L’esito delle elezioni americane rappresenta, prima di tutto, la sconfitta dei sapientoni rappresentanti di un “establishment” autoconsideratosi eterno e rivelatisi , invece, incapaci di comprendere la realtà di disperazione e paura che agita gran parte dei soggetti sociali che i padroni del vapore costringono a vivere male in questo triste Occidente e addirittura nella capitale dell’Impero.
Sembra anche fallita anche l’operazione di portare il simbolo di una delle contraddizioni più stridenti che agitano la vita del mondo come quella di genere, esclusivamente nell’ambito del post – materialismo delle “pari opportunità”.
“Pari opportunità” che non esistono nella realtà della dura fatica imposta dalle discriminazioni quotidiane.
In una situazione disperante e disperata riprendono il loro posto le fratture “ principali” che frettolosamente erano state considerate obsolete e la vecchia geopolitica.
Utilizzo capitalistico della tecnologia e globalizzazione restano, nel centro del governo dei meccanismi del ciclo storico, privi “ancilla” , della politica al loro servizio.
Una situazione sicuramente più difficile, ma forse più chiara da affrontare, almeno dal punto di vista di chi si ostina a pensare, proporre, militare per una alternativa di società.
Uno schematico raffronto con le elezioni precedenti 2012 (Obama – Romney) e 2008 (Obama – McCain): da questi dati emergono alcuni elementi da tenere in grande considerazione al fine dello sviluppo d’analisi futuro:
- La già segnalata assoluta valenza della formula elettorale al fine della determinazione della struttura del sistema politico di un Paese e non soltanto della sua forma istituzionale;
- Il segnalarsi della crescita dell’astensionismo come costante all’interno dei turni elettorali in tutti i Paesi indipendentemente se a struttura bipartitica e collegi o a struttura multipartitica e doppio turno oppure altri metodi di calcolo della formula elettorale. Nell’occasione specifica degli USA l’astensione è risultata comunque inferiore, nell’occasione di martedì scorso, rispetto a quella fatta registrare tra le elezioni del 2008 e quelle del 2012, colpendo quasi esclusivamente il campo democratico. Come dire che la delusione del primo Obama è stata più forte di quella dei sostenitori di Sanders che hanno evidentemente abbandonato Hillary Clinton al suo destino;
- In questo quadro si può parlare ancora una volta di elezione in discesa. Prevalgono delusione e sfiducia soprattutto nelle giovani generazioni e nei ceti più disagiati (non si esamina qui la vicenda relativa alla candidatura Sanders che meriterebbe un approfondimento specifico ben più analitico di quanto non si stia leggendo in queste ore).
Questi i dati (il conteggio 2016 è al 99%, mancano i dati dell’1% dello scrutinio di alcuni stati)
I democratici sono passati da 69.498.516 voti ottenuti da Obama 2008 ai 62.615.406 di Obama 2012 con un calo di 6.883.110 voti. Hillary Clinton nel 2016 ne ha avuti 59.798.978. Un decremento di ulteriori 2.816.428. In totale negli 8 anni i democratici hanno subito un salasso di 9.699.538 voti. Si può affermare che il vero punto di caduta del tracollo democratico si era già avuto tra la prima e la seconda elezione di Obama.
Ciò nonostante i democratici hanno mantenuto la maggioranza relativa, sia pure di stretta misura.
I repubblicani infatti in tutte e tre le tornate elettorali prese in esame si sono limitati a variazioni molto parziali rispetto al loro normale plafond (si scrive che alla fine il GOP si sia ricompattato su Trump allo scopo di mantenere il seggio lasciato vacante dalla morte di Scalia alla Corte Suprema).
Nei numeri : McCain, 2008, 59.948.323 voti; Romney 2012 59.142.004 voti con un calo di 806.319 voti; Trump 2016 59.594.262 voti, un incremento da Romney di 452.258 voti con un calo da McCain di soli 354.061 voti ad indicare la effettiva tenuta dell’elettorato repubblicano.
Nel 2016 si è registrato anche il calo di consensi dei candidati “altri”, registrando quindi che la candidata verde Stein non ha intercettato il voto dei sostenitori di Sanders delusi dalla mancata candidatura (le percentuali più alte della Stein oscillano attorno all, 1,4% a New York raggiungendo il 2% soltanto nel Maine, in una serie di altri stati si va dallo 0.8% allo 0,3%).
Nei numeri: nel 2008 i candidati altri raccolsero 1.316.749 voti; incrementati quattro anni dopo fino a 1.969.004 e bruscamente ridimensionati martedì scorso fino a 802.169.
In conclusione nel 2008 i voti validi furono : 130.763.588; nel 2012 , 123.726.414; nel 2016 120.195.359.
Tra il 2008 e il 2016 si sono così persi 10.568.229 voti, dei quali 9.699.538 dai democratici, puniti quindi dall’astensione.
Non è stato un trionfo di Trump, ma una vittoria dovuta al sistema elettorale e all’astensione della parte avversa (astensione che ha colpito anche i possibili candidati “terzi” nel ruolo di potenziali interditori).
Questa, in sostanza, una prima bozza d’analisi sui numeri al riguardo delle elezioni americane del 2016 che indicano come molte indicazioni emerse in un primo tempo debbano essere ridimensionate e valutate meglio.
FRANCO ASTENGO
redazionale
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