L’esasperazione del concetto di governabilità ben oltre la dizione classica relativa “all’esistenza delle condizioni sociali, economiche e politiche tali da rendere possibile il normale governo di un Paese” è sfociata nel travisamento del tipo di conduzione di governo definita nella globalizzazione come “governance”, cioè come “l’insieme dei principi delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo di una società, di un’istituzione, di un fenomeno collettivo”.
La “governance” si colloca quindi ben oltre l’idea delle condizioni di governo di un Paese ma bensì quale elemento di equiparazione tra pubblico e privato ed intesa quasi come un “credo” ineludibile che si realizza attraverso un “sistema”.
La “governance” si esprime in forma piramidale unificando i diversi livelli di governo all’interno di una logica univoca di espressione del potere.
Potere che si realizza attraverso la reciproca dipendenza e omogeneizzazione delle persone, anziché dal confronto tra diverse opzioni politiche di tipo generale espresse in forma collettiva organizzata poi mediate fino a stabilire “equilibri mediani”.
In questo quadro la grande dimenticata è la rappresentanza politica attraverso la quale si dovrebbe giungere alla determinazione di maggioranze governanti poste in relazione ad una centralità delle assemblee elettive legiferanti e deliberanti come prescrive con grande chiarezza la Costituzione Repubblicana.
Da questa dimenticanza deriva il grande equivoco della fallacia che si concretizza nell’intendimento da parte di minoranze delle espressione di consenso che ricevono.
Queste minoranze alla fine, intendono il loro mandato quasi come di tipo plebiscitario credendo di incarnare in se stesse l’intera legittimità giuridico – politica.
Minoranze che si esprimono in forme totalitarie quasi come se si sentissero di esprimere l’intero divenire della storia.
Da queste condizioni derivano scontri di potere mai posti in relazione ad opzioni alternative sui temi di fondo della complessità delle contraddizioni sociali.
Ne deriva una pericolosa omologazione di fondo tra fronti apparentemente opposti e in realtà uniti in questo travisamento dei concetti – base della pur difettante democrazia liberale.
Le questioni, in questa fase assolutamente disattese dal confronto politico, sono quindi due: quella della complessità nelle espressioni della rappresentanza che si pone comunque anche se, a questo proposito, appare quasi completato l’esaurimento della politics nella policy e quella dell’effettiva dialettica all’interno del dibattito pubblico.
FRANCO ASTENGO
23 marzo 2017
foto tratta da Pixabay