In Turingia e Sassonia, i due Länder della Germania orientale andati alle urne domenica scorsa è accaduto qualcosa di assai simile a quello che ci hanno mostrato le elezioni europee di giugno: un’onda di piena dell’estrema destra nazionalista, ma non ancora sufficiente ad aprirle le porte del potere di governo, piegando le resistenze centriste.

Quello diretto, s’intende, poiché la capacità di condizionare o di ostacolare i governi nazionali e le politiche dell’Unione è effettivamente cresciuta a dismisura. Formazioni nazionaliste radicali già partecipano a diversi governi in Europa occidentale o li sostengono. E, del resto, l’olandese Wilders, i “Veri finlandesi” o la nostra Lega non hanno posizioni così distanti da quelle di Afd.

Ma, certamente, la Germania è un’altra cosa. Per la sua storia, per il suo peso economico, per la sua posizione centrale (insieme alla Francia) nell’Unione europea. Quanto Afd riuscirà a condizionare la politica tedesca tanto entrerà in immediata risonanza con un’Europa già ampiamente inquinata dalle destre nazionaliste.

Turingia e Sassonia rappresentano una frazione modesta dell’elettorato tedesco, con inoltre tutte le particolarità degli svantaggiati Länder orientali, ma proprio perché inseriti nel contesto emerso con le elezioni europee i risultati elettorali nelle due regioni costituiscono comunque un potente fattore di crisi degli storici equilibri politici tedeschi.

A 35 anni di distanza dalla riunificazione il divario tra le due Germanie resta grande e indigesto. La disillusione e la rabbia per un’occidentalizzazione condotta in forme punitive e predatorie non si sono attenuate con il passare del tempo, fino ad assumere tutte le caratteristiche del risentimento, lo stato d’animo più classicamente propizio alle manipolazioni autoritarie. Sempre in cerca di un potere forte cui affidare il riscatto dalla propria condizione di debolezza. Björn Höcke, il più radicale esponente della Afd in Turingia, si presta perfettamente a questo ruolo con la sua retorica alla Trump impreziosita da sfumature neonaziste.

Sul versante opposto (che diversi commentatori considerano, sbagliando, contiguo) si afferma la neonata formazione guidata da Sahra Wagenknecht. Etichettata con il solito vacuo termine, buono per tutti gli usi, di “populismo” sembra piuttosto trattarsi di una rivisitazione veterocomunista. La stessa leader rifiuta la qualifica di “rossobruna” preferendole quella di “sinistra conservatrice”.

In buona sostanza si tratta del ripristino di una posizione antiborghese, antiuniversalistica e antilibertaria che incrocia in più punti interessi materiali delle classi subalterne, ma assestandosi su una visione statica, disciplinante e passatista dei rapporti sociali e delle forme di vita. L’eredità raccolta è in buona misura quella della Sed, il vecchio partito unico della Repubblica democratica tedesca, autoritario ma ideologicamente antifascista.

Per i tre partiti di governo a Berlino, usciti devastati dalla tornata elettorale, il segnale è poco meno che una campana a morto. Sanno bene che la tendenza non riguarda solo i Länder dell’Est. La paura della guerra è diffusa in tutto il paese così come la consapevolezza che la Repubblica federale e in particolare le sue regioni orientali sono tra le vittime principali dell’aggressione russa all’Ucraina e delle forme in cui l’Occidente e la Nato hanno deciso di rispondere.

Il colpo per l’economia tedesca, che la perdita del suo retroterra continentale ha spinto in recessione, è stato durissimo; una stabile nuova cortina di ferro sarebbe esiziale. Il riarmo e il ritorno degli euromissili americani, questa volta senza dibattito alcuno e senza movimenti pacifisti che li avversassero, non fanno che acuire la sfiducia verso il governo di Berlino e minarne la stabilità. Non aiuta certo accusare di filoputinismo, se non di intelligenza col nemico, chiunque avanzi istanze pacifiste e distensive non del tutto ultraterrene. Così come accusare di antisemitismo chiunque condanni il governo israeliano di estrema destra e gli orrori della guerra a Gaza.

Il cancelliere Scholz, dapprima prudentemente preoccupato di una escalation della guerra in Ucraina, si è poi allineato alle posizioni più belliciste. I Grünen, sempre meno verdi e non più pacifisti, le due originarie ragion d’essere del partito, non sembrano servire più a nulla se non a una stentata autoconservazione. La Fdp di Lindner, ridotta a un ufficio contabile di ristrette vedute è del tutto scomparsa nell’Est del Paese e non prospera a Ovest.

Tutti e tre insieme reagiscono agli strepiti della destra sulla sicurezza, sui respingimenti e sullo smontaggio del diritto d’asilo, assecondandoli e attuando politiche sempre più restrittive e opposte a qualsivoglia principio di solidarietà. Innumerevoli esempi mostrano che con questa vile competizione non si sottrae un solo voto alla destra ma, al contrario, se ne rafforzano le argomentazioni e se ne accresce la credibilità. Ma è inutile pretendere spirito critico dal cane di Pavlov.

Non siamo ancora alla “Remigration”, le deportazioni di massa sognate da Höcke, ma Afd sta comunque vincendo e governa, malgrado qualsivoglia cordone sanitario, con la sua minacciosa incombenza l’agenda politica dei partiti che si illudono di averla messa al bando.

MARCO BASCETTA

da il manifesto.it

foto: screenshot ed elaborazione propria