Trump e quell'”estremista di sinistra” di Biden

Il ricorso all’enfasi è legittimo nei comizi elettorali, tanto più nelle convenzioni di investitura per il secondo mandato di un Presidente degli Stati Uniti d’America a cui non resta...

Il ricorso all’enfasi è legittimo nei comizi elettorali, tanto più nelle convenzioni di investitura per il secondo mandato di un Presidente degli Stati Uniti d’America a cui non resta altro, almeno sul piano della propaganda, se non aggrapparsi allo sparo più grosso possibile, alla cannonata da tirare in mezzo a tanti ragionamenti e a tanti tumulti che interessano la Repubblica stellata da mesi a questa parte.

Se la scelta fosse realmente tra Donald Trump è il pericoloso “socialista” ed “estremista di sinistra” Biden (così è stato recentemente appellato dall’inquilino della Casa Bianca), correrei anche io nelle Americhe per votare il candidato democratico. Traverserei l’Oceano in caravella, su una zattera, a nuovo o dentro un sottomarino ex sovietico a propulsione nucleare ma a navigazione silenziosa, come il caro vecchio “Ottobre rosso”, magari insieme a Sean Connery (a proposito… auguri al grande attore per i suoi 90 anni). L’aereo mi mette un certo timore… Ammesso di non incontrare quello più pazzo del mondo.

Sfortunamente sarebbe tutto inutile (e per fortuna… perché l’idea di passare sull’oceano a bordo di una sgangherata vecchia imbarcazione del ‘400 o su una zattera senza nemmeno il pallone Wilson come compagnia, mi getterebbe nel panico… Non parliamo poi della claustrofobia nella bara sottomarina ancorché socialista… con tutti i limiti politici del caso). Non sono un cittadino americano e mi limito ad osservare dalla cara vecchia Europa quello che accade negli States.

Ma soprattutto Joe Biden non è di sinistra, tanto meno è un socialista e nemmeno per idea è un pericoloso estremista anticapitalista o antiliberista. La raffigurazione trumpiana del candidato del partito dell’asinello è talmente grossolana da essere caricaturale. L’alternanza tra repubblicani e democratici non è tra conservatori di destra e riformisti di sinistra: muta, varia a seconda delle congiunture economiche e dei candidati alla presidenza che ci si trova innanzi.

Caso mai fosse stato Bernie Sanders a sfidare Trump, avrebbe avuto senso anche traversare a nuovo le acque del mare oceano anche solo per sostenerlo. In quel caso, non tanto il Partito Democratico americano, ma la campagna elettorale avrebbe preso una chiara connotazione anche ideologica, segnata dalla precisa linea di demarcazione che Sanders ha messo tra un riformismo liberista e uno invece sociale (che può meritare l'”accusa” di socialista).

Purtroppo Joe Biden è solamente la solita, classica facciata rispettabile di una democrazia che con “The Donald” ha visto alterare quell’equilibrio di alternanza storico. Biden è liberale in materia di diritti civili, liberista in economia, non meno imperialista di Trump sul fronte della politica estera.

Di crisi di coscienza sul “voto utile” sono sufficienti quelle italiane. Circa il loro grande paese, ne sono consapevoli anche i compagni del Partito Comunista degli Stati Uniti d’America (CPUSA). In una risoluzione del giugno scorso, hanno scritto:

«Il nostro partito ha detto fin dall’inizio che Trump rappresenta un pericolo fascista. E lavoreremo senza scuse per sconfiggere lui e tutto ciò che rappresenta. Il nostro obiettivo in questa lotta è l’unità sulle questioni. Il nostro scopo è aiutare a spostare l’equilibrio delle forze in una direzione più favorevole alla nostra classe operaia e al nostro popolo. Questa non sarà un’approvazione né dei candidati né dei partiti, e non sarà un’espressione di una politica del male minore. È un sostegno alla lotta sociale, che si organizza sul campo. Ed è quello che deve accadere sia prima che dopo le elezioni».

Ascoltando la chiusura della convenzione repubblicana,  è parso di sentire l’eco lontana delle parole di Berlusconi sui comunisti: per sembrare intransigente diga al pericolo socialdemocratico, rappresentato prima dal PDS poi dai DS e dal cattolicesimo di sinistra de La Margherita, poi dal PD, oltre ai comunisti veri (che il Cavaliere nero di Arcore disse pubblicamente di ammirare, quelli di Rifondazione «…che hanno il coraggio di dirsi tali e di fare il pugno chiuso e cantare “Bandiera rossa”»), le destre di allora disegnarono uno scenario simile a quello che la borghesia novecentesca intravide col “Biennio rosso“.

Allora era un poco più giustificato il timore dei padroni di veder finire la società in cui avevano sino ad allora prosperato. Al tempo in cui iniziava il berlusconismo, questo timore era pressoché inesistente: da un lato le forze socialdemocratiche, come il PDS/DS, erano pienamente compatibili al sistema capitalistico e ricercavano una via riformista simile a quella tracciata da Bernstein e molto ben descritta da Conrad Schmidt.

Un riformismo che decretava l’impossibilità di conquistare il potere per richiedere, come osserva criticamente Rosa Luxemburg nella confutazione delle tesi di Bernstein, «l’instaurazione del socialismo per mezzo solo della lotta sindacale e politica».

Tanto Donald Trump oggi, quanto Silvio Berlusconi ieri, avvertono la necessità di una contrapposizione netta con l’avversario, provando a trasformarlo in ciò che non è e che non pretende e non vuole affatto essere. Né Massimo D’Alema o Walter Veltroni, dopo la svolta della Bolognina e il Ventesimo Congresso del PCI, avrebbero pensato di essere ancora etichettati come “comunisti” da avversari socialisti o democristiani. Esisteva un certo “onore cavalleresco” anche in politica.

Poi, ben prima in Italia rispetto agli Stati Uniti d’America, la cosiddetta “morte delle ideologie“, teorizzata sulle macerie dei grandi partiti nati dal dopoguerra, ha trasformato veri e propri “paesi nel Paese” in sempre più ristretti centri di rappresentanza di poteri ben definiti, lontani dalle istanze e dai bisogni popolari e sociali.

Il cattolicesimo di base trovò una sua moderna ragion d’essere nel Partito Popolare Italiano per un certo periodo (almeno fino a che non divenne una delle correnti de La Margherita); mentre la socialdemocrazia vagò spaesata prima in alleanze progressiste e poi alla ricerca della formazione di un nuovo centrosinistra, vista la radicalizzazione dei poli opposti dovuta all’introduzione del sistema maggioritario.

Berlusconi poté, così, vedere comunisti un po’ ovunque: doveva vederli e additarli al grande padronato e al ceto medio come pericolo per i loro privilegi, per la tenuta economica delle loro aziende, dei loro redditi da capitale, da grande, medio e piccolo sfruttamento. Berlusconi non avrebbe potuto chiamare i diessini “socialisti” come fa Trump con Biden: da noi la parola “socialista” era divenuta sinonimo di moderatismo fin dagli anni ’70 e sarebbe stato come accusare gli eredi riformisti del PCI di essere realmente ciò che erano diventati. Dei socialisti.

Negli USA invece socialismo è lemma da dizionario che equivale a “comunista“, “bolscevico“, “estremista di sinistra“. Per l’appunto. Così Trump, spingendo l’acceleratore sulla contrapposizione netta tra la sua “Great America” contro quella pericolosamente socialista di Biden, cerca di ricompattare un elettorato disorientato dalla crisi pandemica, da quella economica e dalle tante tensioni sociali e civili dovute alla repressione poliziesca in molte parti del paese

La dicotomia all’ennesima potenza, la contrapposizione del tutto per il tutto. E’ il dettame di comportamento politico con cui Trump segnerà tutta la sua campagna elettorale presidenziale. Del resto, lo aveva scritto anche nell’incipit del suo discorso per la chiusura della convenzione repubblicana: «Mai nella storia gli elettori hanno avuto una scelta più netta tra due partiti, due visioni, due filosofie, due agende. Ho passato quattro anni per riparare i danni che Joe Biden ci ha inflitto».

La grande mistificazione del disagio sociale statunitense è iniziata e costringerà molti a schierarsi con il “meno peggio” esprimendo un voto che va oltre le idee: vorrebbe toccare le corde della coscienza con il “voto utile“. Probabilmente lo farà. Probabilmente servirà a mettere da parte l’eccesso del sovranismo trumpiano insopportabile non solo per i movimenti dei diritti civili come il “Black lives matter“, ma persino per le classi dominanti.

Ma l’utilità del voto si fermerà a quel punto. Non servirà mai ad aprire una stagione anche di timide riforme per i moderni proletari americani. Servirà, al massimo, a tenerli buoni mentre la potenza economica statunitense proverà ad espandersi sempre più nel gioco globale dei multipolarismo capitalista.

MARCO SFERINI

28 agosto 2020

foto: screenshot

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