Alcuni riferimenti e citazioni da Facebook e dalla Costituzione della Repubblica (non in ordine di importanza…):
- «Sono rimasta basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania, che con motivazioni incredibili (‘le caratteristiche fisiche del migrante, che i cercatori d’oro in Tunisia considerano favorevoli allo svolgimento della loro attività’) rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto»
GIORGIA MELONI, da Facebook - «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge»
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, articolo 10
- «La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’Autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge»
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, articolo 13
Dell’intero scritto che Giorgia Meloni ha affidato alla sua pagina Facebook per far sapere il pensiero suo e del governo sulla decisione del Tribunale di Catania in merito al fermo di quattro migranti nei CPR istitutiti dal famigerato Decreto “Cutro“, la frase che più celebra la volontà di andare allo scontro con la magistratura è l’ultima della citazione di cui sopra.
Tralasciamo per un secondo il fatto che nessun essere umano è “illegale“, se non quando lo dichiara tale un pregiudizio ideologico-politico che si traduce in normativa vigente. Tralasciamo per un attimo pure il fatto che la Presidente del Consiglio citi un passaggio della decisione della giudice che fa riferimento a dichiarazioni rese dai migranti e le riporta fedelmente per motivare il tutto.
Quello che rimane del post di Meloni è l’antica, mai sopita, ed oggi tornata prepotentemente in auge, avversione per l’equipollenza tra il potere esecutivo e quello giudiziario, nonché nei confronti dell’indipendenza reciproca che questi due, dei tre poteri dello Stato, dovrebbero preservarsi a vicenda in un delicato equilibrio di competenze e di prerogative affidate loro dalla Costituzione della Repubblica.
Nessun governo viene “eletto“. I modi di dire finiscono con l’andare oltre la loro precipua limitata osservazione metaforica o interpretativa. Se qualcuno, per semplificare, un giorno ha dato avvio alle affermazioni comuni per cui un governo è “eletto dal popolo“, piuttosto che “nominato” dal Presidente della Repubblica sulla base della composizione delle nuove Camere dopo il voto, ha fatto un cattivo servizio al linguaggio giuridico, all’interpretazione diffusa dello stesso e, a quanto pare, è servito soltanto positivamente per un tipo di politica che intende strumentalizzare quel che gli capita sotto mano.
Il governo, pertanto, non è eletto, ha origina da una maggioranza parlamentare che, un tempo, si sarebbe dovuta formare in seno al Parlamento, dopo un voto che, pur non essendo più proporzionale, lasciava un minimo margine di azione nella composizione dell’arco di sostegno al nuovo esecutivo.
Da decenni, ormai, le maggioranze vengono preconfezionate, precostituite e date in pasto alle masse che le utilizzano come una palla in una partita di tennis in cui vige la regola dell’alternanza e dell’equivalenza soprattutto in tema di materie economiche e di sostenibilità di un liberismo che deve compatibilizzare i bisogni crescenti di domanda di giustizia sociale, anche se proveniente da larghe fasce della popolazione prive di una vera coscienza di classe.
Giorgia Meloni può permettersi di attaccare la democrazia repubblicana, di considerare la magistratura come una forma – sostanza ostile alle politiche del governo, proprio perché il retroterra storico-politico-inculturale di questo Paese è pieno di esempi lampanti di attacchi di ministri, presidenti del Consiglio e alti dirigenti di partito a qualunque ambito di difesa della Legge, del Diritto, della legalità e, quindi, della Costituzione che è la norma a cui tutte le altre si uniformano (e si devono uniformare).
La giudice di Catania non ha fatto altro se non il suo dovere: applicare le normative comunitarie e costituzionali nei confronti di un caso che le è stato sottoposto e che, in tutta evidenza, riguardando un decreto già oggetto di pesanti critiche da parte di molti accademici e studiosi del diritto, era presumibile che rientrasse nella legislazione comunitaria e nei dettami costituzionali, contraddicendo quindi le norme imposte dall’esecutivo delle destre.
Se la questione, da un punto di vista procedurale, andrà avanti con un legittimo ricorso del ministero dell’Interno e con una nuova decisione in merito da parte della Corte di Cassazione, quello che interessa qui è sottolineare non la straordinarietà degli attacchi di Meloni e Salvini ai giudici, ma il loro rinnovarsi anche in una legislatura in cui, in teoria, la fase primordiale e poi quella di espansione del berlusconismo pareva essersi esaurita.
Da molte parti, giornalisti e teorici della nuova destra di governo hanno provato a spiegarci che questo governo avrebbe considerato una riforma della giustizia in chiave garantista e che avrebbe trattato tutte e tutti in punta di diritto e non di nuovo attacco alla magistratura.
Non che ci si fosse fatti grandi illusioni in merito: le destre perdono i leader ma non il vizio di tentare comunque una trasformazione delle istituzioni democratiche in qualcosa che vada oltre la democrazia stessa, che si avvicini ad una forma presidenzialista in cui il governo sia il centro delle attività della Repubblica e non più il Parlamento.
Il disequilibrio dei poteri è nella teorizzazione destroide, sovranista, postfascista e populista di uno Stato in cui i giudici siano condiscendenti verso il potere e non soggetti soltanto alla Legge. Siamo sempre stati ai limiti (ma davvero solo ai limiti?) dell’eversione contro la Repubblica ad ogni salita a Palazzo Chigi delle destre berlusconiane prima e salviniane e meloniane poi.
L’attacco portato dalla Presidente del Consiglio è di una gravità inaudita e non lascia spazio a dubbi: la maggioranza di governo, il governo stesso hanno intenzione di aprire un nuovo fronte contro la stabilità dei poteri, contro l’indipendenza dei giudici, separandone le carriere, stabilendo il principio che la giustizia non può contraddire l’azione dell’esecutivo e che, quindi, ogni sentenza è giusta se non mette un freno ad una legislazione che segue un principio politico e che, quindi, perde il carattere di necessaria terzietà ed universalità che la deve invece contraddistinguere.
La giudice Iolanda Apostolico non ha stabilito un principio giuridico di sé e per sé, ma ha applicato la normativa vigente superiore alle Leggi ordinarie che, lo sanno per primi gli studenti di giurisprudenza prima ancora che esimi costituzionalisti e ministri di governo, sono subordinate tanto alla Carta del 1948 quanto al Diritto dell’Unione Europea (articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/UE).
La pregiudizialità del governo nei confronti della magistratura la si ritrova proprio tutta qui: nell’esaminare il dispositivo emesso dal Tribunale di Catania che, molto semplicemente, esamina un caso specifico e decide che, proprio in base all’articolo 13 della Costituzione, un regime di restringimento della libertà personale contraddice il dettato giuridico massimo e, pertanto, è illegittimo.
Un governo che veramente avesse a cuore la democrazia repubblicana dovrebbe essere contento del fatto che la magistratura ha riscontrato in un suo provvedimento un elemento che rischia di ledere i diritti dei cittadini e, quindi, intaccare nel suo complesso l’impianto di tenuta della socialità, della comunità tanto locale quanto nazionale.
Invece Meloni e i suoi ministri ritengono che vi sia una parte della società italiana, della politica e della magistratura che intende favorire il fenomeno dell'”immigrazione irregolare“, facendo entrare nel Paese persone che sono quindi “illegali” e che devono essere se non proprio respinte dai nostri confini, almeno trattenute negli appositi centri creati, in cui si finisce, anche se si chiede asilo, se non si pagano cinquemila euro di cauzione…
La liberazione del giovane tunisino, in virtù della decisione del Tribunale di Catania, stabilisce un antefatto giurisprudenziale in merito. Quel provvedimento, che tratteneva il ragazzo nel centro di Pozzallo, non è stato scritto rispettando i crisi delle norme superiori, non è uniforme al diritto costituzionale e comunitario. Quel provvedimento è il frutto di una ideologizzazione perversa del problema delle grandi migrazioni, di una loro traduzione in termini nazionalisti e identitari, di una xenofobizzazion di eventi che oggettivamente non sono contenibili entro gli schematismi dell’etnocentricità italica.
Il rischio è che la controversia che il governo ha inteso aprire con la magistratura, che dal canto suo continua il suo lavoro cercando di sottrarsi al terreno scivoloso su cui vorrebbero trascinarla gli esponenti della maggioranza, sia la prima parte di una tragedia che ci porti ad essere spettatori di processi involutivi al pari di quello che è avvenuto in Ungheria o in Polonia. Paesi governati da esponenti di una destra che piace molto ai postfascisti di casa nostra.
Varsavia e Budapest sono arrivati ad un passo dal porsi fuori dall’Unione Europea proprio per il mancato rispetto dell’indipendenza della magistratura nei confronti degli altri poteri statuali; ed anche per aver, in questo modo, messo in discussione una serie di diritti sociali, civili ed umani che non lasciano perettono la leggittimità del dubbio: una uguaglianza formale davanti alla Legge in quegli Stati è difficilmente riscontrabile.
Chi appartiene a determinate “minoranze“, subisce una sorta di dittatura della maggioranza. Se non dirattamente popolare, senza tema di smentita da parte dei governi in carica.
La destra italiana lavora ad un cambiamento politico che è mutamento culturale ed antropologico, che si riverbera in molti ambiti della vita quotidiana: la considerazione del migrante come un essere umano sottoposto ad una particolare legislazione restrittiva, che addirittura pone una cauzione come riscatto della propria libertà (sancita dall’articolo 13 della Costituzione), è parte di un discorso più ampio che intende la nazionalità italiana come elemento primordiale, di primazia, di pregiudizio positivo, di privilegio esclusivo.
L’europeismo delle destre è utile solo al compromesso su una stabilità economico-finanziaria che guarda alla tutela delle imprese e dimentica il lavoro in genrale, quello poverissimo, quello parcellizzato e precarizzato all’ennesima potenza. Per il resto, Meloni e i suoi ministri si fregiano di un nazionalismo moderno che fa il pieno di una classificazione dell’umanità a seconda delle provenienze, dell’origine in più sensi e in più modi di intendere.
E lasciano, per l’appunto, intendere che questa elaborazione delle differenze sia il più obiettivo dei quadri possibili, necessariamente da normare con decreti che ostacolano dinamiche globali che si riversano inevitabilmente anche sul nostro Paese. L’attacco alla magistratura è l’ultimo anello di questa catena di prevaricazioni e di presunzione prosopopaica: il governo deve avere sempre ragione. Come sostenevano i seguaci di quel tale che ha portato l’Italia alla rovina dopo vent’anni e più di spietata dittatura.
MARCO SFERINI
3 ottobre 2023
foto: screenshot ed elaborazione propria
Post scriptum:
quelle che avete letto sono considerazioni politiche che possono sembrare banali e inutili se paragonate alla sofferenza immane di chi oggi è un migrante che proviene dall’Asia, dal Medio Oriente o dall’Africa.
Sono vittime di un mondo che respinge, che distingue per il colore della pelle, per l’origine, per come si approda, per come si arriva, per come ci si veste, per come si sopravvive, ma non per come si muore, per come si rischia di morire, per come si annega, per come si sopravvive se si tocca terra dopo giorni di traversate nel Mediterraneo, dopo settimane di deserto, di detenzione in lager africani, di violenze, torture, stupri e rapine.
Quegli appunti politici possono apparire banali e scontati, eppure sono necessari. Perché tutti dobbiamo continuare a parlare, scrivere e diffondere una indignazione che, tra le tante forme di lotta, è un modo per garantire la sopravvivenza della critica, del dissenso, di una empatia che ispiri una nuova politica. Laica, democratica, repubblicana, costituzionalmente libera e libertaria.
Queste parole, una per una, e tutte nel loro insieme, sono dedicate alle 368 vittime del 3 ottobre 2013, sulla spiaggia dei Conigli a Lampedusa, ed a coloro che soffrono e muiono a causa di tutto ciò.