Il mix esplosivo è pronto ad esplodere o, quanto meno, è in fervente preparazione: tutte le contingenze del caso si uniscono a loro modo, si intersecano, si rendono forti tenendosi in equilibrio su un “asse” simile a quello che Mussolini citò per la prima volta nel 1936/1937 quando i rapporti tra Italia e Germania iniziavano a conoscere avvicinamenti tanto in politica estera (invasione dell’Etiopia e sostegni comuni ai fascisti spagnoli di Francisco Franco) quanto in una visione comune della società nei rispettivi paesi.
Questa volta però l'”asse” non è tra due Stati con la esse maiuscola ma tra tanti stati interni ad uno Stato: il nostro, l’Italia.
L’asse che unisce ignoranza, pregiudizio, odio, crudeltà, apatia sociale, antipolitica, qualunquismo, sovranismo e derivati: razzismo, xenofobia, omofobia, antisemitismo, antiziganesimo e, purtroppo, chi più ne conosce e ne riscontra, ne metta, ne aggiunga… La lista è tristemente lo specchio di una Italia imbruttita dal guardingo sospetto che la minaccia alle nostre esistenze, materiali, morali e civili (parola che suona come una beffa beffardamente indicibile oggi…) provenga da ciò che è di provenienza democratica, “di sinistra“, che esiste dal lungo corso di un Novecento fatto di orrori e di crimini contro quella umanità di cui oggidì facciamo tutte e tutti parte.
E’ cambiata dunque la morale su cui si regge la nostra Repubblica? E’ cambiata forse la Costituzione che esprime valori che sono apertamente in contrasto con le parole dei sovranisti e delle destre estreme? No, stando a normative e testi del diritto italiano.
Ciò che è venuta meno è l’empatia tra popolazione e istituzioni, per cui coloro che rappresentano forme che risalgono anche ad un recente passato ma sono “democratiche” e “di sinistra” (o presuntamente tali per giornali, radio e Internet) vengono visti come difensori dei nemici degli italiani, visto che la ricchezza sociale è pochissima e gli abili strateghi dell’odio a piene mani hanno saputo indirizzare la povera coscienza di milioni di italiani verso la poverissima consapevolezza che il nemico è il povero rispetto ad un altro povero e che di più ancora lo è il migrante, colui che proviene da luoghi semi sconosciuti: guerra o non guerra, fame o non fame, il migrante, il barbone, il rom e il sinti sono i nemici degli italiani perché non viene riconosciuto loro il diritto di far parte della comunità italica.
Essi sono estranei al motto “prima gli italiani“, nonostante un barbone, un rom o un sinti e persino un migrante possano avere tranquillamente la cittadinanza italiana. I primi perché forse italiani prima e più di noi perché girovaghi o stanziali nella Penisola da secoli e secoli. I secondi perché, dopo molti anni, sfuggendo magari ai percorsi di disastrosa integrazione promossi dai governi della Repubblica, sono riusciti a creare attorno a sé un equilibrio singolare e sociale che gli permettesse di sentirsi parte di questo Paese.
La congiuntura dei pregiudizi, dell’odio e della cattiveria gratuita, poniamo anche che siano tutti anti-sentimenti (perdonatemi, ma io attribuisco alla parola sentimento un “sentire” e per me il “sentire” è un concetto positivo e non fatto di respingimento, di esclusione, di separazione) originati dalla crisi economica e dalla forzata sopravvivenza di tanti milioni di italiani, sta facendo un salto di qualità e diviene, giorno dopo giorno, più aggressiva.
Ad Alessandria salgono su un autobus una madre con una carrozzina e due bambini: una sgambetta e brama di sedersi. Ci sono alcuni posti liberi. Uno è occupato dalle borse di una signora italianissima che rimbrotta la bimba: “Tu qui non ti siedi!“. Le dice proprio così. Se avesse avuto la pelle bianca, la signora (signora?) avrebbe spostato le sue borse, le avrebbe accucciate ai propri piedi e avrebbe detto: “Vieni piccola, siediti qui“, magari con una dolcezza da nonnina di campagna, quella tipica delle fiabe.
Ma anche nelle fiabe la dolcezza delle nonnine spesso nasconde le fattezze di una strega malvagia pronta a mettere in atto un sortilegio malefico.
Qui si tratta di razzismo, di cattiveria veramente gratuita, di odio senza alcuna ragione: qualcuno o qualcosa deve pur aver convinto quella “signora” a considerare i “neri” persone indegne di sederle accanto… E di certo non sono stati i discorsi di noi “buonisti” (orgogliosissimi di esserlo) di sinistra, di noi comunisti.
Poi, sempre nella tremenda giornata di ieri, accade che alla senatrice Liliana Segre debba essere affidata una scorta, viste le tante minacce di morte e il vomitatoio internettiano di odio che ogni giorno le si riversa addosso: oltre 200 messaggi quotidiani per dirle ricordarle la colpa di essere sopravvissuta all’orrore del Terzo Reich, alla deportazione, allo sterminio della sua famiglia, per essere solamente ebrea, per portare tatuato sul braccio il numero che le SS le affibbiarono una volta ad Auschwitz.
Una ragazzina uscita viva (si fa per dire…) dall’inferno concentrazionario nazista, è costretta nell’Italia repubblicana, costituzionale e democratica (si fa per dire…) del 2019 a vivere sotto scorta perché minacciata da squallidi connazionali che la odiano e la disprezzano per quale motivo? Per essere ancora la prova vivente di ciò che è stato, di quello che ha rappresentato l’ideologia del nazionalsocialismo, la Weltanschauung hitleriana che, nel proposito di creare la salvezza per il popolo tedesco minacciato dal gigante bolscevico e dalle plutocrazie occidentali, aveva, dal 1923 in avanti, costruito l’idea sempre più diffusa del “lavorare incontro al Führer“: quindi disporsi non a ricevere ordini ma a diventare ancora più passivi nel rimanere apparentemente liberi di agire, quindi attivamente presenti nella società tedesca di allora.
“Lavorare incontro al Führer” significava fare ciò che oggi milioni di italiani fanno nei confronti dei sovranisti: agire sapendo di interpretare correttamente le parole e, soprattutto, le intenzioni di chi diffonde parole di intransigenza, di esclusione, di discriminazione e lo fa con il candido sorriso di tanti autoscatti sulla sua persona, mandando “bacioni ai rosiconi“, con una sfrontatezza pari alla violenza dei comizi che tiene in tutta Italia.
Non c’era bisogno nella prima parte della disonorevole vita della Germania nazista che molti ordini partissero da Berlino per indirizzare la politica del partito prima e del governo hitleriano poi: bastava aver inoculato nella popolazione l’indirizzo comportamentale secondo cui ciò che andava fatto era solo quello che realizzava le parole dello studente d’arte, debosciato, perdigiorno; del caporale che per poco non ci rimise la vista a causa di quella guerra che tanto voleva per realizzare lo “spazio vitale” del popolo tedesco.
Vale la pena domandarsi se anche oggi si sta concretizzando in Italia un comportamento se non eguale, almeno simile: una forma di dedizione tale, di adorazione così profonda per un nuovo condottiero che, con tutti i crismi della modernità e dell’adattamento a questa di idee avverse alla democrazia costituzionale, non si propone come sovvertitore delle leggi o del sistema ma che lancia messaggi espliciti: di primazia, di esclusivismo, di esclusione da un lato e di privilegio dall’altro.
“Prima chi ha bisogno?“, macché. “Prima gli italiani“. Per quale ragione? Per la semplice ragione che qualunque italiano privo di un minimo senso critico, è pronto a liberarsi della propria sofferenza affidandosi non ad un lavoro solidale con tutti coloro che, indipendentemente dall’etnia e dalla provenienza, patiscono la sua stessa disgraziata condizione di vita; ma semmai è pronto a farlo in nome dell’appartenenza nazionale che si trascina dietro tutto il peggio dell’armamentario ideologico di un autoritarismo carsicamente strisciante nell’oggi che diventa prestissimo domani…
Se questi figuri lavorano per far andare la popolazione “incontro” ai loro disvalori, noi dobbiamo lavorare affinché si vada incontro intanto alle fondamenta della Costituzione, ad un nuovo rapporto tra istituzioni e popolo, affinché torni la vergogna di dirsi fascisti.
Non bisogna diventare come loro. Non bisogna odiare. Bisogna essere fermi, severi, intransigenti nel mantenere i diritti costituzionali, i diritti naturali… e lottare, ognuno di noi nell’ambito in cui vive, per estenderli e per farli radicare come nuove e antiche fondamenta della Repubblica.
Il governo deve fare la sua parte: sciolga tutte le organizzazioni e i partiti di destra che si richiamano direttamente o indirettamente al fascismo, ridando così alla libertà di espressione la sua vera natura. Non quella di essere abusata in nome del disprezzo della medesima, ma quella di essere esaltata come forma di differenza fondata sul completo rispetto delle peculiarità, della dialettica nel contesto repubblicano e antifascista, democratico e sociale.
Liliana Segre e la bimba di Alessandria, così come i tanti episodi di intolleranza e di discriminazione, da quelli in ambito calcistico a quelli che riguardano la libertà sessuale, la libertà di desiderio e di amare chi si vuole senza il dito puntato del giudizio dei protettori della “famiglia tradizionale“, sono la minaccia principale per il nuovo “asse” sovranista che va dagli ex secessionisti e odiatori del Sud fino ai neofascisti più conclamati, proiettati nel “terzo millennio” senza che abbiano minimamente compreso la disumanità fuoriuscita dall’ultimissima parte del secondo.
MARCO SFERINI
8 novembre 2019
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