«Con il cuore pesante e profonda preoccupazione», così ha detto prima di salire sulla scaletta il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres in partenza dall’aeroporto internazionale di Mitiga a Tripoli, dopo una inutile visita a Bengasi nella «tana del lupo», l’ufficio del generale Kalifa Belqasim Haftar. Guterres, che lascia la Libia molto più instabile di quando è atterrato mercoledì, è tornato in fretta a New York per presiedere un Consiglio di Sicurezza a porte chiuse, in nottata, proprio sull’escalation in corso a Tripoli con una impennata dopo il tramonto quando l’aviazione di Misurata ha bombardato l’area di Abu Ghilan nella capitale.
La visita di Guterres, che aveva l’obiettivo di aiutare nei preparativi della conferenza nazionale libica convocata dal suo inviato speciale Ghassam Salamè dal 14 al 16 aprile, è stata presa come occasione dal generale cirenaico Haftar per lanciarsi alla conquista dell’ultimo lembo del Paese ancora non sotto il suo controllo: Tripoli, la capitale, e la sua regione intorno.
L’avanzata dell’Esercito nazionale libico – la milizia di Haftar – nella notte del 4 aprile è arrivata per le vie della città, e ha incontrato resistenza alla «Gran porta 27», distante 27 chilometri a ovest dalle mura urbane, dove appena calata l’oscurità erano arrivati, con una lunga fila di pickup, i rinforzi della città-stato di Misurata, ancora fedele al governo di Tripoli. Il premier del governo di accordo nazionale Fayez Serraj ieri mattina, quasi nascosto da un paio di occhiali neri, si è recato lì in visita, per omaggiare i «resistenti» e fugare i timori che si erano sparsi sui social libici di una sua repentina partenza.
Non ha fatto un grande onore, la corsa a prendere un aereo ad opera di un nutrito drappello di deputati e personalità in vista, direzione Istanbul o Tunisi. Se ne sono andati in tre membri del Consiglio di presidenza, il ministro dell’Economia Ali al Misawi, quello della Salute Mohamed Isa e persino il presidente della Noc – la compagnia petrolifera pubblica Noc, vero pilastro istituzionale del Paese – Mustafà Sanallah, più alcuni capi delle milizie.
Poche le vittime fino a sera, se ne contavano in due giorni solo quattro morti, tutti soldati di Haftar, due dei quali caduti ad Al Aziziah in mattinata, a sud della capitale. Gli intoppi più forti, li ha incontrati il figlio del generale, Saddam Haftar, a Zawiya sulla costa, dove un 128 soldati sono stati fatti prigionieri e un certo numero di mezzi blindati dati alle fiamme, e a Suq al Kermis, sempre nella periferia sud, dove si erano riattestate le forze misuratine affluite nella notte. In giornata l’accerchiamento si è stretto, il «feldmaresciallo» – com’è chiamato a Bengasi – ha potuto fregiarsi di aver messo sotto controllo anche l’aeroporto internazionale di Mitiga, ma solo per essere smentito qualche ora più tardi, quando la Rada, la milizia di pronto intervento del governo che si era tenuta neutrale, si è decisa a rivendicarne il controllo.
Le milizie di Tripoli, vero obiettivo dell’offensiva, secondo quanto ha tenuto a precisare Ahmed al Mismari, il portavoce di Haftar, non si sono molto mobilitate. Mentre la 9° brigata di Tarhuna, protagonista della sanguinosa battaglia di quest’estate, si è unita subito all’Lna, di cui evidentemente è sempre stata una costola. Borghi suburbani come Sorman e Gharyan si sono consegnati ad Haftar. Oltre a Misurata, solo l’altra città-Stato di Zintan ha riconfermato fedeltà al premier Serraj, ammesso che sia lui «il cavallo» che adesso si vuole detronizzare, contrariamente a quanto promesso da Haftar a Palermo.
Serraj è assediato anche dal mare – sua tradizionale via di fuga – visto che alcune navi guardiacoste della Cirenaica si sono schierate all’ancora a 17 miglia dal porto. Al tramonto il premier ha ordinato alla sua squadriglia aerea di perlustrare le zone sud dove si trovano acquartierate le forze residue. Poi il bombardamento, di cui non si sanno ancora gli effetti mentre scriviamo.
In questa tesa e fluida situazione, che preoccupa l’Onu, la Ue e anche l’Italia (il ministro Moavero cerca alleati al G7 in Francia ) e di cui tutte le potenze si dicono innocenti – ora anche la Russia scarica Haftar – la cosa più ovvia è che la conferenza di Ghadames non si tenga. E forse era il vero obiettivo.
RACHELE GONNELLI
foto tratta da Wikimedia Commons