Domani ricorrerà il 60° anniversario della morte di Palmiro Togliatti avvenuta ad Artak vicino Yalta il 21 agosto del 1964. Ancora oggi i suoi discorsi alla Costituente possono indurre a un momento di riflessione intorno al senso e al significato della nostra Costituzione, oggi in grande pericolo (Palmiro Togliatti, Discorsi alla Costituente. Un’antologia, Editori Riuniti, 2021), così come gli eventi della vita del segretario comunista, dal 1944 alla morte, sono l’oggetto del volume di Corrado Morgia, in uscita per i tipi dell’editore Bordeaux di Roma, intitolato Togliatti, Una biografia (1944-1964).
Togliatti nacque a Genova nel 1893 e nel 1911 partecipò al concorso, che vinse, bandito per gli studenti delle Provincie dell’ex Regno di Sardegna per l’assegnazione di una borsa di studio dell’Università di Torino; allo stesso concorso partecipò Antonio Gramsci e la loro amicizia iniziò allora e si consolidò attraverso scelte comuni: l’iscrizione al Partito socialista, la collaborazione al «Grido del popolo» e all’«Avanti!», la fondazione, con Tasca e Terracini, dell’«Ordine Nuovo», per il quale curò dapprima la rubrica «La battaglia delle idee», divenendone, al momento della fondazione del Pcd’I nel 1921 e della trasformazione del settimanale in quotidiano, il caporedattore.
Trasferitosi a Roma per dirigere «Il Comunista», eletto nel Comitato centrale del Partito al II Congresso di Roma del 1922, sfuggito alla distruzione ad opera dei fascisti della redazione de «Il Comunista», nominato nella direzione del Partito nel 1923, venne arrestato e recluso a San Vittore fino alla fine dell’anno. Nell’estate del 1925 partecipò al V Congresso dell’Internazionale comunista ed entrò a far parte dell’Esecutivo. Formatosi fra il 1923 e il 1924 il nuovo gruppo dirigente del Pcd’I, al III Congresso del Partito che si tenne a Lione nel 1926 venne confermato nell’Esecutivo e nominato rappresentante dei comunisti italiani presso l’Internazionale.
Si può dire che da questo momento inizia l’esilio di Togliatti che, assunta la direzione del centro estero del Partito e de «Lo Stato operaio», prima a Parigi, poi a Lugano e a Basilea, visse sempre lontano dall’Italia, in specie a Mosca, ricevendo incarichi di grande importanza e responsabilità nell’Internazionale (eletto nella segreteria preparò con Dimitrov il VII Congresso, quello della nascita dei fronti popolari antifascisti).
Fra il 1937 e il 1939 fu in Spagna come inviato dell’Internazionale. Fuggito dalla Spagna quando gli antifascisti furono sconfitti, tornò in Francia dove fu arrestato e detenuto per sei mesi, alla fine dei quali tornò a Mosca. Qui, con il nome di Mario Correnti, iniziò le trasmissioni di Radio Milano-Libertà e, il 30 ottobre 1943, lanciò una direttiva precisa nella quale invitava a lottare unitariamente in Italia contro l’invasore e i suoi collaboratori fascisti.
Stava assumendo poco alla volta un profilo preciso quella politica di unità nazionale che si sarebbe concretizzata al ritorno di Togliatti nel marzo del 1944 nella svolta di Salerno (avrebbe scritto Ivanoe Bonomi a proposito delle proposte togliattiane: «…in tale situazione è giunto miracolosamente da plaghe lontane un cavaliere portentoso, un Lohengrin redivivo») che scaturisce dall’esperienza del fascismo, dalla crisi della democrazia borghese, dal superamento dell’iniziale estremismo del gruppo dirigente comunista (Bordiga), dall’analisi del capitalismo italiano per pervenire alla necessità di un’azione che potesse isolare le forze reazionarie e individuare, anche sulla base delle indicazioni gramsciane, le collaborazioni in una lotta in cui democrazia e socialismo fossero fra loro saldamente intrecciate attraverso l’azione propulsiva e innovatrice del partito nuovo.
Fine di questa azione è sicuramente la vittoria di tutte le forze antifasciste sul nazifascismo ma, ancora di più, l’instaurazione della Repubblica e la stesura di una Costituzione: questa è la democrazia progressiva.
Il segretario comunista fu eletto all’Assemblea Costituente e poi alla Camera nelle elezioni del 1948, anno nel corso del quale, a luglio, fu oggetto di un attentato da parte dello studente siciliano Antonio Pallante. Rifiutata nel 1950 la richiesta di Stalin di trasferirsi a Praga come segretario del Cominform, rimase alla guida del Pci.
Il 1956 è stato definito un anno «indimenticabile»: il XX congresso del Pcus, l’intervista di Togliatti a «Nuovi argomenti» sullo stalinismo, la rivoluzione ungherese, l’VIII Congresso del Pci e il Rapporto al Congresso nel quale il segretario, quando ancora la profonda lacerazione provocata dalla rivoluzione ungherese nel corpo stesso del Partito non era per nulla sanata, disse, rilanciando la via italiana al socialismo: «Il terreno della democrazia lo abbiamo conquistato per procedere, sopra di esso, verso il socialismo».
Le circostanze della morte di Togliatti sono note così come, peraltro mirabilmente raffigurata da Guttuso, la imponenza della partecipazione ai funerali celebrati a Roma il 25 agosto. Lasciò in eredità il «Memoriale» redatto nei giorni che precedettero la fine.
«Totus politicus» fu definito Togliatti da Croce. In realtà, dalla pubblicazione degli scritti carcerari di Gramsci alle traduzioni e alle curatele di testi di Marx, Engels, Voltaire, senza dimenticare la creazione di «Rinascita», il leader comunista perseguì con tenacia quella che fu definita la «separazione impossibile» tra cultura e politica, costantemente alla ricerca dell’unità nella diversità.
LELIO LA PORTA
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