Diciamoci la verità. Atene, come già successe in altra epoca e in condizioni ancora più tragiche a Praga, è stata lasciata sola, sotto i colpi della Troika. Nel momento più drammatico della lunga tragedia greca, quando Wolfgang Schaeuble indicava al paese ellenico la porta dell’uscita dall’Unione europea, né le sinistre o gli pseudocentrosinistra di allora, che occupavano posizioni di potere e di governo, quali quelli rappresentati da Hollande e da Renzi, mossero un dito per darle una mano. Persino il refolo delle pure chiacchiere si essiccò. Altrove vennero meno alcune speranze che parevano fondate, come un’affermazione vittoriosa alle elezioni da parte di Podemos. Anche il movimento europeo di solidarietà, che aveva giustamente eletto la Grecia a simbolo delle persecuzioni del neoliberismo e dell’austerity, si divise.
Si divise fra chi credeva che l’uscita dalla Ue fosse la chiave della rinascita e chi con ragione, ma purtroppo non sempre con la dovuta energia, si preparava a reggere tempi lunghi, burrascosi e totalmente incerti. Da qualche giorno il clima sta cambiando. Poiché gli opinion maker sono in realtà più umorali e volatili dei mercati finanziari, ci tocca pure leggere che l’autorevolissima rivista statunitense Foreign Policy auspica il premio Nobel per la pace per Alexis Tsipras, dopo il positivo compromesso sulla questione della Macedonia, voluto e raggiunto a tutti i costi dal governo greco per ridurre instabilità e conflittualità nei Balcani. Forse gli americani avanzano un simile auspicio perché sanno, per esperienza diretta, che quel premio Nobel non ha mai portato fortuna a chi lo riceve.
Ipocrisie e code di paglia a parte, resta il fatto che l’altra notte all’Eurogruppo, dopo sette e più ore di aspra discussione, si è raggiunto un compromesso in sostanza positivo per la Grecia. Un risultato ottenuto malgrado la solitudine e l’accanimento dei più rapaci tra i creditori e i governi della Ue.
Il nocciolo è rappresentato dal rinvio di 10 anni sul rimborso di circa 97 miliardi di euro sul debito, accompagnato, a quanto risulta, da altri dieci anni nei quali scatterà il “periodo di grazia”, ovvero non pioveranno sanzioni in caso di difficoltà nel ripagamento del debito. Da subito la Grecia riceverebbe un completamento degli aiuti pari a 15 miliardi, di cui però 5,5 saranno destinati al servizio del debito, mentre i restanti 9,5 formeranno una sorta di garanzia per un cuscinetto finanziario di 24 miliardi per i prossimi due anni. In sostanza i greci non saranno obbligati a ricorrere immediatamente e in condizioni ancora di debolezza al mercato finanziario.
Naturalmente nessuno regala niente alla Grecia. Anzi. Dopo averle succhiato il sangue per anni, non si tratta altro che di una parziale restituzione. Il denaro proviene infatti dai profitti che la Banca centrale europea ha maturato sui titoli greci. Del resto, rispondendo a una interrogazione parlamentare, il governo federale tedesco ha reso noto l’altro giorno che i profitti netti per la Germania derivanti dagli “aiuti” alla Grecia ammontano a 2,9 miliardi di euro. La geremiade che i tedeschi avrebbero pagato per i poveri greci «deve ora finire», ha giustamente commentato Gregor Gysi, presidente del Partito della sinistra europea. Com’era ovvio tutto ciò sarà sottoposto ad una «procedura di sorveglianza aumentata» da parte degli organi europei per evitare che il governo greco sgarri.
Ma proprio su questo pare sia avvenuto lo scontro più acceso sul fronte dei creditori, con differenti posizioni anche tra i vari governi. C’è chi voleva, come i soliti tedeschi, un braccialetto ancora più stretto. Ma ha prevalso un barlume di lucidità, non certo dettato da improvviso spirito umanitario (pietà l’è morta e da tempo), ma dalla ovvia considerazione che eccessivi controlli avrebbero aumentato la diffidenza dei creditori, anziché tranquillizzarli. Se i tagli all’indebitamento nominale non sono stati presi in considerazione, neppure sono stati esclusi in via definitiva, visto anche le perplessità del Fmi sulla sostenibilità a lungo termine del debito greco.
La verifica sul suo stato verrà comunque fatta nel 2032. Nella sua sobria dichiarazione il ministro delle finanze Euclid Tsakolotos ha fatto riferimento alle sofferenze del popolo greco. Non sono finite, ma ora s’intravede la strada per uscirne. Se nel 2009 si registrava un deficit del 15% e una (de)crescita del -4,3%, nel 2017 si è registrato un +1,4% nella crescita con un attivo di bilancio di quasi un punto e un aumento di più di 200mila posti di lavoro negli ultimi mesi, in un’Europa che non fa miracoli. Non c’è da fare capriole. I sacrifici ci sono stati eccome. Chi ha subito il calo della propria pensione lo sa bene. Ma il governo di Tsipras in questi anni ha cercato sempre, appena si è aperto uno spiraglio, di alleviare il peso per gli ultimi della società. Certamente la polemica a sinistra continuerà.
Varoufakis volge tutto in negativo e twitta che si è semplicemente allungata l’agonia. Faremmo meglio ad imparare la lezione. Nessuno deve essere lasciato solo. La questione del debito non è solo greca o italiana, ma riguarda gli equilibri e il futuro dell’Europa e a tale livello va complessivamente affrontata.
ALFONSO GIANNI
foto tratta da Wikimedia Commons