è altrettanto: poco, quasi niente.
E’ una vittoria indotta dal terrore di doversi nuovamente confrontare con il voto, con il giudizio popolare, anche nel merito delle questioni poste dai due quesiti proposti dalla CGIL per abolire i voucher ed estendere la normativa sulla responsabilità degli appalti, ma soprattutto di dover fare fronte a ciò che giustamente Gentiloni individua come il pericolo dei pericoli per il suo esecutivo e per il PD: un Paese che, dopo il 4 dicembre scorso, con grande probabilità riverserebbe una nuova valanga di proteste, attraverso questa volta due SI’, nei confronti del più ampio cerchio del liberismo che è il nume tutelare delle politiche di Palazzo Chigi.
Politiche che non hanno conosciuto alcuna soluzione di continuità e che, altrettanto giustamente, vengono difese dal ministro Poletti e da tutti i padroni, dalle loro organizzazioni di rappresentanza, Confindustria per prima.
“Meglio andare al voto” ha tuonato il sindacato padronale. Ma il presidente del Consiglio non è stato dello stesso avviso: forse, per una volta, si può cedere e far sbraitare un poco il padronato per evitare un crollo del governo il giorno dopo il 28 maggio.
Dopo la bocciatura sonora della “grande” riforma costituzionale, dopo la stroncatura da parte della Consulta della “grande” legge elettorale che ci avrebbero dovuto invidiare tutti nel mondo, un terzo colpo sarebbe stato fatale per il PD e per il governo Gentiloni.
Con l’iniziativa intrapresa da Palazzo Chigi, forse possono sperare lor signori di menare pure qualche vanto: del resto hanno evitato i referendum, hanno accolto tutte le proposte contenute nelle modificazioni legislative sottoposte al giudizio popolare e possono magari anche sperare di dire che questa è una misura di sinistra.
Peccato che sia quasi estorta al governo e non derivi dalla sua volontà. Del resto sarebbe impossibile: il governo abolisce oggi ciò che ieri ha continuato a sostenere con forza, con risolutezza granitica, affermando che i voucher erano una tutela nei confronti del dilagare del lavoro nero.
Ora, è ben chiaro cosa sia il lavoro nero, ma proprio per questo va ribadito che il lavoro nero stava aumentando proprio grazie all’utilizzo esplosivo e incontrollato dei voucher.
Ho sentito ripetere questa amenità più volte in televisione: “Ma allora, se volete abolire i voucher, volete lasciare senza tutele i lavoratori più precari.”. Meno male che già si riconosce che quelli pagati in voucher sono tra le categorie maggiormente colpite dal sistema del precariato: perché qui non siamo più davanti ad un “fenomeno” passeggero di contrattualità iper-provvisoria. Qui ci troviamo in un vero e proprio nuovo sistema di gestione del mercato del lavoro che favorisce i profitti, non dà nessuna garanzia al lavoratore o alla lavoratrice tranne un minimo riscontro pensionistico e finge di essere nelle statistiche elemento di aumento della percentuale degli occupati quando, invece, è elemento di destabilizzazione dell’occupazione medesima.
Nel corso del tempo i “ticket da mini impieghi” sono diventati uno strumento con cui gli sfruttatori del lavoro (non possiamo sempre chiamare “datori” di lavoro coloro che non “danno” nulla se non la possibilità di sfruttarti! Torniamo ad un sano linguaggio marxista in questo frangente, almeno!) hanno fatto passare per “occasionali” delle prestazioni invece di lungo termine.
Con 15 euro (il valore di due voucher) si paga normalmente la giornata di un lavoratore… Indubbiamente non è lavoro nero, illegale. E’ peggio: è lavoro nero legalizzato.
Che il sindacato sia riuscito a trasmettere un terrore politico al governo è una vittoria indubbiamente non da poco: da quanto tempo non assistevamo ad una retromarcia di questa natura e consistenza? Da molto.
Ma c’è da stare sempre allerta: intanto i voucher e le norme estensive sulla responsabilità degli appalti entreranno in vigore dal prossimo gennaio; questo per smaltire tutti quelli fino ad ora immessi sul mercato e quindi rendere adeguabile la situazione sociale a quella legale. Poi, c’è da evidenziare un fatto: il governo ha assunto con questo comportamento una formula che riassumerei in “Tutto, basta non votare”. E qui esiste un problema politico grande quanto non una casa, un palazzo intero.
In secondo luogo, il decreto dovrà essere convertito in legge se dovrà avere valore permanente. Sarà così? Terminato il periodo di valenza del decreto cosa accadrà? Chi vigilerà sulla conversione? La maggioranza? L’opposizione? Il sindacato stesso.
Forse la migliore vigilanza la dovranno fare tutte le lavoratrici e i lavoratori, i disoccupati, i precari, chiunque è in condizioni di disagio sociale e anche chi non lo è ma deve sostenere una lotta di classe che oggi vince “per decreto” ma che deve poter continuare a vincere per spinta propulsiva di massa, per coscienza condivisa e non sulla base della costrizione patita da un governo che rimane sempre e comunque espressione di una determinata classe sociale.
Il mancato ricorso al voto, del resto, da un lato è positivo perché scongiura ciò che i quesiti volevano abrogare; dall’altro è negativo perché impedisce alla popolazione di esercitarsi civicamente in una assunzione di consapevolezza in merito alle due problematiche esistenti: voucher e vigilanza sugli appalti.
Quanti cittadini sono consapevoli di ciò di cui si parla? Quanti giovani sanno di cosa si tratta e perché il governo Gentiloni evita i due referendum?
Queste sono le domande principali che non vengono aggirate dal tentativo di tenere buona la folla, di non agitare le acque… come ha detto il premier: “Non è il momento di dividere il Paese”. Leggiamo la frase così: “Non è il momento di considerare nuovamente una presa di coscienza popolare su temi che possono essere lasciati passare in sordina.”.
Intanto, oggi, incassiamo questa vittoria. Ma attenti che non diventi una “vittoria di Pirro”…
MARCO SFERINI
18 marzo 2017
foto tratta da Pixabay