All’intervistatrice che le fa la domanda, la signora di Torre Maura replica: “Ma noi non siamo razzisti. Vede… l’ha ci sono degli alberi che sono caduti e stanno lì da ottobre. Da ottobre! Qui c’è una dimenticanza nei nostri confronti…”.
Si riferisce al Comune di Roma, ovviamente.
La domanda elementarissima è: “Ma che c’entrano 70 persone di nazionalità italiana e cultura rom con tutto questo?”.
La risposta altrettanto elementarissima è: “Si aggiungono ai problemi del quartiere”.
L’altra domanda meno elementare è: “Ma perché i rom sono un problema?”.
La risposta banale è: “Sì, da sempre: rubano, spacciano… i bambini mendicano… si fregano il rame dalle ferrovie, eccetera, eccetera.”.
Quindi sarebbero un problema. Come lo sono gli italiani che rubano, spacciano, sfruttano i figli per attività criminose e magari ne abusano proprio in famiglia. Nella “sacra framiglia” borghesemente intesa…
Preso atto della banalità del male di nuovo secolo e millennio, continuo a pensare che il problema sia comprendere, davvero sul piano psichiatrico, chi scende in pigiama in strada di notte e tendendo il braccio al saluto romano inneggia contro i rom che vengono portati via da Torre Maura.
Quel nome, “Torre Maura”, per qualche tempo sarà sinonimo più che di razzismo di vera e propria cattiveria e crudeltà. Ed è solo grazie a Simone se non lo sarà per sempre, perché quel ragazzo ci permesso di dire: “Non sono tutti così”. Ci ha permesso di non diventare pure noi “buonisti” dei fascistizzatori, pieni di pregiudizi e convinti che esista ormai solo più l’odio e la persecuzione rispetto al ragionamento e alla comprensione collettiva di ciò che ci accade intorno.
Per questo, ancora una volta, Simone va ringraziato e speriamo di coraggiosi pensanti come lui ne spuntino a bizzeffe in questo Paese malato di sovranismo, di neofascismo e di razzismo.
(m.s.)
foto tratta da Wikimedia Commons