Trump-Netanyahu, lo Stato palestinese è solo una «etichetta»

Il presidente americano e il premier israeliano abbandonano, di fatto, la soluzione dei Due Stati per cercare altre "possibilità". I palestinesi: non accetteremo un apartheid legalizzato. Il capo della Cia Mike Pompeo ricevuto alla Muqata da Abu Mazen

Lo Stato palestinese indipendente, la soluzione dei Due Stati, sono formule del passato. Ciò che un funzionario dell’Amministrazione Usa aveva annunciato ieri prima dell’incontro tra Donald Trump e Benyamin Netanyahu – gli Usa non cercheranno più di dettare i termini di un eventuale accordo di pace insistendo sulla creazione di uno Stato palestinese accanto a quello d’Israele ma sosterranno qualunque soluzione le due parti concorderanno – è stato confermato punto per punto dal presidente americano e dal premier israeliano. Netanyahu, durante la conferenza stampa, assieme a Trump, tenuta poco dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, ha detto che non intende negoziare con «etichette», come la soluzione dei Due Stati. «Voglio – ha affermato – trattare della «sostanza». Non ha fatto una marcia indietro ufficiale sul riconoscimento del diritto dei palestinesi ad essere indipendenti, come gli chiedono i suoi ministri. Ha però chiuso nel cassetto il principio dei Due Stati, Israele e Palestina, proclamandosi aperto a qualsiasi «soluzione».

Soluzione che, ha insistito, dovrà contemplare necessariamente due punti: il riconoscimento palestinese di Israele quale Stato del popolo ebraico e la sicurezza di Israele ad ovest del fiume Giordano. Qualche istante prima Trump aveva detto «Che la soluzione sia a uno o due Stati, quella che loro preferiscono», l’importante è che sia pace. Con poche parole il presidente Usa ha messo a fine al sostegno che per decenni i governi americani, repubblicani e democratici, avevano dato alla soluzione dei Due Stati. Certo, un sostegno ambiguo, mai da mediatori imparziali e sempre schierati dalla parte degli alleati israeliani. Però era una posizione ufficiale, ribadita più volte dopo gli Accordi di Oslo del 1993 tra Israele e palestinesi. Ora è acqua passata.

Sulle colonie israeliane Trump ha sorvolato, limitandosi ad affermare che preferirebbe che il governo Netanyahu «fermasse la costruzione degli insediamenti (coloniali) per un po’». Secondo il presidente Usa, gli israeliani dovranno mostrare un po’ di flessibilità. Per lui i responsabili di tutto non sono gli occupanti ma proprio gli occupati, i palestinesi, che dovranno sbarazzarsi dell’«odio» verso Israele che insegnerebbero ai ragazzi sin dai primi anni di vita, anche nelle scuole .Sullo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, Trump ha spiegato: «Mi piacerebbe che succedesse, seguiamo questa possibilità con grande attenzione». Gioiosi i commenti in Israele alle parole di Trump. «Una nuova era. Nuove idee», ha twittato il ministro Naftali Bennett, «Non c’è bisogno di un terzo Stato palestinese – ha aggiunto – dopo Gaza e la Giordania».

Preoccupanti le posizioni espresse dal presidente Usa anche sull’Iran e l’accordo sul nucleare. Israele, a suo dire, affronta «enormi problemi di sicurezza» a partire dalle «ambizioni nucleari dell’Iran», con il quale si è stretto «uno degli accordi peggiori che io abbia mai visto». Per questo, ha ricordato, la sua Amministrazione ha già imposto nuove sanzioni contro Tehran.

L’abbandono, di fatto, della soluzione dei Due Stati ha avuto tra i leader politici palestinesi l’effetto dell’esplosione di una bomba. «Non ha senso» ha detto Hanan Ashrawi del Comitato esecutivo dell’Olp, «spieghino con chiarezza di quale alternativa parlano. L’alternativa alla soluzione a Due Stati è o uno Stato unico con eguali diritti per tutti (ebrei e palestinesi, ndr) o l’apartheid». Analoghe le dichiarazioni del segretario generale dell’Olp Saeb Erekat che ha categoricamente escluso che i palestinesi possano accettare un apartheid legalizzato. In queste ore si fanno ipotesi sulla “alternativa” che Trump e Netanyahu hanno in mente. Con ogni probabilità il premier israeliano pensa, con l’aiuto degli Usa, di coinvolgere quei Paesi arabi (le petromonarchie) che dietro le quinte mantengono relazioni con Israele. Paesi che dovrebbero partecipare ai negoziati e imporre “la soluzione” ai palestinesi. Diverso il parere dell’analista Ghassan Khatib. «Trump e Netanyahu non hanno alcuna alternativa in mente perché sanno che i palestinesi non cederanno sui loro diritti» ha detto al manifesto Khatib «lavoreranno semplicemente per il mantenimento dello status quo. Israele continuerà le sue politiche di occupazione e colonizzazione con la copertura degli Usa».

Nella stanza dei bottoni della Muqata, il quartier generale dell’Anp a Ramallah non si sono registrati particolari movimenti. Abu Mazen non ha rilasciato, almeno fino a ieri sera, alcun commento. In quella stanza nei giorni scorsi il presidente palestinese ha però ricevuto per due volte in segreto il capo della Cia, Mike Pompeo. Secondo l’agenzia palestinese Maan sarebbero state esaminate le linee guide delle relazioni fra l’Anp e la Casa Bianca. Altri dicono che Pompeo a Ramallah ha ammonito Abu Mazen dall’interrompere la cooperazione di sicurezza con Israele.

MICHELE GIORGIO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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EsteriPalestina e Israele

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