Tra mostri falsi e mostri veri

Carlo Cafiero, nel descrivere la divisione del lavoro e della manifattura che Marx elabora nel primo libro de “Il capitale“, opportunamente cita un presumibilmente sconosciuto filosofo illuminista scozzese: Adam...
Perseo con la testa di Medusa

Carlo Cafiero, nel descrivere la divisione del lavoro e della manifattura che Marx elabora nel primo libro de “Il capitale“, opportunamente cita un presumibilmente sconosciuto filosofo illuminista scozzese: Adam Ferguson. Parlando di un processo di costruzione economica della fabbrica e quindi di affinamento sempre maggiore del livello di sfruttamento del lavoratore da parte del padrone, Cafiero prende a prestito queste parole di Ferguson:

L’ignoranza è la madre dell’industria come lo è della superstizione. La riflessione e l’immaginazione possono smarrirsi; ma l’abitudine di muovere il piede o la mano non dipende né dall’una né dall’altra. Così si potrebbe dire che la perfezione, rispetto alle manifatture, consiste nel poter fare a meno dell’intelligenza, in modo tale che l’officina, non avendo bisogno di forze intellettuali, possa essere considerata come una macchina le cui parti sono gli uomini.“.

Si tratta in breve di rendersi pienamente conto che il sistema capitalistico è talmente “alienante” da far dimenticare proprio all'”alienato” di essere tale e di considerarsi come un naturale elemento dell’intero ingranaggio che produce il plusvalore, che genera l’accumulazione del profitto nella sua fase finale nella circolazione delle merci.

Questo annichilimento progressivo della coscienza di classe del lavoratore è sempre il primo passo per arrivare ad ulteriori forme di condizionamento mentale, di trasformazione della realtà dei fatti in una pantomima di immagini che sovvertono il vero e lo mutano in un falso che però non può che essere “il vero“, “il reale” per antonomasia.

Questo accade anche oggi, nell’era del sovranismo italico: la nostra mente, che può – come giustamente sostiene Ferguson – anche dimenticarsi di riflettere, di pensare, di ragionare e pure di immaginare, non cade mai nell’oblio se abituata pavlovianamente a tanti piccoli riflessi condizionati che costituiscono, alla fine, il comportamento che quotidianamente usiamo nel rapportarci soprattutto socialmente nei confronti delle tante problematiche che ci si pongono innanzi.

Pensiamo alla crisi economica e alla mancanza di lavoro: la responsabilità è, pavlovianamente, sempre del “diverso” da noi. Mai di coloro che gestiscono le fondamenta economiche di questo stato di cose presente in cui siamo costretti a vivere.

Nel momento in cui si discute di assenza occupazionale, di crisi aziendale, di parcellizzazione del lavoro, precarietà e disoccupazione, l’occhio de “il vero sovranista” è subito diretto ad indicare come responsabili coloro che arrivano in Italia e che quindi, a rigor di una logica matematica, devono essere i responsabili della mancata assegnazione di un posto occupazionale ad un italiano.

Più che di matematica, si tratta di infantili sillogismi anche molto male costruiti. Facciamo un esempio:

premessa maggiore… “Ogni straniero che viene in Italia ruba il lavoro agli italiani.“.

Premessa minore: “Yassir è uno straniero venuto in Italia.“.

Conclusione: “Yassir, che è venuto in Italia, ha rubato il posto di lavoro agli italiani.“.

E’ molto facile spacciare per logica scientifica ciò che invece è l’inganno della semplificazione dovuta alla falsificazione sempre e solo della “premessa maggiore” di aristotelica memoria.

Per questo la mancanza di coscienza individuale del proprio “essere sociale“, distorta da ciò di cui in molti ci siamo accorti essere una mera “percezione” di fenomeni artatamente ingigantiti e resi anti-fenomenici, assolutamente aprioristici e quindi acquisibili da un altissimo numero di individui tanto salariati quanto autonomi nel lavoro quotidiano, diventa un elemento fondante e costituente di una società alienata in fabbrica, in ufficio, su una bicicletta da “riders” o davanti al monitor di un call-center quanto nei più intimi momenti familiari o nel cosiddetto “tempo libero“, quello che trascorriamo sostanzialmente per allontanarci dalla pesantezza dello sfruttamento.

Non si sfugge al collegamento continuo che imprigiona le menti in un corto circuito formato da stereotipi che alimentano falsità sempre più grandi e che ci portano a pensare che un pericolo sia reale soltanto perché chi lo ha declamato come tale è colui che riceve consensi in quanto riesce ad oliare perfettamente la macchina il cui ingranaggio funziona soltanto a questo scopo: perpetuare l’immaginario collettivo e creare la scena su cui far recitare tanti milioni di personaggi in cerca d’autore.

C’è in effetti qualcosa di tremendamente pirandelliano nella tragicommedia politica italiana del governo giallo-verde: il vasto consenso che l’esecutivo ancora riceve non deve stupire. Manca non soltanto quella che spesso ho definito come “domanda di sinistra“, a sua volta contenuta in una più vasta (e anche più vastamente smarrita) “domanda di uguaglianza“, ma una sorta di istinto alla propria difesa dai veri colpevoli della situazione in cui letteralmente “sopravviviamo“.

Si maledicono i migranti, si augura buona appetito ai pesci per le centinaia di morti inghiottiti nel Mediterraneo, si irride e denigra Carola Rakete e, in tutto ciò, non esiste un controcanto, una critica spietata e feroce, quindi capace di penetrare i crani vuoti riempiti dalle banalizzazioni del sovranismo secondo cui in Italia nessun italiano è nemico ad un altro italiano!

Sarebbe vero se i padroni (chiamateli, se volete, “imprenditori“) non avessero questo ruolo di classe che per loro è evidente, ne sono coscienti e sanno di campare allegramente sulle spalle di tanti lavoratori e moderni proletari costretti a contratti ridicoli, a paghe da vera e propria fame, mentre i loro profitti aumentano grazie a speculazioni fatte sulla pelle di popoli interi.

Ma i padroni sanno come agire: loro la realtà non la “percepiscono” e non si lasciano irretire dalle favole del sovranismo italico. Lo utilizzano e lo graziano, per ora, concedendogli di stare al governo per dirigere gli interessi economici nella giusta direzione: per essere precisi è la direzione contraria a quella dei lavoratori.

Noi non possiamo assuefarci a questo stato di cose e sostenere che non possiamo fare niente, che siamo inamovibilmente seduti su un letto di un fiume ad attendere che passi la nottata, che ritorni il sereno dopo un temporale e che quindi la gente si risvegli da un sonno fiabesco con una movenza di bacchetta magica di qualche fata.

I comunisti devono continuare ad essere parte attiva in questo sfacelo generale di incoscienze, in questa bulimia di discriminazioni, odio e crudeltà, perseverando nell’analisi, nello studio, contrastando l’abitudinarietà umana ad adeguarsi come l’acqua alle forme che la società tende a prendere.

La presenza di una criticità politica è una speranza per impedire che venga meno un ruolo sindacale e una funzione attuale del sociale privato del suo ruolo e relegato a individualismo esasperato.

Scriveva Marx: “Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie, per poter negare l’esistenza dei mostri“. E, va aggiunto, per vedere solo quelli che ci fa comodo vedere credendo di semplificarci la vita, di risolvere il tutto tramite fobie che, essendo tali, sono la quinta essenza della percezione e quindi l’inconsistenza della verità.

MARCO SFERINI

31 luglio 2019

foto tratta da Pixabay

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