Durante il G8 di Genova del 2001, Silvio Berlusconi passeggiava per Genova vicino alla “zona rossa” (non quella che siamo abituati a vivere oggi ai tempi del Covid, ma quella fatta di grate e blocchi di cemento per delimitare il perimetro dove si teneva la riunione dei potenti della Terra) e gli si avvicinò una signora. Il cavaliere la ascoltò: lamentava condizioni di vita misere e allora, per tutta risposta, compilò un assegno da un milione di lire e lo porse alla donna.
Il cavaliere, si sa, amava fare dono ai suoi ospiti internazionali di orologi preziosi. Ne regalò uno a Netanyahu che non portò molto bene ad un dipendente del governo israeliano, accusato di corruzione. Pare che mentre si trovasse per le vie di Napoli, sempre in visita istituzionale, gli si sia fatto d’appresso un uomo che, stringendogli la mano abbia notato il suo orologio: «Che bello, presidente!», «Ecco, è tuo», sembra abbia risposto l’allora capo del governo.
Aneddoti in parte gonfiati da un sensazionalismo giornalistico, in parte veri. Stabilire il confine tra enfasi e veridicità dei fatti non è mai facile in questi frangenti: i racconti sembrano descrivere il rapporto tra il feudatario e i vassalli, tra il valvassore e i valvassini, tra il signore e i sudditi. Il dono è dei potenti, del resto, è una concessione che si fa tanto quanto il perdono.
Lo insegna anche Oskar Schindler (Liam Neeson) allo spietato nazista Amon Goeth che dirige il campo di sterminio: il potere dell’assoluzione era degli imperatori che potevano persino – al tempo di Gesù Cristo – elevare allo stato libero un condannato a morte. Come abbia potuto farlo Ponzio Pilato, un semplice gubernator, non è molto chiaro ancora oggi, e rimane uno dei misteri sulla verità dei Vangeli canonici e sinottici che hanno affrancato i romani dalla colpa di aver arrestato e crocefisso il nazareno attribuendone le responsabilità agli ebrei.
Ma torniamo al punto: qui si parla di generosità e si spazia dalla solidarietà sociale a quella praticata singolarmente. Si va dalla magnanimità del potere all’elemosina del singolo verso il povero che si incontra ai bordi delle strade, dove dio muore spesso e volentieri, dove sembra non guardare, volgendosi altrove.
Qui si parla quindi di beneficenza anche. Quella fatta ai giorni nostri, dove un rapper simpatico, altruista e appunto generoso come Fedez la mette in pratica distribuendo i soldi raccolti dai suoi fan su una piattaforma internettiana, Twitch, a persone che ne hanno veramente molto bisogno. Mille euro che gli stessi suoi sostenitori avevano deciso dovessero essere destinati ad un rider, un senzatetto, un artista di strada, un cameriere o ristoratore, un volontario.
La differenza con l’assegno da un milione di lire, dato a tempi ormai lontani del G8, non è solo una quantificazione da cambio monetario tra vecchia divisa italiana e nuova divisa europea: lo stile è nettamente opposto. Non fosse che per un inciampo, uno stridore di gomme sull’asfalto che hanno rovesciato su Fedez una valanga di critiche: a consegnare i soldi è andato con la sua Lamborghini. Tre ore di giri per Roma, soldi consegnati e beneficenza fatta.
Le obiezioni, le critiche, le detrazioni possono naturalmente essere tante: effettivamente, andare con una automobile che ha un costo – pressapoco – di 200.000 euro a fare beneficenza induce a pensare ad una ostentazione di benessere, di ricchezza. Probabilmente non è lo è per niente, perché lo stile di vita cui sono abituati cantanti di successo e “influencer” con milioni di “followers” su Intagram è esattamente quello: prendere la Lamborghini è come per il sottoscritto prendere l’affezionata Panda rossa priva di qualunque assistente vocale o di parcheggio, di qualunque navigatore, dotata di un autoradio con supporto per compact-disk musicali e mp3, senza nemmeno il regolatore elettrico degli specchietti.
Se Fedez fosse andato in scooter a fare quella beneficenza, magari senza farne una diretta sui social, avrebbe fatto della stessa la più classica delle forme di solidarietà: senza alcun clamore, senza alcuna risonanza mediatica. Ma si può davvero chiedere ad un personaggio dello spettacolo, noto, conosciutissimo e riconoscibilissimo di fare un gesto del genere in pieno anonimato?
Ovviamente c’è anche un riflesso condizionato dettato dall’immersione totale nella mediaticità che pervade non solo le vite di un cantante e di una influencer; ma può anche trovare spazio la tesi per cui, si cerchi una emulazione positiva, simile alla richiesta che fece Conte a molti “vip“, nel corso della prima ondata pandemica, di mostrarsi con la mascherina e di invitare a metterla.
La capacità persuasiva di queste icone è più potente dei decreti del governo: musica, spettacoli e cultura in generale possono essere grandi portatori di empatia, di condivisione e di convincimento globale. Basti pensare ai grandi concerti fatti per raccogliere fondi contro le malattie, contro altre pandemie come quella dell’HIV, per l’Africa, contro le discriminazioni sessuali, razziali.
Un operaio che lavora, se ha la “fortuna” di essere sfruttato per una vita intera, oggi non ha la possibilità nemmeno di cumulare un gruzzolo che gli permetta di comperarsi una casa senza dover ricorrere alla spada di Damocle del mutuo pluridecennale. La Lamborghini rimane per lui inafferrabile, una ammirazione, un segno distintivo di classe sociale da un lato, di ceto sociale dall’altro. Ma non per questo la beneficenza di un lavoratore ha meno valore rispetto a quella di Fedez, mentre traccia un solco incolmabile con il tipo di rapporto tra il potente e il popolo, tra chi concede e chi riceve.
Già in altre occasioni Fedez e sua moglie hanno fatto del loro ruolo privilegiato di artisti e comunicatori (ne scrive con grande acume Lucrezia Ercoli nel suo libro “Chiara Ferragni, filosofia di una influencer“, ed. “il melangolo“) una leva per muovere la coscienza di molte persone e chiamarle ad una responsabilità civica e civile verso situazioni che ci coinvolgono tutte e tutti: chi ha quasi 20 milioni di seguaci su Instagram ed è al sesto posto nel mondo tra gli influencer più pagati, deve avere questa coscienza altruistica se non vuole morire di protagonismo e rimanere umano.
La fama è onnivora, fagocita qualunque sentimento, qualunque situazione, chiunque le capiti tra le fauci: permette di non avere preoccupazioni economiche ma impone responsabilità enormi, soprattutto oggi, in una società dove la comunicazione è globale, immediata ed esplosiva; contamina tutto, non risparmia niente. Se da questa crescita esponenziale di consumismo viene fuori, ogni tanto, un rigurgito dispeptico, che fa parlare tanto positivamente quanto negativamente, che indigna e che regala un dubbio, ben venga anche Fedez che distribuisce i soldi dei suoi ammiratori in Lamborghini.
L’insulto ai lavoratori non è la presunta ostentazione di una ricchezza “normale” per il rapper. L’insulto al mondo del lavoro, del sottopagato, dello sfruttamento becero e quasi schiavistico sono le politiche che sostengono il liberismo più sfrenato, che fanno da paravento ai privilegi padronali e i governi che si rifiutano di forzare i cordoni della borsa, di prelevare dai conti correnti dei megaricchi delle inezie per finanziare una sanità distrutta proprio nel nome loro, del privato e del profitto.
Troppo facile prendersela con Fedez e fare finta di non vedere che la società è strutturata su uno sviluppo ineguale fondato sulla proprietà privata degli impianti produttivi, sulle speculazioni finanziarie, con Stati e governi pronti a gareggiare nella difesa del capitale che si accresce tramite profitti acquisiti con lo sfruttamento della forza materiale e mentale dei lavoratori.
Troppo facile rimanere alla superficie del problema e accusare chi, legittimamente, con il suo talento ha saputo utilizzare ogni canale di comunicazione per diventare famoso, arricchirsi e – nonostante tutto – non estraniarsi del tutto dal resto del mondo.
L’insulto vero ai moderni proletari sono le parole di chi disprezza così tanto i lavoratori, i pensionati e le categorie che ritiene inferiori (proprio fantozzianamente parlando) da considerarle irrilevanti anche nella morte: la produzione della ricchezza per le classi dominanti, che posseggono le industrie, non si fermi. Se muore qualcuno, beh… pazienza! E’ trascendere perfino il peggiore dei cinismi: siamo oltre l’indifferenza, siamo nella vera e propria cattiveria malevola, persino molesta.
Fedez, dice qualcuno alla radio, sarà stato anche “cafone” nel girare in Lamborghini nel fare una beneficenza non silenziosa. Ma la cafonaggine, per quanto biasimevole possa essere, non sarà mai al pari del ruolo di classe che hanno coloro che fingono di interessarsi alle sorti del benessere sociale e comune dell’intero Paese e sono invece pronti a spartirsi i 209 miliardi del Recovery Fund per sanare debiti pregressi: alla faccia della pandemia, del virus e senza alcuna remora per tutti coloro che sono morti e che moriranno.
MARCO SFERINI
17 dicembre 2020
foto: screenshot da YouTube